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"un'altra vita" cap. 14

Amore

Quel giorno sembrava che tutte le coincidenze si fossero accordate per rendere facile quel che doveva succedere. Augusta non sarebbe venuta, e già da diversi giorni aveva preavvisato di questo Irene, raddoppiando naturalmente le sue solite raccomandazioni.

“ Devo andar via con mio marito, andiamo a fare una visita a nostro figlio...” aveva detto a Irene; e lei quasi si sorprendeva che Augusta potesse avere un marito ed una famiglia, la vedeva così perennemente tesa, agitata, e di corsa, come lei stessa diceva, che le sembrava quasi inassociabile all'idea di una “ sua famiglia”, in cui potesse essere diversa, distesa e calda.

Quello stesso giorno anche Silvia, la moglie di Sergio, sarebbe stata via, per la gita annuale dei dipendenti della ditta per cui lavorava, destinazione prevista Lugano, con pranzo sul lago. Non si erano nemmeno salutati, Sergio e Silvia: lei era partita di buon'ora e lui non aveva sentito necessario scuotersi dal suo sonno, per darle il suo saluto prima della partenza. Era da tanto tempo che le loro espansioni affettive si erano fatte rare, smorzate di qualsiasi entusiasmo.

Quando si alzò, ben riposato, i figli dormivano alla grossa; era sempre così la domenica mattina, dato che solitamente la sera precedente facevano le ore piccole.

Si sentiva un pò disorientato nel trovarsi in casa da solo, era una cosa che accadeva davvero di rado.

E anche se nel tempo la loro estraneità si fosse andata sempre più accentuando, Sergio avvertiva inconsciamente che ognuno dei due sentiva la presenza dell'altro, insieme come fonte di irritazione e di compagnia.

Eppure vivevano ognuno per proprio conto, Sergio coltivava le sue passioni che non si incrociavano minimamente con quelle di lei e da molto tempo aveva anche cessato di illudersi che questo potesse accadere.

In genere si appartava nel stanza che adibiva a studio, dove si perdeva nelle sue amate letture o abbozzava suoi istantanei pensieri in ogni genere di spazio scrivibile che gli capitava a tiro; ed ovunque, in quel suo piccolo studio, vagavano disordinati fogli con le sue riflessioni, agende zeppe di parole: qui, nella visione di tutta quella sparpagliata parte di se stesso, si sentiva vivo.

Non aveva però nessuna ambizione che lei dovesse partecipare a quel suo mondo.

Nel suo individualismo, lontano da compromessi, le sole confusioni che poteva desiderare erano quelle di carattere spontaneo, quelle che potevano uscire da sole, senza forzature, per la naturale compenetrazione di individualismi affini.

Silivia era invece sempre intenta nelle sue ambizioni domestiche: sempre piena di nuovi disegni, che quasi mai venivano realizzati, per migliorare il suo senso di appartenenza sociale, sempre un po' rabbiosa nel sentirsi tradita nelle sue aspettative di coppia. Di questo naturalmente colpevolizzava in toto Sergio e non ne accettava il suo modo di vivere distaccato, ma sempre premeva, con continui rimbrotti, per trasformarlo e renderlo consono alle sue aspettative di vita. Avrebbe voluto espandere su di lui il suo senso di coppia totalizzante, sentiva come incomprensibili e assurde le pulsioni individualiste di lui

Comunque Sergio sentiva l'essere quel mattino solo in casa sia con benessere, ma era anche disorientato.

“ Che bello, il silenzio... poter toccare le cose senza dovermi sempre aspettare qualche osservazione da dietro le spalle...” si diceva fra sè, mentre quietamente assaporava il suo caffè e con lente inspirazioni si godeva la sua sigaretta mattutina.

Mentre se ne stava così assorto si stava chiedendo cosa avrebbe potuto fare quel giorno, che in fondo, proprio per quella sua dimensione solitaria, gli appariva diverso dal solito.

In realtà il suo pensiero era già corso più volte ad Irene.

Era tanto che pensava a lei. Sentiva la forza inarrestabile del desiderio di rivederla, di incontrarne lo sguardo e di aspettare insieme a lei il lento sbocciare delle loro parole intense e dolci, desiderava con forza quella strana atmosfera che si era creata fra di loro, strana e quasi irreale.

"Potrei fare un salto da mio padre...” pensò “ oggi che Augusta non c'è potrei passare a vedere come vanno le cose, se c'è bisogno di qualcosa...”

Mentre formulava questo pensiero neppure si accorgeva di star mentendo a sè stesso e che avrebbe dovuto dirsi “ faccio un salto da mio padre perchè ho tanta voglia di stare un pò con Irene...”

“ Ora vado, non si sa mai che serva qualcosa...” concluse tra sè, continuando ad automentirsi.

Entrò con delicatezza nella camera dei figli, per avvertirli, scuotendoli per un attimo dal sonno, che lui se ne andava dal nonno e che se avevano bisogno di qualcosa non avevano che da chiamarlo.

Operazione che sentiva del tutto inutile, tanto anche i suoi figli vivevano così una vita propria, della sua assenza neppure se ne sarebbero accorti, ma lo stesso sentiva come un suo dovere l'avvertirli.

Entrò poi in bagno, si accarezzò le guance, compiacendosi della freschezza che gli proveniva dalla rasatura fatta solo un'ora prima; era quasi maniacale il suo gusto per una rasatura quotidiana e capillare, tanto che ricordava, quasi provando un pò di pena per sè stesso, di quando ragazzo aveva ingaggiato una sorta di guerra con tutti quei peli che gli spuntavano sul viso, fino a tentare ogni giorno di estirparli con la pinzetta; naturalmente, alla fine, si era arreso, avevano vinto loro.

Si lavò poi il viso e stropicciò gli occhi con acqua fredda, per sciogliersi da ogni residuo di sonno; poi si inumidì i capelli e per un pò si guardò allo specchio, e intanto si muoveva i ciuffi sulla fronte, cercando di darsi la foggia con cui sentirsi più gradevole; finalmente in pace con la propria immagine, decise di uscire, ma già pensando che, appena i suoi capelli si fossero asciugati, subito si sarebbe anche dissolta la sua percezione di autocompiacimento.

Ma così era e non poteva farci niente e doveva andare.

Contrariamente alle sue abitudini decise di andare a piedi verso la casa di Giovanni, in fondo da casa sua non distava che qualche centinaio di metri; però ugualmente, quasi sempre, ci andava usando la sua utilitaria.

Anche se non voleva indagare più di tanto sulle ragioni di questa apparente pigrizia, dentro di sè le intuiva bene; si trattava di un suo antico disagio, che aveva poi fatto ben poco per scrollarsi di dosso, a camminare lungo le strade del suo paese; conviveva con un invasivo senso di improprio che lo portavano ad essere rigido e controllato e senza spontaneità, e in questi frangenti sempre pensava “ ah Giovanni, cosa mi hai fatto?!...”

E adesso non riusciva a non stupirsi pensando a come quel Giovanni, che vedeva ora completamente rimbecillito, quasi una larva umana, che gli suscitava compassione, avesse potuto avere tutto il potere che aveva avuto su di lui e sul suo equilibrio interiore e, seppure con un certo senso di colpa, non riusciva a non dirsi “ eh, evidentemente c'è una giustizia da qualche parte, che alla fine fa quadrare i conti...”

Si incamminò verso casa di suo padre, e dopo una brevissima resistenza per quei passi per lui inconsueti, cominciò subito a sentirsi leggero e disinvolto, del tutto immemore degli antichi disagi che temeva; trovava piacere in quel cammino, nel guardarsi intorno, nell'osservare con un pò di più attenzione le case ben ordinate e recintate che solitamente vedeva solo in modo sfuggente dall'abitacolo dell'auto.

Gli veniva quasi da chiedersi il motivo del senso di leggerezza che provava, e subito gli sembrò chiaro che era il pensiero di Irene a renderlo così, il pensiero che fra poco l'avrebbe vista ed avrebbe potuto parlarle. Gli sembrava l'unica ragione per cui adesso si sentiva così riconciliato con la vita.

Assorto nelle sue osservazioni e nei suoi pensieri gli capitò di salutare in modo distratto e quasi indifferente alcuni conoscenti che aveva incrociato sulla via ed anche questo gli sembrava normale e bello.

Si trovò a passare davanti alla chiesa, era appena finita la messa ed il sagrato era accalcato di fedeli che dopo la cerimonia si radunavano in piccoli crocchi. Si soffermò per qualche momento nell'osservazione di quel movimento ed intanto non riusciva a liberarsi di un suo grande senso di separazione rispetto a quel che vedeva.
Si ricordò della sua prima età, quando di quell'atmosfera del dopo messa si sentiva completamente parte, e sentiva anche una punta di nostalgia dentro questo ricordo. Sentiva anche con un certo dispetto la trasformazione di quei luoghi: la chiesa era sempre la stessa, ma tutto l'intorno gli appariva arido e vacuo; sentiva nostalgia per gli alti cipressi che adesso erano scomparsi; ricordava il groviglio di pigne, che in certi periodi ricoprivano il suolo, e di come allora riuscisse a renderle un gioco e diventassero nella sua fantasia delle bombe a mano, da scagliare contro gli amici- nemici.
Non avrebbe saputo dire com'era avvenuta la sua separazione da tutto quel mondo, ricordava però che era stato un distacco abbastanza veloce, dapprima istintivo ma poi sempre più cosciente e pensato. Adesso, osservando quelle tante persone che lì trovavano una ragione per stare insieme, un po' rimpiangeva quel tempo in cui anche per lui era facile sentirsene parte. Rapidamente riemerse da quella ondata di nostalgia, la sua freddezza critica riprese in lui il sopravvento e non poteva non rilevare tutto l'esercizio di ipocrisia che avveniva davanti ai suoi occhi; pose di importanza, grandi sorrisi, strette di mano, di persone che poi quotidianamente si invidiavano e sotterraneamente non avevano nessuna remora a farsi del male; rientrando nella sua freddezza, ogni nostalgia di quel tempo perduto, subito svaniva e la riduceva a quello che era, pura illusione di bimbo; e si consolava che fosse forse più apprezzabile quella sua “ pulita solitudine” che non far parte di quel coacervo di “ contrasti celati”.
Ormai era quasi arrivato alla casa di suo padre, già la vedeva in lontananza.
Oggi poteva entrarci a colpo sicuro, non correva nessun pericolo di imbattersi in Augusta.
Trovarsi faccia a faccia con lei gli procurava un'insofferenza insopportabile, non era che succedesse nulla, ma lo stesso niente lo avrebbe fatto entrare in quella casa se solo in lontananza ne avesse intuito la sua presenza.
E adesso invece sentiva con grande dolcezza la sicurezza che lei non c'era ed ancor più la prospettiva che avrebbe potuto stare un pò con Irene e senza nessun timore di invadenti presenze.
Mentre si avvicinava al portoncino d'ingresso si sentì attraversare da un'ondata di timidezza, tutto l'entusiasmo che l'aveva accompagnato fin'allora nell'avvicinarsi a quella casasembrava aver fatto posto, in quei rapidi istanti, ad una grande insicurezza.
Si sentiva come fuori posto, come se mancasse in fondo di giustificazioni valide per quella sua visita. Irene avrebbe subito intuito come strano che lui si facesse vedere a quell'ora; aveva sentito lui stesso Augusta che le diceva “ Sergio è molto puntuale, viene ogni giorno alla stessa ora del pomeriggio per vedere Giovanni, ma se per caso succede qualcosa e ti serve la sua presenza, c'è il suo numero sopra il telefono e starà presto ad arrivare...”
Presentandosi a quell'ora per lui strana si sentiva completamente scoperto, più o meno come se incontrandosi le dicesse “ ho un debole per te e non ho resistito alla voglia di vederti..”
E per questo si avvicinava a quel momento con tanta timidezza; non aveva mai saputo esprimere con spontaneità i suoi sentimenti più intimi e sentiva adesso con particolare forza questa sua difficoltà.
Ma fu un attimo e gli bastò un piccolo sforzo di volontà per fugare questo stato d'animo.
“ Chissà perchè devo sempre pensare che gli altri si facciano tutte le problematiche che mi faccio io? Sono venuto per trovare mio padre, e basta. Anche se non è la mia ora canonica cosa importa? E se anche capisse il mio debole per lei non è in fondo proprio quello che desidero... che lo capisca?”
Davanti al portoncino ancora un'ultima esitazione, tentennava se fosse meglio aprirlo usando la sua chiave oppure suonando il campanello e facendosi aprire da lei.
Si risolse però subito e pensò a come lei avrebbe potuto sentire molto più educato che si fosse fatto annunciare dal campanello e non le fosse invece apparso all'improvviso in casa.
Si concentrò e infilò il dito nel pulsante e il tenue suono del campanello si propagò nelle sue orecchie quasi fosse stato un gong.

Passarono solo pochi istanti che la porta si aprì.
Michele Serri 22/10/2013 18:15 885

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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