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Io e mio figlio gioia e dolore (2)

Biografie e Diari

La massa tumorale aveva ostruito il 4° ventricolo, e andava asportata al più presto. Il Prof. lo mise in lista d’ attesa. Chiedemmo le dimissioni da Sassari e prenotammo per la « città della speranza». Partimmo una mattina fredda, senza sole, io, Paolo, Pietrina e Giovanni, con la tristezza nel cuore ma con tanta speranza e tanta fede in Dio. Sì, io ero più che convinta che Dio non ci avrebbe abbandonati al nostro destino... In attesa che lo chiamassero per l'intervento avevamo prenotato una camera in una pensione vicino all’ ospedale gestita dai preti. Lì erano alloggiate anche altre persone che avevano familiari ricoverati. Paolo fece amicizia con tutti, se ne stava in giro nella sala a parlare o a giocare a carte con un signore. La sera uscivamo a fare una passeggiata, andò anche a vedere allo stadio la partita della sua amata Inter. Insomma, una parvenza di normalità. La sera stessa della partita Paolo fu chiamato per essere ricoverato. Era il 17 febbraio del 2002.

La mattina lo portarono in sala operatoria alle otto. Una delle giornate più brutte della mia vita. Non riuscirò mai a descrivere ciò che provai. Posso solo dire che per me era un incubo senza fine. Avanti e indietro col terrore dell’ intervento e nessuno che viene a dirti niente. E le ore passano e ti senti avvolta in un vortice che ti toglie l’ aria, e nascondi quelle lacrime che senza controllo scendono sul tuo viso, abbassi la testa quasi a vergognarti della tua fragilità. Avrei dato la mia vita se fosse servito, avanti e indietro a pregare, a pregare, a pregare... Finalmente dopo quasi dodici ore lo portarono fuori della sala operatoria.

Era così pallido, con la testa tutta fasciata, gli occhi chiusi. Che dolore! Lo portano in rianimazione. E io che non avevo mai visto una rianimazione...è orribile vedere tuo figlio disteso su quel lettino immobile, con tutti quei tubicini attaccati. Apre gli occhi piano, mi guarda e mi dice: « ma... com'è andata?».« Bene», gli rispondo, «è tutto finito... già, tutto finito!» Avrei voluto stringerlo forte, gli presi delicatamente la mano, quasi si potesse rompere come un vaso di cristallo. Il Prof. ci convocò nel suo studio e ci diede la mazzata, perché quello che avevamo non era abbastanza. Ci disse: « Vostro figlio ha un tumore maligno, un medulloblastoma. É un tumore cerebrale maligno molto raro. Io ho asportato tutto quello che potevo, con le cure giuste ha qualche probabilità di sopravvivenza...».Non capivo più niente, la mia mente si era svuotata del tutto, minsentivo svenire, barcollai... perché...perché...perché? Questo è un incubo, domani mi sveglierò...E invece è la cruda realtà, la realtà peggiore dell’ incubo.


A fatica ti alzi dal letto, ti guardi allo specchio, ti vedi diverso, é un altro quello riflesso? Dove sono finiti i tuoi ricci? Il tuo sorriso? E ti scruti cercando di ritrovare il ragazzo di un tempo, ma quel ragazzo non c’è più. I tuoi occhi spenti, un smorfia sulle labbra, la tua testa fasciata, da qualche parte ci sei ancora tu ma non ti riconosci più ormai, forse però pensi che il peggio è passato ma ancora non sai cosa ti ha riservato la vita, che dure prove dovrai ancora sopportare. E ti chiedi perché è successo proprio a te, e ti fai mille domande, domande che rimarranno senza risposta, perché non c’è nessuna ragione che possa spiegare a un ragazzo di sedici anni che dovrà lottare per la vita.

La tua prima battaglia è vinta, ma quante ce ne saranno ancora. La tua ripresa è lenta, parliamo di tutto tranne che della malattia. Tu sempre così triste da straziarmi l’ anima.

Un giorno lo trovo più triste del solito, le lacrime gli scendono senza controllo, non parla, la testa china, sento la sua disperazione, lo aiuto a sedersi su una carrozzina e lo porto in giro nelle corsie dell’ ospedale. Vorrei scappare con lui da tutto quel dolore ma non posso. Gli dico che ce la faremo, che lotteremo insieme, mai e poi mai lo lascerò solo, io ci sarò sempre, ma a che serve? Lui continua a piangere in silenzio, io non so più che fare... Vorrei che gridasse, che sfogasse tutta la sua rabbia.

La sua allegria è ormai un ricordo, quando finirà quest’ incubo? Quando? Se ci fossi io al suo posto sarebbe meno doloroso.

Pian piano inizia ad alzarsi. Col mio aiuto riesce a fare anche alcuni passi. Vuole anche mangiare. Io spero sempre che riesca a riprendersi al più presto. Vuole andare via dall’ ospedale, ormai sono già due mesi che è ricoverato. Il medico che lo segue gli dà un permesso per uscire una notte a dormire in pensione.

A fatica ma con le sue gambe riusciamo a raggiungere la pensione dove siamo alloggiati, che dista dall'ospedale circa 500 metri. Appare più sereno, finalmente riuscirà a dormire dopo tanti giorni insieme a noi.




Paola Pittalis 14/10/2013 20:26 1 1220

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Straziante e commovente... solo chi ha passato, anche se indirettamente, questa vile malattia... tra le più vili... ha veramente potuto toccare con mano l'angoscia e l'immane sofferenza... Molto piaciuto.»
Stefano Sivo

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..dilaniante verità... (Stefano Sivo)



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Ti scrivo una lettera che mai spedirò (20/09/2013)

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