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"Un'altra vita" cap. 3

Amore

L’ arrivo. Il mattino era scorso veloce; a volte a Sergio capitavano quei momenti di “ grazia”, e se ne stupiva ogni volta. Nonostante le 5 ore filate di lezione, anzi forse proprio per quella densità di parole e impegno in cui non aveva occasione di distrarsi o pensare troppo, i ragazzi delle varie classi avevano seguito, aveva avuto la sensazione di fare un vero lavoro con loro. Specie la storia, gli sembrava che avessero recepito; nella prima gli era piaciuto ripercorrere le caratteristiche dell’ imperialismo romano e sentire o almeno immaginare che i suoi giovani ascoltatori capissero come il ragionare su quegli avvenimenti potesse far vedere con occhi diversi anche la realtà attuale. O forse si illudeva, immaginava troppo; comunque erano stati attenti e avevano fatto anche delle domande pertinenti, ne era contento. Non gli era importato molto nemmeno del pessimo scambio di opinioni che invece aveva avuto con la dirigente d’ istituto, in sala insegnanti, a proposito della riunione per la programmazione prevista per quel pomeriggio. Sergio aveva accettato l’ incarico di coordinatore delle due terze che seguiva, e ora a causa di quell’ incarico si trovava coinvolto in quasi tutte le attività dell’ istituto, ciò gli sembrava insensato. La dirigente gli aveva bruscamente fatto notare che almeno lui non doveva percorrere decine di chilometri per raggiungere la scuola, abitava dove lavorava: una motivazione piuttosto insulsa, le aveva ribattuto, per considerare ragionevole un sistema che di ragionevole aveva poco e che serviva, a suo modo di vedere, solo a “ riempire” le ore previste dalle direttive del ministero. Quelle ore secondo lui avrebbero dovuto essere invece ripartite sull’ insegnamento, magari in lezioni di recupero con i ragazzi che avevano maggiori difficoltà. Ma, come al solito, sapeva già di urtare contro un muro di gomma. Non si voleva vedere l’ essenza dei problemi veri, era molto più semplice rincorrere fumose programmazioni. A casa lui e Silvia cominciarono a pranzare, poi arrivò Enrico. Per fortuna, pensava sempre Sergio, immaginandosi come sarebbe stato quando anche Enrico non fosse più tornato. Quasi quasi sperava che tornasse a casa con loro per sempre, ma sapeva che questo sarebbe andato a scapito della vita di Enrico, certo non poteva veramente augurarselo. Prima o poi si sarebbero trovati, lui e Silvia, ad affrontare l’ intero tempo della quotidianità, da soli, e non riusciva a immaginare come avrebbero potuto farcela. Silvia parlava, raccontava dell’ assicuratore di cui era segretaria part- time: -Non è serio, a lui basta far firmare contratti… tanto poi sa che, con le grane, siamo io e Andreina a vedercela. Qualche volta sarei io per prima a dire ai clienti di rivolgersi ad un’ altra assicurazione, mi devo morsicare la lingua per non farlo Anche questo, del parlare di lavoro, era un “ bene- rifugio” da tenere in grande considerazione per la sopravvivenza. Sergio ormai l’ aveva perfettamente assimilato, e docilmente seguiva l’ onda delle rimostranze di Silvia, o a volte si sfogava lui. In questo già immaginava di non trovare molta corrispondenza, perché Silvia era molto schematica e non troppo disposta a cogliere le impressioni di lui, per esempio sul mondo dei ragazzi. Era molto più favorevole a seguirlo sul terreno delle recriminazioni con la dirigente scolastica. Silvia avrebbe voluto che lui “ si facesse rispettare”, e “ alzasse la voce”, e ottenesse degli spostamenti di orario che non comportassero ore buche, per esempio… proprio quelle ore buche che Sergio invece amava tanto. In cui poteva incolpevolmente scegliere esattamente cosa fare tra una serie di cose che tutte gli andavano a genio: prendersi un giornale, fumare nel cortile della scuola osservando il cielo, annotarsi in agenda le idee che gli venivano per le sue poesie, o anche leggere i lavori dei ragazzi, anche se quello preferiva farlo a casa, in tempi più distesi. Enrico li fece ridere con il racconto delle imprese della sua insegnante di arte, che era così svanita da non aver ancora realizzato che Marconi, un ragazzo che aveva cambiato scuola, da ormai tre mesi appunto non era più in classe con loro, e continuava ostinatamente a chiamarlo per interrogarlo; così come continuava a chiamare Enrico con il nome del fratello, che aveva finito il liceo da due anni ormai… Quando uscì per andare alla riunione di programmazione cui era tenuto come insegnante coordinatore, Sergio ricordò che, tornando a casa, avrebbe dovuto fare tappa da suo padre, come quasi ogni giorno. Tornò in casa a pendere la ricetta delle medicine per lui: sarebbe passato in farmacia dopo la riunione, e le avrebbe portate là. Solo in quel momento gli venne in mente che ci sarebbe stata la nuova badante, e fu allo stesso tempo incuriosito e infastidito, a quel pensiero. Ogni volta si doveva fare un po’ di fatica a riprendere contatto con la situazione (poteva peraltro immaginare la loro, di fatica, delle badanti), ma l’ ultima che se n’ era appena andata era stata davvero indigesta per tutti, era curioso di vedere con chi avrebbero avuto a che fare questa volta… Irene, gli sembrava che si chiamasse Irene. Proprio in quel momento, Irene era talmente assorta nell'osservazione di quel mondo circostante che non si accorgeva del passare del tempo, e si scosse da quell'estraneazione soltanto quando la voce dell'altoparlante annunciò la stazione, che era quella che la attendeva. Rientrò immediatamente nella sua più diretta realtà, riprese la grande valigia, fece attenzione a raccogliere tutto quello che aveva con sé e si diresse verso l’ uscita, pronta a scendere. Sentiva in ogni passo il segno del cambiamento, scendere da quel treno le sembrava un nuovo inizio. Era solo ieri, ma le sembrava fosse passato un secolo, da quando era nella sua casa, con cura seguiva i suoi figli, cercava vie nuove per rapportarsi con Carlo. Solo ieri, ma le sembrava lontanissimo, il passato di un’ altra persona quasi. Se ne sentiva come liberata di un peso e allo stesso tempo di ciò provava rimorso, le sembrava colpevole quel senso di leggerezza che provava, come se si fosse già dimenticata i figli. Si chiedeva come fosse possibile che tutto quell'amore che era certa di sentire per loro, adesso le dovesse sembrare così lieve, lontano. Come se fossero bastate solo poche ore per allontanarli da sé. Finalmente il treno si fermò davanti al cartello che indicava la città dove doveva scendere. Irene, appena scesa, cominciò a guardarsi intorno un po’ persa, cercando fra i tanti volti sconosciuti di capire chi fosse Augusta, soprattutto sperando vivamente che ci fosse. Furono sufficienti pochi minuti perché arrivassero a riconoscersi: bastò che i tanti viaggiatori che si erano riversati sulla banchina della stazione, si disperdessero, guadagnando veloci le diverse uscite, perché Irene ed Augusta, si focalizzassero fra loro. Fu Augusta per prima ad andare verso di lei; con piglio sbrigativo ed essenziale le parlò per risolvere ogni dubbio. -Sei Irene?... -Sì...buongiorno Augusta -Salve Irene, possiamo andare. Ho la macchina qui fuori, facciamo presto. La prima impressione di antipatia, che Irene aveva provato parlando con Augusta al telefono, a questa conoscenza più diretta si riprodusse tale e quale. Augusta era molto magra, la sua pelle tesa la faceva sembrare più vecchia di quanto in realtà non fosse. I movimenti erano a scatti, potevano sembrare irosi, come fosse agitata da una perenne fretta, e il tempo per lei un fuoco che bruciava dentro; il suo sguardo era imperioso e, mentre guardava sembrava del tutto disinteressata alla persona con cui parlava, non pareva nemmeno disposta ad ascoltare. Neppure si aspettava una risposta, se non delle passive conferme a quello che diceva. Era fredda, metallica, impermeabile ad ogni condizionamento esterno. Forse era lei stessa interiormente impermeabile a se stessa, e così voleva essere, parve a Irene. Quanto a Irene, aveva già in cuor suo deciso che le importava poco, come Augusta fosse: con lei si sarebbe limitata al rapporto professionale che le era richiesto, nient'altro le doveva. Aveva questo pensiero molto chiaro, e ne era sorpresa lei stessa, confrontandolo con le tante occasioni della sua vita in cui aveva sentito l’ impulso di farsi amare da persone che istintivamente sentiva ostili ed inaccessibili. In mezz’ ora, in mezzo ad un traffico congestionato che accomunava diversi paesi così contigui l'uno all'altro da sembrare un'unica infinita città, si trovarono davanti alla casa di Giovanni. Per tutta la strada Augusta non smise di parlare, riferiva ad Irene l'elenco dettagliato dei doveri e delle situazioni che da quel giorno avrebbe dovuto gestire: Irene, in modo distaccato, assorbiva e memorizzava tutte quelle informazioni. Scesero dall’ auto, Augusta, con modi proprietari aprì il portoncino d'ingresso ed Irene cominciò a fare la conoscenza con quella che sarebbe stata la sua nuova casa. Entrarono in cucina, dove Elena le stava aspettando: in un angolo c'era Giovanni, sulla sua sedia a rotelle. Aveva l’ espressione assente e trasmetteva una sensazione di completo vuoto mentale. Bevvero un caffè insieme. Mentre Augusta dominava la scena, Elena le faceva da eco, rimbalzando le parole di lei, con una certa adulazione, sembrò a Irene. Per fortuna Augusta aveva fretta, in quella che d'altronde sembrava una sua norma di vita e, dopo quelle piccole presentazioni, e aver cercato di creare una prima confidenza fra Irene e suo padre, se ne andò, lasciando ad Elena il compito di farle conoscere la casa e di concludere l'opera di istruzione. Accompagnata da Elena, Irene si accomodò nella sua camera, e dopo aver svuotato la sua valigia e messo in ordine le sue cose nel grande armadio, si sentiva adesso pronta per iniziare il suo lavoro. Anche Elena aveva finito il suo compito, ed era pronta per andarsene, cosa che fece non appena le sembrò non più necessaria la sua presenza. Elena, a dire il vero, era stata in molte cose evasiva, in cuor suo non le sarebbe dispiaciuto che Irene avesse trovato qualche difficoltà ad adattarsi a quella per lei nuova situazione; già immaginava Augusta che le telefonava, dicendole “ si sente subito la tua mancanza... puoi venire domani un paio d'ore?...Quella non mi pare tanto sveglia...” Irene, rimasta così da sola con Giovanni, si era subito indaffarata in cucina per prendere confidenza con tutte le cose che da quel giorno le sarebbero servite. Presto si trovò a suo agio. Era forte in lei la predisposizione ad immedesimarsi nella sofferenza altrui, forse era il modo che le veniva più spontaneo per sublimare in una sorta di passione altruista la sua tristezza interiore; quasi soffriva, come fosse propria, per l'altrui sofferenza ed altrettanto sentiva ogni ingiustizia, su chiunque fosse commessa, come se fosse propria. Ogni tanto, mentre continuava a prendere confidenza con la cucina, si avvicinava a Giovanni e cercava, con amorevolezza, di scuoterlo dalla sua muta assenza, cercava di capire se, oltre quel suo muro di torpore, ci fossero degli spiragli per rianimare il suo spirito; osservandolo in quelle sue condizioni provava per lui una grande compassione. Con questo spirito si avvicinava a Giovanni e con parole dolci, ma decise, cercava di richiamarne l'attenzione; prendendo il suo volto fra le mani cercava di fronteggiare il suo sguardo, sperando in questo modo di suscitare in lui qualche segno di attenzione e di vita. veva ribattuto, per considerare ragionevole un sistema che di ragionevole aveva poco e che serviva, a suo modo di vedere, solo a “ riempire” le ore previste dalle direttive del ministero. Quelle ore secondo lui avrebbero dovuto essere invece ripartite sull’ insegnamento, magari in lezioni di recupero con i ragazzi che avevano maggiori difficoltà. Ma, come al solito, sapeva già di urtare contro un muro di gomma. Non si voleva vedere l’ essenza dei problemi veri, era molto più semplice rincorrere fumose programmazioni. A casa lui e Silvia cominciarono a pranzare, poi arrivò Enrico. Per fortuna, pensava sempre Sergio, immaginandosi come sarebbe stato quando anche Enrico non fosse più tornato. Quasi quasi sperava che tornasse a casa con loro per sempre, ma sapeva che questo sarebbe andato a scapito della vita di Enrico, certo non poteva veramente augurarselo. Prima o poi si sarebbero trovati, lui e Silvia, ad affrontare l’ intero tempo della quotidianità, da soli, e non riusciva a immaginare come avrebbero potuto farcela. Silvia parlava, raccontava dell’ assicuratore di cui era segretaria part- time: -Non è serio, a lui basta far firmare contratti… tanto poi sa che, con le grane, siamo io e Andreina a vedercela. Qualche volta sarei io per prima a dire ai clienti di rivolgersi ad un’ altra assicurazione, mi devo morsicare la lingua per non farlo Anche questo, del parlare di lavoro, era un “ bene- rifugio” da tenere in grande considerazione per la sopravvivenza. Sergio ormai l’ aveva perfettamente assimilato, e docilmente seguiva l’ onda delle rimostranze di Silvia, o a volte si sfogava lui. In questo già immaginava di non trovare molta corrispondenza, perché Silvia era molto schematica e non troppo disposta a cogliere le impressioni di lui, per esempio sul mondo dei ragazzi. Era molto più favorevole a seguirlo sul terreno delle recriminazioni con la dirigente scolastica. Silvia avrebbe voluto che lui “ si facesse rispettare”, e “ alzasse la voce”, e ottenesse degli spostamenti di orario che non comportassero ore buche, per esempio… proprio quelle ore buche che Sergio invece amava tanto. In cui poteva incolpevolmente scegliere esattamente cosa fare tra una serie di cose che tutte gli andavano a genio: prendersi un giornale, fumare nel cortile della scuola osservando il cielo, annotarsi in agenda le idee che gli venivano per le sue poesie, o anche leggere i lavori dei ragazzi, anche se quello preferiva farlo a casa, in tempi più distesi. Enrico li fece ridere con il racconto delle imprese della sua insegnante di arte, che era così svanita da non aver ancora realizzato che Marconi, un ragazzo che aveva cambiato scuola, da ormai tre mesi appunto non era più in classe con loro, e continuava ostinatamente a chiamarlo per interrogarlo; così come continuava a chiamare Enrico con il nome del fratello, che aveva finito il liceo da due anni ormai… Quando uscì per andare alla riunione di programmazione cui era tenuto come insegnante coordinatore, Sergio ricordò che, tornando a casa, avrebbe dovuto fare tappa da suo padre, come quasi ogni giorno. Tornò in casa a pendere la ricetta delle medicine per lui: sarebbe passato in farmacia dopo la riunione, e le avrebbe portate là. Solo in quel momento gli venne in mente che ci sarebbe stata la nuova badante, e fu allo stesso tempo incuriosito e infastidito, a quel pensiero. Ogni volta si doveva fare un po’ di fatica a riprendere contatto con la situazione (poteva peraltro immaginare la loro, di fatica, delle badanti), ma l’ ultima che se n’ era appena andata era stata davvero indigesta per tutti, era curioso di vedere con chi avrebbero avuto a che fare questa volta… Irene, gli sembrava che si chiamasse Irene.

Michele Serri 24/05/2013 18:48 1210

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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