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Una pittrice di talento, una donna scomoda

Viaggi e Avventura

Artemisia Gentileschi (1593-1652/3)

Artemisia Gentileschi rimane un chiaro esempio delle difficoltà che le donne artiste dovettero affrontare, in una società impreparata a vederle uscire dagli schemi della tradizione. Lei ebbe la "fortuna" di avere un padre che era un ottimo pittore che ha certamente potuto fornirle un solido tirocinio; e sulle donne nate in provincia per quanto riguarda l'arte, Artemisia aveva un altro vantaggio, quello di poter studiare per proprio conto a Roma, i più grandi monumenti artistici antichi e moderni. Suo padre tuttavia assunse in casa, per darle ulteriori lezioni di prospettiva nel 1611, Agostino Tassi pittore e suo collaboratore. Ma il Tassi, si rivelò un personaggio violento e malfamato, e nonostante la presenza di una donna che faceva da chaperon, circuì e violentò Artemisia. A causa di ciò venne denunciato da Orazio e vi fu un vero processo infamante per Artemisia, che divenne quasi lei l'accusata e non la vittima.

Orazio infatti, denunciò l'insegnante di violenza carnale verso la figlia. Ma siccome a quel tempo una promessa di matrimonio riparatore sarebbe potuta servire ad assolvere l'uomo, egli tentò di rabbonire Artemisia con tale promessa che non venne mai mantenuta. Ma per la giovane ciò, potrebbe essere stato un bene, considerando che costui era già stato condannato per avere fatto assassinare la prima moglie. Orazio lo portò in tribunale con una denuncia di "sverginamento" della figlia, nonché furto di alcuni dipinti. Il processo durò cinque mesi: Artemisia fu costretta a subire l'infamante tortura della vite al pollice, che a quanto pare, era allora una sorta di macchina della verità. Un mese dopo la fine del processo, l’Artista desiderosa di fuggire da quel luogo pieno di ricordi dolorosi, dopo poco tempo incontrò e sposò un pittore fiorentino, certo Pietro Antonio di Vincenzo Stiattesi, e si trasferì con lui a Firenze. Per la pittrice fu un sollievo andarsene dopo il processo che fu una esperienza drammatica che le attribuì per sempre la fama di donna licenziosa. Nel 1615 Artemisia a Firenze era ormai un'artista ben nota e nel 1616 con l'aiuto di alcuni personaggi influenti dell'epoca, entrò all'Accademia del disegno e l'anno dopo fu tra i numerosi artisti attivi alla decorazione di Casa Bonarroti. Dovette lottare anche con il marito geloso delle sue capacità artistiche e qualche anno dopo finì anche il loro matrimonio. Al periodo fiorentino che durò fino al 1620, si possono far risalire vari dipinti di rilievo. Per quasi tutto il decennio successivo Artemisia fu a Roma, poi andò in un viaggio col padre a Genova e Venezia. A questi anni si possono attribuire con sicurezza poche opere, tra cui però uno dei suoi capolavori "Giuditta con l'ancella" (cat. n. 13). Nell'agosto del 1630 si era stabilita a Napoli; e nonostante molte lettere speranzose a possibili committenti romani, fiorentini e modenesi, dove spiegava di non voler più rimanere nella città partenopea per i disordini di guerra, per le difficoltà di vita e i prezzi alti, dovette restarvi fino alla morte. Per quanto possiamo sapere, se ne allontanò una sola volta per seguire suo padre a Londra ed aiutarlo a finire la decorazione della Queen's House a Greenwich; ma dopo aver sistemato, alla morte di lui avvenuta nel febbraio del 1639, i suoi affari, tornò a Napoli. L'ultimo decennio della sua vita non è ben documentato, salvo gli anni 1648-1651 in cui tenne corrispondenza con Antonio Ruffo di Calabria per il quale dipinse molti quadri.

All'inizio dell'Ottocento si registrava una sua "Betsabea" datata 1652, un anno prima della sua morte.

Artemisia Gentileschi fu la prima donna della storia dell'arte occidentale a fornire un contributo significativo e innegabilmente importante all'arte e benché Roberto Longhi ne parlasse già nel 1916, solo di recente si è ampiamente riconosciuta la parte svolta da lei nel movimento caravaggesco, soprattutto come tramite del caposcuola a Firenze, Genova e Napoli. Fin dall'inizio della sua pittura predilesse composizioni di figura a grandezza naturale, sovente di soggetto drammatico, e benché i contemporanei elogiassero la sua abilità di ritrattista, poche sono le opere di questo genere giunte a noi.

Essa preferì i soggetti biblici e mitologici con eroine per protagoniste (Giuditta, Susanna, Lucrezia, Betsabea, Cleopatra, Ester, Diana) o almeno soggetti in cui alle donne spettavano parti di rilievo, come Giuseppe e la moglie di Putifarre. Si direbbe, a giudicare dal numero di sue opere che impiegano il nudo femminile che questa fosse uno dei suoi cavalli di battaglia; di ciò parla in alcune delle sue lettere ad Antonio Ruffo, in cui accenna alla spesa che deve sostenere per trovare buone modelle.

Delle sue opere non si può non apprezzare il vigoroso realismo delle figure che sottolineano non tanto la bellezza fisica, quanto la tensione psicologica. Artemisia, piuttosto orgogliosa, ostentava la sua bravura in un genere pittorico che si era sempre ritenuto essere superiore alla capacità di "una donna".

Artemisia non fu una femminista come la si intende oggi, ma le sue lettere rivelano la consapevolezza delle difficoltà che si presentavano alle donne professioniste e rivelano la sua determinazione nel tentativo di farsi trattare con giustizia.



Antonella Modaffari Bartoli 22/11/2010 10:03 1 1719

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Nota dell'autore:
«Artemisia Gentileschi ebbe la fortuna di conoscere Cosimo II de' Medici e Michelangelo Buonarroti, che senza pregiudizi la fecero entrare nell'ambiente artistico dell'epoca. Tutti i dipinti nominati sono opere a lei attribuite con certezza e si trovano nei libri della storia dell'arte.»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Bellissima, interessante, significativa questa piccola biografia di una donna forte e una pittrice importante nella storia dell'arte.»
carla vercelli

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