Sotto c’è gente con casco e cordino,
sopra c’è il monte e di ferro il cammino,
ed è lassù che bisogna salire
con un bagaglio di forza e di ardire.
Le mani afferrano la roccia dura,
ciascuna presa dev’esser sicura;
tieni agganciato quel tuo moschettone,
cerca gli appigli il tuo vecchio scarpone.
Or la partenza è un punto lontano,
con i compagni prosegui pian piano,
volgi tranquillo lo sguardo al passato,
par di sentirti già più rinfrancato.
Un po’ di zucchero è quel che ci vuole,
per la fatica il corpo ti duole,
stanche le membra si voglion posare,
ma non si deve la marcia arrestare.
Ed ecco un punto degli altri più duro:
di oltrepassarlo sei poco sicuro,
quel ch’hai appreso non riesci a applicare,
forza di colpo ti viene a mancare.
Cedon le gambe e rimani aggrappato,
stringi le mani e si stringe anche il fiato,
sai che per poco potrai sopportare,
reggerti tutto e senza mollare.
Sotto i tuoi piedi la terra è lontana
e la rimonta ti sembra più vana:
pensi al perché hai voluto partire,
pensi al passato, al presente e a morire...
Sei già sfinito ma breve è l’attesa,
non basta porgere la mano tesa,
ci vuole chi si sistemi a te sotto
per ritrovare un respiro ch’è rotto.
E, con l’appoggio sopr’altri scarponi,
riesci a riprendere le tue funzioni,
a arrampicarti in salvo deciso,
a ritrovare pian piano il sorriso.
Guardi la vetta ch’è ancora lontana,
aneli l’acqua di chiara fontana;
senti la rabbia, la voglia, la fretta
di superar tutto ciò che ti aspetta.
Chiami le forze a raccolta per fare
l’ultimo tratto ancor da scalare;
ignori lividi e scorticature
con mente vigile e mosse sicure.
E finalmente quell’ultimo passo
ed il sedile più comodo, un sasso,
e l’entusiasmo che t’è ignoto prima
tu lo conosci se arrivi alla cima.
Sotto si stende il vasto tuo mondo
e lo capisci in un modo profondo,
e con un dito il cielo è toccato,
ora sei sazio e sei riposato.
Pensa alla vita: son tante scalate,
da non far solo ché son complicate,
e, se raggiungi le mète agognate,
meglio è divider le gioie provate. | |
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Ricordo il tuo
di viso dell’infanzia, non il mio
tranne un lampo nei tuoi occhi
o una smorfia allo specchio
così ogni tempo ha il volto di chi incontro,
mai il mio,
ch’è un ricordo in altri occhi. | |
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Due amici, uno povero e uno ricco,
eran cresciuti insieme nel paese,
scoprendo la natura, il sole a picco,
il mare prima ombroso e poi turchese,
riconoscendo piante o un animale,
le ginocchia sbucciate nel torrente,
come volersi bene e farsi male,
come capirsi senza dire niente.
Nel giorno di Natale, i due bambini
che cosa si potevan regalare?
La promessa di star sempre vicini,
l’un l’altro il tempo insieme per giocare. |
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“Se mi tieni per mano
ce la faccio”
e saltavamo insieme
dal buco del granaio
a tre metri dal fieno
nella greppia,
atterrando sul morbido,
ridendo.
...
Posso superare questa prova,
ho i mezzi, l’esperienza,
sono pronta,
o forse no,
cerco la spinta,
la condivisione,
voglio atterrare sul morbido,
ridendo:
“Se mi tieni per mano,
ce la faccio”. |
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Nel tuo ascolto,
lo sfogo più riuscito.
Nel tuo dirmi,
le frasi più efficaci.
Hanno
gli accenti giusti
i tuoi sorrisi.
Hanno,
i comuni ricordi,
giovani perché
rincorsi
a chi arrivava prima.
Nel tuo fare,
i fatti condivisi.
E l’amicizia intera
nel tuo abbraccio. |
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Un ricordo improvviso che staglia
forte in mente uno squarcio passato
si appalesa istintivo e spiccato.
Sovrapposto all’ambiente ritaglia
un pensiero all’amico lontano:
sembra quasi un tenersi per mano. |
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