| Il principe da azzurro sarà nero
e Cappuccetto lascerà il suo lupo
e l’orco trasformato in un bel pupo
sarà fatto da Circe condottiero.
Il paladino Orlando col cimiero
sentirà l’olifante sordo e cupo
e Renzo giù nel lago da un dirupo
si lancerà perduto in un mistero.
E storie fiabe favole e novelle
avranno un’altra trama e un altro attore
e cambieranno volto e pure pelle
ed il finale caro mio lettore
sarà infelice e mesto e in ciel le stelle
perderanno per sempre lo splendore. |
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| Fata Dovina era piccina
alta una spanna povera in canna
soleva dire tutto il futuro
e l’azzeccava sempre lo giuro.
Non era ricca né miserella
si accontentava di una ciambella
era golosa ma a cucinare
lei non sapeva come e che fare.
Un giorno un mago ben travestito
volle Dovina mettere in prova
e chiese: “Fata domani presto
dove lo trovo un giorno di resto?”
“Lo trovi a zonzo – rispose Ina –
che si è nascosto nella cantina.
Ma se lo guardi con attenzione
subito noti quanto è imbroglione.
Si dice mago e vuole scovare
chi col futuro non ci sa fare
e va girando per monti e valli
senza una stella rompendo i calli.”
A questo punto Mago Robusto
concluse: “Brava! Hai colto giusto.
Ma adesso dimmi quante ciambelle
ho nella borsa e quante frittelle?”
“Nemmeno una – fece la fata –
come la testa è vuota e forata.
Tu sei il gran mago del lato in disuso
che ogni tanto rimane precluso.
Se avessi fede un po' nella gente
saresti luce divina e splendente.
Se avessi un cuore con pane e coraggio
avresti un credo e saresti più saggio.”
Mago Robusto da scaltro burlone
capì sul serio quella lezione
e da quel giorno ogni mattina
dieci ciambelle a Fata Dovina. |
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E volo insieme a te intorno al mondo
con l’ali rubacchiate al divenire
mio grande amico nato all’imbrunire
nel gioco di un ramuto girotondo.
Insieme a te col niente mi circondo
dei giorni che non possono ingiallire
e ti riscopro pronto ad imbastire
un cielo con le stelle il più profondo.
Non so da dove vieni e se scompari
ma il cuore mio ha inventato dei ripari
per dare alle tempeste senza freno
un grande audace e allegro arcobaleno
che vivo con passione e fantasia.
Insieme a te la vita è tutta mia! |
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| Dolce fata Natalina
non s’addorme la bambina.
Su racconta, a lei che aspetta,
una splendida storietta!
“ Certo cara, eccola qua...
Tanto e tanto tempo fa
nell’Oriente non lontano
era sveglio un artigiano
ché la donna sua impalmata
col pancione era arrivata.
Non sapendo chi e perché
si rodeva stando in piè.
Ci fu allora in un sol niente
una luce iridescente
una musica corale
e una voce celestiale:
“ Non temere, buon Peppino,
nella pancia c’è il divino.
Fra le donne, benedetta,
la tua sposa è stata eletta.
Nasce il figlio di Dio Padre
e Maria sarà sua madre.
Presto su non esser lemme
va con lei a Betlemme.”
Detto fatto lui ubbidì
(era giusto un venerdì).
Là nessuno li ospitò
ma una stalla lui trovò
e tra un bue e un asinello
nacque allora il Bambinello.
Cori canti feste e suoni
re pastori e processioni
la cometa e gli angioletti
su nel cielo e sopra i tetti
a intonare l’alleluia
che imbiancò la notte buia...”
A quel punto la bambina
s’assopì con la mammina
e Gesù (la cosa è certa)
le passò la sua coperta
smisurata dell’amore
grande quanto il suo Dio- cuore.
Filastrocca natalina
questa notte sta in vetrina
e nel letto ben scaldato
dorme il Cristo appena nato. |
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In un piccolo anfratto stretto e scuro
si era riparata una zanzara
e cosa certa ma non tanto rara
era convinta d’essere al sicuro.
Un ragno ben nascosto dentro il muro,
l’avvolse con il filo a mo’ di bara
dicendole: “ Per pranzo, sai mia cara,
mia ospite sarai, io te lo giuro.”
E quella poveretta rassegnata
“Che fine maledetta devo fare!
Credevo la mia vita tutelata
e invece il mio destino è trapassare
dal sangue di una bimba addormentata
al ventre di un ragnetto da impinguare.” |
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Lupo Martino un po’ balzano
dai suoi compagni stava lontano
perché sentite tutti i mattini
egli giocava con gli agnellini.
Quando divenne un giovanotto
lui frequentava un orsacchiotto
della foresta in cima al monte
facendo tuffi dentro una fonte.
Ma il guaio grosso più clamoroso
(te lo racconto in tono gioioso)
fu quando Marty si innamorò
di una cerbiatta e la inzampò.
Cori frastuoni contestazioni
un bel processo con i soloni
che sentenziarono in un afflato:
“ Il lupo matto venga esiliato.”
E detto fatto venne scacciato
lupo Martino l’appassionato.
Adesso vive in una grotta
con la consorte la cerva Dotta
e coi tre figli alquanto curiosi
simili in parte a nostri due sposi
con zampe e muso di lupo grigio
e sulla fronte le corna: prodigio!
Sono felici naturalmente
tutti i cerlupi segno evidente
che vinci sempre in amore se dai.
Spengo la luce che a letto ora vai. |
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| E suoni ancora
vecchio carillon
un po’ stonato e in parte trascinato
la musica che il sonno accompagnava
nei giorni che la vita mi cullava.
E il tempo mi riporta
e ancora dura
la mano di mio nonno che con cura
capitanava i sogni miei di quando
io combattevo insieme al prode Orlando.
Ma tu sei stanco
vecchio carillon
e avanzi lentamente intorpidito
anche se dolcemente io qui ti invito
a rinnovare almeno un sol momento
la volta che volavo a più di cento.
E mentre accelerando
mi accontenti
ti arresti all’improvviso e ti tormenti
e con un dlin ripreso e soffocato
mi avverti che quel tempo è ormai passato. |
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A dire il vero
è piccola così
una pallina di colesterolo
e cui fa bene il volo.
Apre le quattro alucce
di vainiglia
e mi saltella tra le cinque dita
con la sua gioia birba e indefinita.
Minuscola sul rosso
a punti
è la mia amica
avvolta nel mistero
che chiamo Nella
e se non lo sapete
combatte la sfortuna
e pur la jella.
Sono tre giorni
che mi gira intorno
che mi racconta storie
sue inventate
e a volte se ne ha voglia
mi recita dei versi
che lei ha scritto
sopra di una foglia.
Non so se mi somiglia
e quando è nata
ma è piccola minuscola
e gitana
e forse il suo domani
è attesa vana. |
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| E’ stato scelto proprio dal buon Dio
piccolo quanto un fiore di campagna
azzurro più del cielo di settembre
speciale con un compito preciso
di dare luce al mondo col sorriso.
Attende tutto l’anno alla finestra
con l’ali sempre pronte e palpitanti
sereno come un canto di frontiera
felice del suo compito piccino
di essere da faro al dio bambino.
Ripassa ogni momento i passi suoi
controlla ad ogni istante la cometa
i tre Re Magi Erode ed i pastori
Giuseppe con Maria predestinata
la grotta alla bisogna preparata.
E quando giunge infine l’ora attesa
lui scende sulla terra per l’impresa
sveglia i pastori e canta a tutta foia
“ E’ nato chi vi porta vera gioia!
Io pace annunzio e buona volontà...
bussate il Bambinello vi aprirà.” |
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| È il mio demonio eretico
è l’angelo impudente
che tramano per perdersi
in questo dolce niente
dove che il sole recita
le stelle fanno a gara
a navigare al netto
col lordo della tara.
È il primo e forse l’ultimo
è l’attimo segnato
che cercano nel tempo
il giorno mai scovato
nella certezza effimera
di stringere passivo
il cuore tramortito
che palpita ossessivo.
È il passo riscoperto
la strada senza età
dove si trova il dubbio
che compagnia non ha
dolente e così arido
proibito dal teorema
la notte che i giganti
coi nani sono in tema.
È il soffio senza vento
il moto in atto dentro
che scrutano nell’anima
il vuoto assieme al centro
dove una luna misera
si muove in tutta fretta
per imbiancare il cielo
che imbambolato aspetta.
È il sogno mio sincero
il letto più mendace
che giacciono incoscienti
nel petto molle e audace
trovando nel non essere
la magica realtà
che vivida col verso
in volo si alzerà.
In rima oppure a caso
quantista o impenetrata
si affida alla sua musa
fedele ed invocata
che s’agita impulsiva
nel cielo ingordamente
sperando di congiungersi
al cuore della gente. |
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Un lupo grigio amava Cappuccino
rosa ciliegio e dolce il suo visino.
Nel bosco verde quando la incontrava
tre enormi rose gialle le donava
e un giorno arancio splendido di sole
ebbe un coraggio nero e le parole
uscendo a fiotti azzurri dal suo cuore
giurarono alla fulva donzelletta
con tono verdeoro e ovvio in fretta
tutto l’amore intensamente rosso
che corrugava cremisi il suo dorso.
Allora la ragazza imporporata
nel suo sorriso avorio e appassionata
con la voce argentina sospirò
e con un “t’amo” malva ricambiò.
E la nonna antracite o forse più
si consolò col cacciatore blu. |
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| C’era una volta un re ba... ba... bulziente
che se parlava non ca... capivi... niente
e si credeva un ci... ci... cicerone
chiosando spesso un se... se... se... sermone.
La gente lo chiamava re Balbetto
e lui pensò adirato a un bel giochetto.
Chiamò le guardie e rapido ordinò
"Ta... ta... tagliate lor la lingua almeno un po’!"
Ma tutti si portarono dal re
gridando: "Ba... bal... balbettiamo come te!"
E Balby sorridendo disse: "E’...è...è...vero!
Allora mi... mi... ascoltate per intero."
Così successe e quando lui pa... pa... parlava
la gente con pa... pa... pazienza l’ascoltava
ma ripeteva in mente il vecchio detto
“E’ peggio un re ba... ba... balordo
che Ba... Ba... Balbetto!” |
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Re Baldo era grasso e piccolino
grande soltanto quanto un nichelino
rosso posticcio sempre un poco alticcio
gridava a tutti “Sono io la morte”
credendosi padrone della sorte
e faceva tagliare teste a chi
era più alto a sera il venerdì.
Quello che aveva era troppo grosso
ed ogni veste gli cadeva addosso
una nave con mille e più cabine
un super suv che teleguidava
un tablet sui cui tasti scivolava
una piscina in cui si ci perdeva
insomma tutto enorme gli pareva.
Lui era triste pavido e cattivo
e non usava mai l’indicativo.
Quando gridava solo lui sentiva
ma un giorno cari amici che portento
una lente trovò d’ingrandimento
e guardandosi dietro quell’oggetto
si vide tanto alto: era perfetto.
Allora non tagliò mai più le teste
e invitava la gente a balli e feste
felice del suo grande mutamento.
Era re Baldo grasso e piccolino
alto soltanto quanto un nichelino
ma con la lente si scoprì un gigante
grande perfino quanto un elefante. |
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Rosaregina nacque un po’ canina
di un ambra candidissimo dorato
ed era la più amata nel suo prato
con verdi foglie e solo qualche spina.
Rosaregina amava l’aria fina
ed il suo cuore rosso inalterato
batteva notte e giorno appassionato
e tutti la chiamavano zarina.
Nel suo paese era una gran dama
ornata di colori e di fragranza
preziosa e variegata nella trama
un chiaro segno indubbio di eleganza
di quel piccolo regno vanto e fama
la storia sua adesso è una romanza. |
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| Stracotta dal suo ruolo di zitella
(si figurava ancora guagliuncella)
‘a rosa se vuleva mmaretà
per cui mise l’annuncio sul giornale
scrivendo di suo pugno: “Eccezionale!
La regina del Campo dei ciliegi
cerca un marito giovane e prestante
un fiore altero nobile e galante.
No a perditempo e manco a un fannullone...
Domani ci sarà la selezione.”
Il giorno appresso fiori in quantità
giunsero d’ogni dove pe pruvà...
Gialli orientali e rossi dal Katai
bianchi da Londra e azzurri dalle Hawaii
bordò arancioni verdi e colorati
tutti naturalmente altolocati
il giglio col profumo travolgente
il girasole grosso e insofferente
garofani anemoni e gerani
papaveri oleandri e tulipani...
A uno a uno entrando nel salone
sfilavano ordinati in processione
belli spocchiosi avidi anelanti
giungevano da lei proprio davanti.
Mostravano diplomi e pedigree
certificati licenze e l’abbiccì.
Fieri e impettiti in faccia a sua maestà
speravano p’a gloria ‘e s’a spusà.
Essa ‘ntustata comme a na pupata
guardava cuntrullava e sentenziava:
“ Questo non va... Quest’altro ha tarda età...
Quello è tanfoso e ha peli in quantità...
Uno ha le foglie... un altro non le ha...
Non ce n’è uno... nessuno che mi va!”
Duraie tre juorne chesta carrellata
al quarto la regina rassegnata
stava lasciando il trono ma il mossiere
battendo il pavimento proclamò:
“Fioredicampo... principe di... Boh!
Signore della terre avvelenate
tutore di sementi disgraziate!”
Era piccolo nero sul violetto
vestito male e di brutto aspetto
(veniva dalle terre dei veleni
dove di cacca sono tutti pieni).
‘A reggina ‘o guardaie e un po’ piccata
nervosa furibonda esasperata
disse: “Pidocchio, ma che faie tu ca?
Sporco e pezzente a chi tu vuò 'mbruglià?
A me le guardie: sia buttato fuori...
io pratico soltanto illustri fiori!”
“Scusatemi, eccellenza, l’ardimento”
rispose Fiordicampo calmo e lento.
“ Lavoro dentro l’orto e a quel che sento
cercate un fiore che non ci può stare
che questa terra non ha da donare
per cui lo quale ecco la novella:
è meglio ca restate na zitella!
Ma ancora più importante, maestà,
guardateve int’o specchio pe’ pietà!
Siete una rosa sì ma vecchia assaje
non ci piantate allora dint’e guaie...
Siamo legati a voi o mia regina
pure si chesta vita è na mappina
ma lasciate ‘o penziero ‘e ve spusà
con qualche re straniero: po’ puzzà.”
La regina stupita ci pensò
e in un istante tosto sentenziò:
“Così sia fatto: Resterò zitella!
Un fiore alieno può recare iella
pecché si fete e nun se lava maje
dint’a stu regno porta sulo guaje!”
E detto fatto e fatto detto il patto
con fuochi luci e musica da sballo
finisce qui la fiaba ed io l’avallo.
Chi la racconta è il vecchio Fiordicampo
che in questa terra cerca ancora scampo
temendo ogni momento ca stu munno
pe colpa ‘e l’ommo se ne scenne a funno. |
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| Se fossi un re bambino
sarei un burattino
se fossi un re perfetto
io non avrei un difetto
se fossi un re malato
adorerei il gelato
se un re con la ragione
diventerei un buffone
se un re senza cervello
mi sentirei un uccello
e canterei per ore
per spegnere il dolore.
Se fossi un re di spade
farei tante sciarade
se fossi un re potente
avventurosamente
se fossi il re del vento
io correrei più a cento
se un re con il diadema
io non avrei più tema
se un re d’alto lignaggio
pretenderei il vantaggio
per vivere alla grande
in tutte le locande.
Se fossi un re guardiano
ti condurrei per mano
se fossi un re di fede
abbraccerei chi crede
se fossi un re d’amore
io t’offrirei il mio cuore
se un re di carità
farei tutto a metà
se fossi il re del niente
vivrei tra la mia gente
e dato che lo sono
da re questo è il mio dono. |
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| E che mistero c’è
in questo nostro amore
in questo viaggio a due
sessanta e ancor di più.
Io figlio della guerra
più fredda che non c’era
e tu pulcino russo
che ho conosciuto a Minsk
febbraio quarantadue
soldato e prigioniero
il nostro punto zero.
Mistero ti ho cercata
la sete ti ha trovata
e solamente gli occhi
tessevano a piacere
due cuori in un paniere
e mi dicesti sì
tu muta ed io un po’ sordo
e ancora nel ricordo
c’è il primo bacio acceso
a quel tuo sguardo arreso.
Che lotta e che casini
per stare noi vicini...
Che lune sventurate
che bocche disgraziate!
“Non durerà che ore”
“E’ madre del dolore”
“Un anno e poi la fine!”
sentenze inappuntate
sceltissime cazzate
nel dare la risposta
al nulla che ci costa.
E invece siamo qua
baciati da un’età
che conta i suoi minuti
rapiti dal mistero
e più non sembra vero
che un tal scomposto amore
sia vivo cuore a cuore. |
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Lo voglio sottosopra alla rovescia
così il Vesuvio fa il ganassa a Brescia
e l’Etna che sempre è un po’ fumino
passeggia con la lava al Valentino
e la nebbia fa un salto ad Agrigento
e il Piave scorre calmo a Benevento.
Lo voglio capovolto a testa in giù
con la Padania persa dentro il blu
di questo mare unto e maltrattato
da quando Cristo ad Eboli è passato
e la neve fa festa a Taormina
e il sole scalda l’aria di Cortina.
Lo voglio rovesciato col deserto
che vaga sopra il polo a cielo aperto
con Nuova York che naviga a Dubai
e il Che Guevara gioca col Dalai
con Otto che va a spasso con Gennaro
e la pecora si accoppia col giaguaro.
Lo voglio sottosopra amico mio
proprio al contrario come ha fatto Dio
col cuore che controlla la mia mente
col volto sotto i piedi inversamente
coi ricchi tra barboni e poveracci
che hanno indosso solo vecchi stracci. |
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