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Il Servitore di due Padroni

"Il servitore di due padroni", noto anche come "Arlecchino servitore di due padroni", è una delle (leggi...)
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Raccolte di poesie Raccolte di poesie
Viento y fuego di Arelys Agostini
Sorge il Sole ogni mattina di Alberto De Matteis
Minuzzoli di pane 2 di Berta Biagini
Sonetti Arcanici di Franco Scarpa
Un ‘emozione in volo di Rita Angelini

SpiegaPoesie riproposte
Baiano di Stefano Acierno
Il tuo nome, Cristo di Stefano Acierno
Ricuciture notturne di rosanna gazzaniga
Insieme sempre per un viaggio in contromano di rob ponzani
Di nuovo di rosanna gazzaniga
Nodi di rosanna gazzaniga
Le tue Parole di Adele Vincenti
Due cuori di Giuseppe La Marca
Amanti di Stefano Acierno
Ci sono di Stefano Acierno

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Poeta Luis: 1 poesie
Poeta aledilonardo: 1 poesie
Poeta Danilo X: 5 poesie
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Poeta Bowil da Wilobi: 13 poesie

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Trascrizione poeticadel Prologo di San Giovanni con alcuni Versetti dell'Avvento

Spirituali
Un tempo antico, prima che il Cosmo fosse,
quando la Notte sempiterna regnava,
e i cieli oscuri eran privi di stelle,
quando il sogghigno serpeggiava del Nulla
nel glauco cuore dell’essere del Nume,
quando nel tempo un tempo non soffiava
nel sempiterno scorrere delle attese,
immensamente e a principio dell’Ordine
v’era l’Azione, e l’Azione era in Dio,
e quest’Azione era il Dio che si vive
e che in eterno regna sulle sue sfere
e che conserva come un fiore al mattino
del suo Creäto la bellezza in rugiada,
e che le rose fa fiorire di freschi
rubini ai clivi dei più caldi deserti.
L’Azione stava nel cuor di questo Dio:
ella ordinò le materie delle luci,
degli astri in fiamme, dell’acque dei torrenti,
i mari immensi del cielo ancora oscuro,
i verdi sterpi delle praterie amene,
i biondi grani del deserto infinito,
e popolò di pesci e di belve e ancor d’uomini
le terre allegre, l’onde dei fiumi e i nembi;
e quello che è fu fatto per mezzo suo,
e dove manca la potenza sua - il braccio -
nulla fu fatto, restava il bieco Nulla.
Ell’era Vita, la luce delle genti,
e come in Notte, quando i cieli son cupi
e non v’è un astro, non uno stral di Luna,
quando le selve sono sepolcri ombrosi
nel reo mistero delle nottole infami,
l’ansie lucerne si splendono gentili,
così l’Azione si splende nelle tenebre.
Ma, ahimè, oh reo Fato! La tenebra respinse
questa lanterna, il Nulla volle vivere
nella paüra di divenir qualcosa,
e si divenne la legge del Ribelle,
dell’orba Serpe, e dell’Accusatore,
e colse il frutto dalle mani degli Avi
della doglianza, della disperazione
e delle crude e orribili miserie.
Passaron anni, e trascorsero i secoli,
là, tra gli Eletti del Popolo di Dio,
storie di dubbi, di dolori e di guerre,
segni di sferze sulle schiene dei miseri,
arpe dorate che pendevan dai salici,
un uomo venne mandato dal Signore,
ed era il nome santo di lui Giovanni.
Nacque dal ventre vegliardo e spento e in grembo
d’una vetusta signora e per miracolo,
e appena volto il sorriso piangente
alla vegliarda, questa qual giovinetta
or ricambiò il gaudio del bambino,
e diede al labbro novellamente il verbo
al muto padre, sacerdote del Tempio,
e il latte dolce lambendo dalla madre
si sorrideva nel sogno del cugino;
e nel frattempo, vedendo quest’affetto
dall’alto scranno d’un cielo or più ribelle
tremava il lume della Ragion beffarda,
l’alta bellezza d’un cuore fatto in Mostro,
e si lagnava, e s’inquietava in tremiti
la bionda chioma - e il lieto viso d’oro -
del Male orrendo, le corna della Bestia,
e in sua stoltezza gridava: «Io sono il Dio!»,
e corrompeva allora il serto in Giuda
del vano Erode e delle donne sue.
Ma egli, Giovanni, venne a testimoniare
l’immensità dell’alta Luce del Signore,
perché con lui tanto potessero credere
a Lui del Quale egli mostrò la via.
Ma questa via non era affatto il suo linguaggio,
né la sua stirpe, né le sue spemi immense.
La Luce vera, inver, stava crescendo,
e fu l’Azione che si divenne carne,
era il Signore, il Creätore stesso
che fece il Cosmo e che plasmò le terre,
e ora si fece nella terra e nel Cosmo.
Si stava in doglie la Madre or santa e vergine,
errando andava col suo sposo Giuseppe,
e ne bussava alle porte dei grandi,
e alle locande, e dei palazzi altèri,
e di coloro che dicevansi amici,
e dal dolore immensamente urlava,
gridò un soccorso, e l’uom suo disperava,
e ad ogni porta nessuno rispondeva,
non accoglieva un’anima la Donna,
ed ella a terra spesso cadeva in doglia,
e supplicava, e lamentava il Fato,
e per lenire il dolore feroce
quasi graffiava il suo medesmo volto.
Nessun apriva, nessuno l’accoglieva,
ognuno stava come una roccia ai monti
d’una caverna nella tempesta urlante:
soffia alla pietra il vento tempestoso,
penètra e grida, e vorticoso fischia,
urta quest’aria alla spelonca cava,
per gli atri suoi lentamente se ne vola,
ma l’empia roccia non intende mai nulla,
si giace inerme, terribilmente immobile,
e spesso vale ben poco anche la terra
che in terremoto si spezza in molti abissi.
Eppur la Madre n’ebbe ricetto amico
in una stalla, e il Figliuolo si nacque
nudo e piangente sulla grezza e pungente
e secca paglia frammista a terre e fanghi
che n’assorbiva l’ansio sangue materno,
tra i bei sospiri d’un vecchio e bianco bove
e le lagnanze d’un negro somarello,
e tra gli armenti la nenia del suo sonno
era cantata dalla zampogna d’un misero:
nessun pio letto, nessuna regal porpora.
Intorno - e solo - coi pastori si stavano
le tetre zecche delle pecore insonni.
Egli, il Bambino, l’Agnello del Signore,
venne a Israële, nel suo Popolo eletto,
e i suoi figliuoli or non lo ricevettero;
e lì, a Betlemme, le genti preferirono
far le lor feste per i pochi tributi,
pella dolcezza del miser censimento,
per far le lodi a Erode e in fin a Cesare,
per salutare le buone merci e l’oro,
il mal pagato sudore degli schiavi;
e in mezzo a loro sogghignava la Bestia
che da un ciel stolto li chiamava pur liberi
e li indrizzava alla fede del Male,
alla dottrina del peccato e del vizio,
al Nulla infame che disse: «Io sono l’Ordine!»,
e i lor denari accresceva ridendo,
come le stelle, i farisei dannati,
e sopra un monte l’ombre piantava oscure
già d’un supplizio terribile e feroce.
Ma un dì, cresciuto, il Bimbo or venne l’Unto
e ai ladri e ai tristi e all’ansie meretrici
che lietamente sempre più l’accoglievano
il tron concesse dei Figliuoli di Dio,
e a quanti in pace cedettero al suo nome;
e queste genti non da carne e da sangue
ebber la Vita, né da voler dell’Uomo,
ma dalla mente del Signore possente.
Allor l’Azione si plasmava di carne,
e della terra, e dei fanghi e di cenere,
e onnipotente divenne per sua scelta
fragile come un ramoscello secco
che facilmente del vento il spiro piega,
come una traccia di nebbia presso il sole;
e in povertà si venne a dimorar con noi,
e condivise le nostre tende ombrose,
le nostre tante impronte nella sua,
dall’occhio lesse le dubbiose incertezze,
col sangue suo perdonò i nostri rei peccati.
Fu contemplata la sua possente Gloria,
Figlio del Nume l’ebbe dal sommo Padre,
e fu la Grazia, e fu la Verità.
Oh tu, pastore, che qui serenamente
lungo la stalla vedi un bambino in fasce,
ecco, Egli è Legge, colui che vuol Giovanni:
nel pio sorriso di quel pargolo in sonno,
guarda! Un mistero: il volto del Signore;
ed Egli è il Santo, ed Egli in Ciel è Amore!
Poesia in esclusiva
Massimiliano Zaino 20/12/2014 16:18| 966

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