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Laboratorio => Poesie sperimentali => Topic aperto da: gabriele fratini - Giovedì 26 Febbraio 2015, 11:11:20
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Sassi schiva
l’acqua giuliva,
trilla fresca e romba
tra la Frasca e la fronda.
Viene in Testa a mille Fiori
che Fo immagine nei versi,
Benedetti quei rumori,
Voce intrepida non persi.
Dall’inverno di Pusterla
il ruscello è ciò che viene,
anche Frene ha la sua stella,
Gentiluomo ha le novene.
Di grotteschi e di altri mari
Prestigiacomo ha il desio,
a De Angelis le ali
per volare nell’ addio.
E Durante variazioni
Dal Bianco ai mille colori,
Santi numi di Benzoni!
si è disperso Cucchi fuori.
Avvampa il Tripodo fuoco
sulla pianta di Frabotta,
per smorzare ciò che scotta
anche Anedda è in questo luogo.
C’è la rosa di Buffoni,
c’è la Salvia dell’estate,
De Signoribus le chiuse
di Lamarque le cantate.
I passanti di Viviani
s’avventurano Sovente,
per il bosco di Biagini
i Cavalli solamente.
L’atelier di Pagnatelli
qui all’ aperto non è avaro
poi che ha Pinto dei più belli
Scarabicchi di Febbraro.
Sotto un sole fuggitivo
d’un Inglese zampillio
Marcoaldi più giulivo
lo rincorre tra il brusio.
Tra il brusio nel biancheggiare
ove all’ombra si distende
Giovenale al sospirare
anche Trinci si difende.
Tra le rime più giocose
son le fiabe di Piumini,
tra le storie più curiose
c’è il ramingo Tognolini…
Giunto all'ombra dei giardini
della sede della rai
disse il mago Tognolini
osservando quel viavai:
"Fisso il nulla e mi diverto
a deridere il deserto.
Meglio stare tra i bambini,
meglio vivere all'aperto."
… Il messaggero del Conte
sulla riva di D’Elia
porta ognuno sulla fonte
della nuova antologia
sotto un masso della diga
ai pensieri di Magrelli
ove i fiotti di Valduga
scorreranno oltre le valli.
Con Damiani su a Fraturno
e i contatti di Ottonieri
ogni autore avrà il suo turno
nella Villa o tra i sentieri.
Il ruscello non è pieno
e mi scuso con gli esclusi
se lo spazio viene meno
e perciò gli elenchi chiusi.
Il poema è provvisorio,
come disse Mesa in arte.
Già mi attende il dormitorio,
devo chiudere le carte.
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Generazione dell’80 (la parola ritrovata)
Nell ’Estate dei migranti
sul Prato pagano cresce
la Salvia e spesso si mesce
con Damiani e Colasanti,
e la fiamma che si espande
ha lasciato Braci ardenti
tra Sica e i Nuovi Argomenti,
con Lodoli e Scartaghiande.
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Mancanze
S’intrecciano pensieri
notturni, Alessandrini,
dei maestri latini
raccolse i desideri;
degli angeli le stanze
di vita con un po’
di musica di Fo
riempiono Mancanze.
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Epitaffio
In un azzurro elefante
perché il pensiero non muoia
riposa tra i versi e l’arte
l’ultimo Toti Scialoja.
Ancor più bello e raro
è l’animale in azione
nella prima produzione,
la Vespa e il Topino caro.
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Alla fiera
Vidi il tomo e non comprai,
spaventato dai denari,
il bel libro e senza affari
all’uscita me ne andai …
Or mi pento poi ch’ ho letto
versi arditi di Buccelli
filosofici ma belli
che mi lasciano diletto.
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La poesia in Testa
L'italiano che ho avuto sempre in Testa
è musica dalle radici antiche:
rinasce dall'alloro, ha le sue foglie
in Pietro, Giorgio, Sandro, Umberto, Enrico;
quest'ultimo, che non conosco in viso,
ritrasse la natura e le sue spoglie
prendendo le parole della gente
per evitar che non capisca niente;
pensieri che volteggiano nell'aria
li trasse sopra il foglio delle Attese
andando in Controtempo sulle muse
che scelsero di scrivere poesia
da sole, come fosse malattia;
avendo ancora tempo per l'azione
cantò la neve a Pasqua e l'Ablativo
(chiamando in causa la Sostituzione),
curiosa digressione nel latino
per iniziare presto un altro viaggio
lasciando la materia, ogni vantaggio
accumulato dall'umana gestione
di lettere seduto in postazione.
Se i figli di Caproni son d'accordo
esprimo il mio giudizio nel ricordo:
tale Testa per me assolutamente
è "il miglior fabbro" tutt'ora vivente.
Su questo ho pochi dubbi, né il ritrarsi
gioverebbe al giudizio che lo esalta...
ma non ditelo a voce troppo alta:
altre muse potrebbero scornarsi!
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Autopresentazione
Son Fratini ma non Gaio,
l'epigramma già mi alletta
e mi porto in etichetta
il cognome con il saio.
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Il libertino
In attesa che sia google
a dare un segno vitale
leggo Rochester che mugola
sull’ umanità bestiale.
Delle volte quando cerca
un pensiero libertino
più veloce fa il cammino
del motore di ricerca.
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Indigestione di seppie
Sarà pure un genio,
sarà pure Eugenio
un poeta coi fiocchi,
ma l’indigestione
di seppia fa male,
amo Betocchi
e odio Montale.
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Mentre il buio clima infuriato impera,
nell’intimo la mia anima spera …
Mi si spezzano i versi sotto il pianto
che asperge sulla carta il puro canto …
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Allo studio di nuovi itinerari,
rinnego i pauperismi letterari...
A noi poeti ci piace la fessa:
viva D'Annunzio e abbasso Cortellessa!
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QUARTINA BURLETTA
Viene dal mare col vento in tempesta
per dare voce alla rima non detta,
va più veloce dell'onda più lesta:
ecco arrivare Quartina Burletta...
"Allo studio di nuovi itinerari
rinnego i pauperismi letterari...
a noi poeti ci piace la fessa:
viva D'annunzio e abbasso Cortellessa!"
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la busacca
senza l’acca
si fa elle
porca vacca…
come lella
come laura
come l’ultima
piastrella
della vita
sminuita
dalla cella
già sbiadita…
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DELIRI CAPRONIANI (Ad portam inferi)
Annina cara,
ti ringrazio del dolce pensiero,
ma non hai alcuna nozione di scienza:
il caffè è ormai bruciato
e il burro nella credenza
s’è già tutto squagliato!
La volta prossima, mi raccomando,
mettici pure il gelato!
Attilio.
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CONSIGLI DI LETTURA
Io me ce provo a legge Franco Loi
ma dopo un po’ me rompo li cojoi
“Oh foglia che te trement nel vardà ...”
ma che cazzo vor di’ sta roba qua?
Manco er T9 pijerebbe er verso
“che quel sul mì che l’aria se fa vess ...”
M’ alliscia er Duomo ma poi c’è l’A1
che me riporta in sei ore al raduno.
Evviva er segnalibro che me sarva
dalli versi della linea lombarda!
In attesa de legge er testo a fronte
cambio faccia come Giano Bifronte:
apro ‘n sonetto, e leggo pe’ trastullo,
firmato Er Bestia poeta der Trullo.
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AEDI ALL'ARA
Astuti aedi ascoltano
arti altisonanti.
Armeggiano
amare alchimie.
Amano alterne acque:
acide, amene.
Ara, acquietati
all’altezzosa allergia.
Asciugati ancòra,
àncora antica.
Arrenditi all’amore,
ansia allucinata,
alienata allegria.
Ariosi arrivano
ad ammucchiare
arcane altezze.
Avide amenità!
Alterne andadure.
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PRESENTAZIONE PER POETA
Piaciutissime parole
per poesie per piccini.
Pennaiolo propiziatore,
punti pensieri pacati,
penetranti, prosperi, pinti,
puerili; pulsanti.
Pasci pingui postille.
Poniamoci prima parlando,
poi passeremo pensando.
Portami pena, prego;
perdonami paterno poeta.
Presentemente partomi.
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CRONISTORIA DEL PITTORE MASOLINO DA PANICALE CHIAMATO PRESSO LA SEDE PONTIFICIA IN A.D. MCDXXVIII
"Masolino ... li morti tua, che fai?
Hai disegnato ancora n'artra fregna!
Ma nun cell'hai quer poco de vergogna?
Dipigne nudi è tutto ciò che sai?
'O sai ch'er Santo Padre nun gradisce.
Nun risparmiasti manco la Brancacci...
Cambia er soggetto o mettece li stracci!"
"Ma il bischero serpente la stranisce..."
"Oppure pija esempio da Masaccio,
che colla mano adombra quer fattaccio".
"Ma vidi il Monsignore con l'erede,
gradiscono di molto..." "Chi ce crede
che 'sta robbaccia è innocua assai se sbaja.
Er popolo tutela colla foja!"
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LA PECORELLA SMARRITA
Si racconta che una volta
l’animale più indifeso
per un triste malinteso
imboccò la strada storta.
Una pecora smarrita
che temeva per i boschi
d’incontrare tipi loschi
e di perder la partita
contro quegli orrendi mostri
era molto intimorita
di finir la propria vita
nell’orrore di quei posti.
Ma nell’ora in cui sbandava
e il cammino fu perduto,
tutto il bosco era già muto
e di tutto diffidava,
fece atto di modestia
e su quanto c’era intorno
meditò la cauta bestia
apprestandosi al ritorno:
“Devo andarmene più in fretta
senza perdere la testa
evitando ogni molestia,
ho bisogno dell’erbetta.
Il mio gregge sarà lì,
sarà dietro quel boschetto,
son sicura che è così.
Sento passi al mio cospetto,
s’avvicinano repente
e provengon dal laghetto.
Per levare ogni sospetto
seguirò codeste impronte,
meglio togliersi dai sassi.
Son sicura che è il pastore
che mi cerca e che mi vuole
arrischiandosi tra i massi”.
Ma … sorpresa! Giù dal monte
non discese alcun pastore.
Non salvezza, ma … stupore!
Cosa venne dalla fonte?
Spuntò losco dal cespuglio
un gran lupo e nel subbuglio
scatenato in quel bel posto
dell’ovino fece pasto.
Qui finisce la storiella,
ma non senza una morale:
se sei lupo è poco male,
per riempire la scodella
basta attendere il tuo pasto
del più debole animale.
Ma se pecora tu sei
non ti allontanare mai
dal tuo gregge cui appartieni
dall’eterno e per le leggi
altrimenti a morte vieni …
non far sì ch’ei ti dileggi!
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LA PECORELLA CORAGGIOSA
Il gran lupo rimpinzato
dal buon pasto a buon mercato
slinguazzandosi la bocca
s’addormì supinamente.
E sognava pecorelle
prese in pasto dagli ovili,
addentrarsi nelle stalle
azzannando begli equini,
quel gran porco del suino
addentato sotto un pino …
Ma riapparso tosto il giorno
fu dimentico del sonno.
Al risveglio il cinguettio
del volatile fu oblio
del trascorso banchettare
con l’ovino da sbranare.
E siccome avidità
chiama altra avidità,
camminando sulla strada
con la bocca che sbavava
il lupone già fu sazio
per bramare un’altra preda,
dalla fame e per lo strazio
il suo dente digrignava …
Ma … sorpresa! Là sul monte
altra pecora spuntava:
la compagna un po’ più snella
della prima pecorella.
E la bava della bestia
già bagnava il prato verde
nell’attesa dell’assalto
per saziare il suo languore.
E la pecora?... Stupore!
Trovò il lupo sulla via
ch’esultava in allegria
non vedendo alcun pastore:
“Pecorella, dove vai?
Qui la strada è già finita!
Nell’itinere che fai
non ti sei forse smarrita?”
E l’ardita pecorella
non temendo per la vita:
“Non mi sono mai smarrita,
confidando nella stella
sono uscita dall’ovile
di nascosto dal pastore
e dal cane nelle ore
in cui dorme ogni civile
e ricerco la mia amica.
Se non vuoi che poi ti spezzo
ora levati di mezzo
ché mi aspetta la salita!”
“Tu che volontariamente
il tuo gregge hai abbandonato
vieni all’uopo nel mio stato
ed inaspettatamente.
La scodella del mattino
ha la stessa tua misura,
più sicura di un fortino
essa ti darà calura,
la tua amica ieri sera
ho incontrato qui per cena,
fu gentile ad accettare
il mio invito a banchettare.
Vieni a fargli compagnia
e non fare complimenti,
è una gioia per i denti
fare un pasto in allegria.
Per cercare la tua amica
non avendo protezione
mi risparmi la fatica
di cercare colazione.
Ti ringrazio del pensiero!”
disse il lupo sorridendo,
ed aprendo le sue fauci
quell’ovino rese un bolo.
Or lasciamo il nostro lupo
ritornarsene da solo
sul sentiero verso il bosco,
riposar dalle fatiche.
Ma nel prendere congedo
dalla fiera e le sue prede
voglio darvi la morale
della storia sopra esposta.
Se sei piccola e sei snella
e vuoi fare quella tosta
è ancor peggio che se fossi
l’indifesa pecorella.
Se rimani dentro il gregge
col pastore e a capo chino
sei protetta dalla legge
che tutela l’agnellino.
Non cercar la pecorella,
meglio stare a pascolare
se non vuoi sentirti dire:
“Vieni dentro la scodella!”
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L'UCCELLINO SPOCCHIOSO
L’uccellino, fringuettando,
vola e canta allegramente,
quando un’aquila, fendente,
taglia il cielo giù planando:
il timor dell’uccellino
s’acuisce nel timore,
e volando contro il sole:
“Poverino poverino!”
dice l’aquila tra sé,
e richiama l’uccellino
con un verso a capo chino;
e l’uccello a lei: “Chi è?
Cosa vuoi? Sto volando…”
dice lui sempre più intento
con le alucce controvento,
già s’affretta e va sbattendo
giù nell’aria e su nel vento
per librarsi verso il sole,
mentre l’aquila non vuole
inseguirlo, ma duecento
metri indietro già si frena,
gira e tosto piroeggia
mentre il piccolo sbeffeggia
il volatile che mena
per sentieri sconosciuti
a cercare le sue prede:
“Ti ritiri? Vuoi mercede
e poi subito saluti?
Già ti senti tanto stanca?
Più ti vedo deboluccia
con la vuota tua boccuccia!
Hahaha… mi s’imbianca
il futuro prima grigio,
il destino mi sorride…
L’aquila?... chi più la vede?
Oh, guarda… non più bigio
è questo cielo,
ma rovente,
mentre volo irriverente
dentro il bosco, senza il gelo
del timore già lontano,
con quell’aquila-coniglio
che si stanca e scappa meglio…
hahaha… che baggiano!
Ho sconfitto il grande alato!
Si ritira, bel coraggio!
Ora mangio e poi festeggio:
me lo sono meritato
questo verme; la battaglia
non mi ha poi molto stancato,
ma ho pur sempre meno fiato…”
…Bang! Bang! E si sente una mitraglia
di colpetti di fucile
che stecchisce l’uccellino
mentre cade a capo chino,
proprio l’uccellin virile,
sedicente coraggioso,
il pericolo sprezzante,
ex uccello, adesso niente
può ridargli il suo copioso
bel fluire di parole:
ora è morto, è selvaggina,
finirà tosto in cucina…
ma ha lasciato una morale:
se sei piccolo e spocchioso,
ti conviene stare attento:
specie dopo un gran spavento,
prendi fiato e, silenzioso,
chiudi il becco e sii contento;
non lodarti inutilmente:
non hai vinto proprio niente,
sol fortuna è il tuo portento;
e ringrazia il Padre Eterno
che ti dà nuovo cammino;
non tentare il tuo destino,
se no poi finisci in forno
con un paio di patate
sottilmente tagliuzzate,
con un pezzo d’aglio duro
ed un rosmarino in culo!
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LA FORMICHINA GAUDENTE
Formichina formichella
se ne andava per la via,
procedendo in allegria
per la vita sempre bella…
…ma, sorpresa! Dalla via
un piedone già spuntava
che bestiola minacciava
di schiacciarne l’allegria!
Poverina formichina,
così piccola e indifesa,
la sua gioia vilipesa
da un piedon di razza umana.
La montagna semovente
non s’accorse del puntino
sito in basso –poverino!-
e moveasi brutalmente.
E nel mentre del suo andare
macchinoso ed un po’ goffo
non s’accorse d’un gaglioffo
che lo spinse giù a cadere…
Steso in basso, il volto umano
lì trascorse il suo timore
del momento, ed il sudore
s’asciugava con la mano…
“Aiuto! Aiuto!
Inseguite quel figuro!
Non vi mento, ve lo giuro:
sono stato derubato!”
Ed alzatosi in gran fretta
l’inseguiva celermente,
saltellante tra la gente,
più furioso che saetta.
Formichina formichella
non credeva al suo vedere:
“Miracolo! Che sedere!
Godo come una farfalla
che si libra nel suo volo,
sovrastando tutti quanti
e spingendosi più avanti;
come naufrago ad un molo
ritornato da follie
di tempeste del destino;
godo come un uccellino
che è fuggito dalle arpie
degli uccelli predatori;
godo come un rosso fuori
dal pericolo dei tori;
godo come tutti i fiori
quando giunge primavera;
godo come nel deserto
chi trovò laghetto certo;
godo come gioia vera…”
… non finì la sua esultanza:
ebbe fine spiaccicata
sotto l’ombra già venuta
d’un piedone nella danza:
camminando a vita nuova,
fu sbadata e non s’accorse
ch’era giunta tra le corse
d’una piazza che ballava,
festeggiante in allegria
l’anno nuovo che veniva,
l’ora che si avvicinava…
ora è morta… che follia!
C’è morale in tutto questo?
sorge sponte la questione
nel lettor che si propone
di cercar racconto onesto.
No, lettore, mi dispiace,
non so darti una morale
alla storia in quanto tale
della formichin ch’or giace.
Solo penso, meditando,
faccio mie cogitazioni
riflettendo sui destini
che la sorte va elargendo.
E mi vien da ragionare
sui destini più diversi:
perché sono sempre avversi
alle piccole creature?
Formichina, mi dispiace
che la fine fu per te,
ma non so dirti perché
già trovasti eterna pace.
Non so dirti di sicuro,
mi dispiace del malanno…
anche a te però: buon anno!
È questione sol di culo!
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IL CONIGLIETTO INGORDO
Nel boschetto a primavera
già fiorita è la stagione,
fiori e frutti delle zone
rinverdite da quest’era.
Ma nel bosco è che si cela
lo sfuggente animaletto
che si nutre a ciò che è detto
di verdura ma non bela,
anzi scappa più repente
di saetta allor che ode
già vicino chi ne gode
nel vederlo ma lui sente,
tosto fugge, si dilegua
e chi mai l’ha visto più?
Neanche l’aquila lassù,
lui che fugge senza tregua.
Il simpatico animale
è appellato “coniglietto”,
ha nomea che del boschetto
è colui che meno vale
poiché scappa, ma che colpa
può aver lui se è poco forte
e se per fuggir la morte
deve muovere la zampa?
Poi la trappola e la rete
in agguato sono ovunque
seminate in terra e dunque
coniglietto ha poche mete
per ritrarsi un poco in pace
e fuggir non è da vile
per chi è privo del virile
portamento. In lui tace
ogni ardore predatore,
s’accontenta l’animale
di radice vegetale
per saziare il suo languore,
ha pochissime pretese
il suddetto coniglietto.
Simpatico animaletto!
Ma sfuggendo le contese
sotto il sole mattutino
infilò il suo bel musetto
nella trappola e il boschetto
parve avverso, poverino!
Ora è lì che attende certo
della morte a poche ore…
Ma ad un tratto… no!... Stupore!
Più non vede il fato incerto:
vede l’uomo animalista
che lo trae fuor dall’inganno
e lo toglie dal malanno;
altro pasto adesso è in vista
per il cacciatore ostile
che non prederà il coniglio
ma darà a saziar suo figlio
forse carne dell’ovile.
Nel frattempo il coniglietto
è curato già a dovere:
l’alleato lo fa entrare
nella casa per sanare
la sua zampa e le ferite …
“Questo sangue mi rattrista”,
pensa in sé l’animalista,
“Ora sazio la sua sete”.
Beve e mangia il coniglietto,
è servito e riverito.
Poi che è stato risanato
torna gaio nel boschetto.
Corre e salta allegramente
più gioioso ch’era pria
che cadesse sulla via
nella trappola. Poi sente
che ha mangiato a sazietà,
è satollo il suo panciotto
ben rotondo e più pienotto…
Cosa vede?... No, pietà!
Vede il cacciator che impugna
il fucile, tosto scappa…
ma è pesante… troppo annaspa…
Quindi cede senza pugna.
Ride il cacciator che torna
sul sentiero del boschetto,
oggi il figlio avrà banchetto
d’una preda senza corna,
non occorre altra carne,
verrà anche risparmiato
dell’ovile il contenuto
(sì che è meglio lana farne).
“Ora abbiamo anche la carne!”
dice il cacciatore entrando
alla moglie, e rimpinguando
la sua cesta: “Meglio farne
piatto al forno!” E disparve.
Or chiediamo al cacciatore
che ha finito di mangiare
se morale è in ciò che parve
di saziare la sua fame.
Cacciatore, tu mi senti?
Del tuo pasto non ti penti?
Non ti spiace dare infame
uccisione al coniglietto?
Devi proprio uccider, tu?
Non ti puoi saziare più
con verdura del boschetto?
“Coniglietto… poverino!
-dice il cacciatore- Aspetta!”
e si sfila in tutta fretta
dalla bocca un ossicino.
“Sono buone queste bestie
da mangiare ma son piene
di ossicini sì che viene
il timor che sian moleste.”
Cacciatore, non ti penti
di aver dato morte certa
al coniglio che diserta
questa vita? Non ti senti
un po’ in colpa?” “Il coniglio
forse questa vita avrà
disertato ma non ha
disertato di mio figlio
né la pancia né il desio.
Era buono il coniglietto,
alla fine è ciò che ha detto.
E del resto neanche il mio!
La verdura? E chi disprezza?
Me la mangio per contorno
dopo l’animale al forno.
Chi verdura non apprezza?
Chiedo scusa, ho mangiato
anche troppo –s’alza già,
barcollando se ne va-
chiedo scusa, vi saluto”.
Poverino, coniglietto.
Non dovei troppo mangiare
da chi venne te a salvare
mentre stavi nel boschetto.
Or lettore mi congedo,
l’ora è tarda e me ne vado
a cenare. Ti saluto
cordialmente… e buon appetito!
-
IL PORTATORE DI LUCE
Si spegne la luce tra i cavi,
la lettera è muta e non ferve.
La parola a che serve,
a che serve la parola degli avi?
L’uomo della luce miete tra i cavi
e mi impedisce di fruire di te,
Musa. Altra luce avevi,
altra luce che non c’è.
Ma servirebbe una parola
alla sola gioia delusa.
E pur l’elettricista ha il veto e molto
muove la bile in la maschera astrusa.
E’ tolto
ogni legame e legaccio folto
e ogni parola mancata abusa
e ogni pensiero che eccede è stolto.
-
La musa
sospira
sospesa
alla lira...
La musa
dal vivo
linguaggio
primitivo...
La musa
è giocosa
e si posa
su ogni cosa...
La rosa
ha qualcosa
che si posa
su chi osa...
La musa
è curiosa
di cosa
si posa
su chi osa...
La rosa
è sostanza
succosa
(non è mai
abbastanza...)
La rosa
è una cosa
tormentosa
(per via
delle spine
non è
troppo incline
alla resa...)
La musa
delusa
ripone
la rosa...
La rosa
non spera
in qualcosa
(si ripara
tra le trecce
cristalline
delle spine
del roseto
suo maniero
segreto...)
La musa
non trova
la rosa...
La rosa
riottosa
riposa...
(La rosa
confida
ogni cosa
al roseto...)
S’abbuia
il roseto
segreto...
L’avvento
del narciso
ha reciso
l’incanto...
(C’è un’ultima
chiosa
che dona
la musa
alla rosa...)
La musa
ha una rosa
che posa
su ogni cosa...