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Ernesto

Sociale e Cronaca

Elda vide la Vespa rallentare e accostarsi all’ argine. Stava per piovere, lei sul ciglio dello sterro camminava in fretta per tornare a casa. Non aveva l’ ombrello e mancava ancora un chilometro buono al casale. Se fosse scoppiato un temporale non avrebbe potuto ripararsi.

“ Ehi scusa” disse il ragazzo sulla Vespa “ sai dove abita il Moresco?”

“ Chi?” chiese lei senza fermarsi.

“ Il Moresco, uno sugli ottantacinque, che vive solo qui nella Bassa.”

“ Il Marione, vuoi dire! Il Mario, sì, un brav’ uomo…”

“ Ehi, ma perché non ti fermi un momento, che mi fai cadere…”

“ Non vedi che sta per piovere? Mica ho l’ ombrello e nemmeno il casco come te.”

“ Ti si rovina la messa in piega, eh?”

“ Che fai? Ti prendi confidenza, che neanche ti ho mai visto prima?”

Il ragazzo sulla Vespa si era fermato. “ Dai, ti do un passaggio! Salta su, così mi porti dal Moresco… dal Mario…”

“ Il Mario sta più giù di casa mia!” disse Elda sedendosi sul sellino posteriore. Il ragazzo diede gas e riprese velocità sulla strada. Fece un chilometro e cominciò a piovere.

“ Menomale che sto arrivando” disse la ragazza, e tentò di ripararsi con la borsa.

“ Stai tornando dal lavoro?” chiese il ragazzo.

“ Ti pare che vengo da una balera sul fiume?”

Il ragazzo sorrise e pensò che lei era simpatica, infagottata nel suo cappottone blu. Aveva appena sbirciato per vederle il viso, dalla carnagione chiara, un po’ pallido, le labbra rosa chiaro. Ma gli occhi, non era riuscito a vederne bene il colore.

“ Fermati, dai, chè sono arrivata. Per il Mario continua per circa un chilometro… Se vedi una casuccia in mezzo alle felci, è lì che abita. Beh… ciao.”

Era già scesa dalla Vespa e si stava avviando sul piccolo sentiero che portava al suo casale.

Il ragazzo la chiamò: “ Bella tosa… come è che ti chiami?”

“ E che te ne importa?” rispose lei voltandosi.

“ Hai il moroso, eh?” fece lui sorridendo.

“ E starei qui a dirlo a te, chè neppure ti conosco.”

Il ragazzo restava fermo con il motore acceso.

“ Allora bella tosa?”

“ Dai, che ti bagni come un pulcino… Elda mi chiamo… e tu?”

Il ragazzo sorrise, mentre cominciava a piovere più fitto.

“ Ciao, Eldina bella!” le disse, dando un colpo d’ acceleratore.

“ Non lo dici il tuo nome, brutto toso?” chiese lei fermandosi sotto la pioggia che scrosciava.

“ Ernesto” gridò lui mentre andava via.

Pioveva che era un diluvio. La bicocca del Moresco si vedeva appena dalla strada, nascosta tra alti cespugli. Non c’ era neppure un sentiero. Il ragazzo dovette arrangiarsi e attraversare con la Vespa il campo di piante selvatiche. A guardare da fuori, sembrava non ci fosse nessuno.

“ Ehi, Moresco, ehi, Marione!” cominciò a chiamare, picchiando alla vecchia porta di legno.

“ Chi sei?” Rispose una voce dall’ interno “ la porta è aperta….basta spingere un po’!”

Il ragazzo spinse, ma non riuscì ad a aprire.

“ Devi metterci un po’ di forza… sei fiacco!” proseguì la voce dall’ interno.

Con una spinta la porta si spalancò a metà. Il ragazzo fece per entrare, e sentì subito l’ odore di minestra. Cavolo e verze. Dentro l’ ambiente era abbastanza accogliente, pulito, tendine gialline alle due finestre. Le pareti erano di legno di ciliegio, c’ erano due travi a vista e infondo alla stanza il focolare acceso. Da lì veniva l’ odore intenso e la pentola era sulla grata che serviva anche per cuocere la carne. Il Moresco era seduto su una vecchia poltrona. Era vicino al camino, aveva una coperta marroncina sulle gambe, il viso rugoso un po’ acceso, la barba di una settimana, i capelli bianchi lunghi raccolti in una crocchia in basso sulla nuca, lo sguardo intenso sotto due folte sopracciglia bianchissime.

“ Non sono Babbo Natale” disse al ragazzo che lo guardava attento “ Chi sei? Non ti ho mai visto da queste parti? Vieni da Reggio?”

“ Oh, no” rispose il ragazzo sorridendogli “ non da così lontano… son venuto da Carpi con la Vespa. Son tutto fradicio.”

“ Asciugati qui! Lo vedi, c’è un bel fuoco. Sei di passaggio? Come fai a conoscere il mio nome di battaglia? Chi te l’ ha detto?”

“ Mi manda mio padre. Mi chiamo Ernesto, sono il figlio dell’ Achille.”

Il vecchio sobbalzò di stupore.

“ Il figlio dell’ Achille? Ma non è possibile! L’ Achille ed io cinquanta anni fa si stava in montagna insieme. Si faceva la guerra… la guerra partigiana! Ma vedi te la vita… L’ Achille… E come sta?”

“ Eh” sospirò il ragazzo mettendosi a sedere su uno sgabello accanto al fuoco “è più di un anno che è morto. Mi parlava spesso di te, di quando eravate insieme sui monti… Son venuto perché lui me lo ha chiesto. Devi cercare il Moresco, mi diceva, promettimi che lo cercherai e che gli andrai a dire che sono morto.”

Il vecchio abbassò lo sguardo per nascondere l’ emozione. “ Mi spiace, figliolo… beh, tuo papà era un tipo… forte, sai?”

Il ragazzo lo guardava sorridendo. “ Vedi, Marione, io sono nato venticinque anni fa. Mio papà si è deciso tardi a fare un figliolo. Ha fatto me con mia madre quando lei aveva ventidue anni e lui sessantuno. Si sono incontrati a Monza. Lui allora abitava e lavorava là. Mia mamma faceva la barista.

Lui la vedeva tutti i giorni e sai com’è? una sera lei si è fatta riaccompagnare a casa. Già le faceva il filo, perché lei era una compagna, ma soprattutto per il suo bel sedere, mi diceva. Mia mamma aveva un moroso giovane, ma quella sera se lo volle scordare: lui voleva lei e lei voleva lui. Lei pensava che poteva essere suo nonno, ma a farci l’ amore era meglio del suo moroso... forse successe quella sera lì o forse dopo… sta di fatto che quando lei gli disse che era incinta, lui era felice, perché di un figlio, diceva, aveva proprio bisogno ora che stava invecchiando. Mia mamma andò a vivere con lui e non si lasciarono più. Era buffo vederli insieme in giro al paese… i suoi amici, verdi di invidia, rosicavano: se l’è presa giovane e se la spassa quel vecchiardo, mormoravano. ‘ E’ tua figlia?’, chiedevano invece certe sue conoscenti che, prima che ci fosse mia mamma, sgallettavano con lui di nascosto dei mariti… Mio padre faceva ancora la sua figura, caro il mio Moresco…” Il ragazzo parlava e sorrideva e il Marione aveva gli occhi che gli luccicavano.

“ Tuo papà era un bel fustone, sì… Chissà le donne, pensavamo… e invece niente. Lui allora in testa aveva solo la lotta e la politica. Niente donne. Non ci pensava proprio, neppure a quelle che venivano a stare qualche volta da noi. Le trattava da compagne, mai allungata una mano... Che tipo che è stato tuo papà!”

“ Sì, ma con mia mamma si è rifatto del tempo perduto… Mi fai ringiovanire, le diceva lui. Ed era vero. Comunque anche prima di mettersela in casa, prima di mia madre, lui ne ha avute di donne… ma figli no. Almeno così mi diceva.”

Il Moresco si accese un mezzo toscano sputando verso il focolare.

" Lui pensava troppo alla politica. Dopo la liberazione mi dissero che era partito per la Francia per conto del partito. Sì, lui voleva diventare un politico. E la stoffa ce l’ aveva. Sacrificava tutto per quella sua idea. Sai, ragazzo, noi si lottava insieme allora. Io ero per l’ anarchia e ancora lo sono.” E, sollevando un pugno in aria, gridò “ Anarchia, sola via!” poi tacque un attimo come turbato. “ Tuo papà era comunista, uno della federazione giovanile, un capogruppo.”

“ Sì, lo so” rispose il ragazzo “è morto da comunista mangiapreti. La vecchia guardia... Mia madre mi dice che quando era incinta, lui pensava che mi avrebbe chiamato Fidel, ma a lei quel nome non piaceva. Allora lo chiameremo o Karl o Ernesto, come il Che. A lei il Che piaceva. Era un mito, si sa. Così fu deciso il mio nome. Per come la vedo io, è un po’ impegnativo e io non sono della stoffa di mio padre!”

“ Achille era il nome che si era scelto tuo papà quando venne su per i monti.”

Ora il Moresco aveva un’ aria assorta, fumando a grandi boccate il suo mezzo sigaro.

“ Non volle dirci subito come si chiamava davvero. Una sera che eravamo di guardia, aspettando che arrivassero i crucchi, gli chiesi a bruciapelo: Ma com’è che ti chiami nella vita? Lui, imbacuccato nel suo giubbone verde scuro, senza voltarsi verso di me, mi disse: Hai detto ‘ vita’, vero? Ecco, quando si ritornerà liberi, mi dovrò ricordare di chiamarmi Berardo! Io risi. Che becerata di nome! Berardo… come un cane… di quelli che salvano i dispersi tra la neve… E lui sbuffando: ma che minchionate dici? Intanto quelli sono i san bernardo, ignorante di un anarchico! E poi sempre meglio di Benito, o Umberto, o Adolfo, no?”

Il Moresco rideva, sul viso il calore delle fiamme del focolare. Quando guardò il ragazzo, aggiunse con un tono ammirato “ Tuo papà era istruito. Qualcuno mi disse che studiava per diventare medico…”

Il ragazzo stava fumando una sigaretta.

“ Sì, dopo la guerra andò in Francia. Lì finì di studiare medicina e dopo la laurea volle fare il chirurgo all’ ospedale di Nancy negli anni ’ 50. Lavorava ancora per il partito, ma aveva la fissa di Castro, della rivoluzione cubana, così nel ‘ 53 decise di lasciare l’ Europa. Neppure ritornò a salutare i suoi vecchi. Si imbarcò per L’ Avana perché voleva lavorare per la rivoluzione. Anche la medicina deve fare la sua parte, diceva. Ci rimase fino alla morte di mio nonno. Forse gli fece impressione di non aver più salutato il suo vecchio, di aver perso tanto di vita dei suoi cari, o forse si sentiva già stanco e deluso… insomma dopo il funerale non ripartì più. Si trovò una condotta a Monza. Il resto te l’ ho raccontato.” Il Moresco sorrideva ancora, poi gli chiese “ Ma tu sei compagno, vero? Mica avrai dato dispiacere a tuo papà?”

“ Giusto voi nostalgici, vecchi anarchici illusi, usate ancora questa parola… Ora non si dice più così!”

“ Ah sì?” ora il vecchio avrebbe voluto prendere il bastone e dare un bel colpo alle gambe del ragazzo. “ Bravo il mio revisionista! Come ti permetti di parlarmi così? Porta rispetto, ragazzo, che tuo papà se fosse qui ti darebbe un bel po’ di legnate sulla groppa!”

Si era fatto buio, fuori pioveva ancora e si era levata una fitta nebbia, come succede di novembre nella Bassa.

Il Moresco badava al fuoco e di tanto in tanto lo riattizzava. Il ragazzo lo guardava silenzioso. Avrebbe voluto chiedergli di mangiare insieme quella minestra fumante nella pentola e di poter restare lì a dormire da lui per quella notte. Perché lui quelle zone della Bassa non le conosceva bene da poterci girare al buio con la Vespa.

“ Hai fame ragazzo?” chiese all’ improvviso il vecchio, quasi gli avesse letto nel pensiero.

“ Sì e questo odore di minestra mi fa brontolare lo stomaco.”

“ Allora alzati, prendi la pentola dal focolare, due ciotoloni e due cucchiai nella credenza. Metti tutto su questo tavolino. Intanto io faccio arrostire quattro castagne che mi ha portato il Cosimo qualche giorno fa. Il Cosimo è il marito della Luisa, che abita ad un chilometro da qui, in un casale. L’ avrai visto passando sulla strada.”

“ Hanno per caso una figliola carina, nell’ età giusta da farci un pensiero?”

“ Ehi là, ragazzo… non parlare così della figlia del Cosimo. E’ una brava bambina.”

“ A sentir te, Moresco, sembrerebbe una non svezzata… A me è sembrata una bella tipa che la sa lunga…” Il ragazzo sorrise “ L’ ho incontrata mentre venivo con la Vespa. Le ho dato un passaggio. Sarebbe bello rivederla ancora.”

Il Moresco lo guardò e fece un mezzo sorriso.

“ Eh, no, caro il mio casanova, quella non è roba per te… E poi non sei nemmeno tanto compagno… non te la meriti una così cara figliola!”

“ Eh no, il mio Moresco… Per me è giusta! E’ troppo giovane per te, per farti la barba!” e rise di gusto mentre il Moresco cominciò a inveirgli contro.

“ Pezzo di sudicione, come ti permetti? Elda diventerà mia nipote. E’ fidanzata con Alberico, il figlio di Libero, mio figlio. Il mio unico nipote maschio! Fa il carrozziere a Ferrara insieme al padre…è un bravo compagno.”

Il ragazzo non ebbe il tempo di replicare, che la porta si aprì e apparve lei, Elda, sotto una mantella blu scuro, fradicia di pioggia.

“ Buona sera, nonno Marione!” Si accorse del ragazzo e aggiunse “ Sei ancora qui? Ti ci sei trasferito, per caso?”

“ Signorina, i miei rispetti!” scherzò il ragazzo sorridendo. Ma gli brillavano gli occhi per la contentezza di rivederla, così, con il suo viso umido di pioggia, mentre si toglieva la mantella.

“ Eccola, la mia preferita! Non per dir male delle mie nipoti di Ferrara… E’ che loro le vedo poco... ”

E quasi si stava per commuovere.

“ Vieni, cara, noi si mangiava una ciotola della tua ottima minestra.”

“ Voi e questo qui?” chiese lei fingendosi stupita. Intanto lui la guardava e lei con un’ occhiata capì di piacergli.

“ E’ il figlio di un compagno con cui si è fatta la resistenza sui monti. L’ Achille... Tuo nonno lo conosceva, sì, c’ era anche lui sui monti a quel tempo…” e si volse verso il fuoco, come per inseguire un bel ricordo.

Il ragazzo ora vedeva bene alla luce della fiamma l’ incarnato di lei e come erano trasparenti e chiari i suoi occhi verdi.

“ Hai gli occhi colore dell’ acqua marcia” le disse per scherzare.

“ Non devo piacere a te” rispose lei rabbuiandosi.

“ Ma l’ acqua marcia è la mia passione” riprese lui, avvicinandosi al suo viso, quasi volesse rubarle un bacio, lì davanti al Moresco, a costo di esser picchiato.

“ Signorina, vuol favorire? Aggiungo una ciotola?”

“ No, grazie” rispose lei pronta “ Marione sa che non mangio a quest’ ora. E poi ero qui per aiutare lui … ma visto che c’è la compagnia…”

“ Grazie cara!” rispose il Moresco “ mi dispiace per te che ti sei fatta tutta la strada sotto la pioggia… Stasera c’è un ospite arrivato all’ improvviso. Ci penserà lui a rigovernare. Se hai premura di tornare a casa tua, va’ pure e salutami i tuoi.”

Lei invece si avvicinò al focolare “ Mi fermo giusto un po’ qui davanti al fuoco per asciugarmi…”

Il ragazzo le guardava i capelli scuri raccolti sulla nuca con un nastro bianco a fiorellini rossi.

“ Dov’è che vai a ballare di sabato sera?” le chiese strizzando l’ occhio al vecchio, che rispose con una smorfia.

“ A ballare ci vado solo col mio moroso”

“ E’ un ragazzaccio, sai, bambina?” intervenne il Marione “ Il padre era serio… diciannove anni aveva il suo papà, quando si stava sui monti. Lui invece a venticinque non è serio per niente, ha voglia di scherzare anche a sproposito…”

“ Ma tu Moresco, oltre a tuo figlio Libero non hai nessuno?”

Il vecchio sospirò malinconico. “ Sono vedovo da tre anni, sto su questa poltrona perchè non posso più camminare. La mia povera Franca mi ha accudito per vent’ anni, da quando ebbi l’ incidente al cantiere dove lavoravo. Una brutta caduta e rimasi privo delle gambe… nel senso che non mi rispondevano più. I medici mi dissero: caro Marione, ora sì che te ne vai in pensione! Ci fecero persino la rima, quei balordi! Ero ancora giovane, sì, in spalle e… in gambe! Ma si sa che i padroni sono grandi maiali sfruttatori. La mia Franca mi ha fatto due figli maschi, però uno lo perdemmo per la poliomelite negli anni ’ 50, un bel maschietto di tre anni e mezzo. Quando ci nacque Libero, lo vaccinammo e venne su sano e forte, con bei muscoli. A diciotto anni, dopo l’ avviamento, se ne andò a lavorare a Ferrara come carrozziere e si sistemò, casa moglie e tre figli.”

Il vecchio a parlare dei nipoti sembrava di nuovo commosso. Il ragazzo se ne accorse e disse per distrarlo “ Ehi Marione, ho una gran fame. Mi riempi la ciotola?”

Poi rivolto all’ Elda “ Sicura di non volerne assaggiare un cucchiaio?”

Lei guardandolo con un mezzo sorriso “ Vuoi che non sappia che gusto ha la mia minestra? Sai che da tre anni cucino al Mario e lui non si è mai lamentato… vero, Marione?”

Il vecchio annuì, mentre versava la minestra fumante nelle due ciotole. “ Cara Elda, tu sai viziarmi come la mia povera moglie…” La ragazza stette lì a guardarli mentre mangiavano di gusto.

“ E’ davvero buona, signorina!” disse il ragazzo guardandola negli occhi “ Ehi, Marione” disse masticando un boccone di pane abbrustolito “ Potrei restare a dormire qui da te per stanotte? Mi accomodo sulla stuoia, davanti al focolare… non ti darò noia.”

“ Ah ah!” rise il Moresco “ vuoi inzepparmi di pulci questa bella stuoina che ha cucito la mia povera Franca? Giammai, mio piccolo- borghese saputello!

Un vecchio anarchico, come mi vanto di essere, può ancora offrirti il suo comodo letto al piano di sopra… Ci dormivo prima di perdere l’ uso di queste inutili gambe…” e con un alare diede con rabbia un colpo alla destra, come fosse stata la gamba del tavolo.

“ E tu dov’è che dormi?” chiese il ragazzo.

Il moresco indicò un piccolo divanetto che era accanto alla finestra.

“ Lì. E’ un letto per giovanotti che hanno fatto la guerra sui monti… Gente come te non ci starebbe comoda!” concluse ridendo.

Elda stava già rigovernando la cucina, lavava le stoviglie. Poi si asciugò le mani e andò a sollevare il vecchio per metterlo a letto. Il ragazzo voleva aiutarla, ma lei diceva che ce la faceva benissimo da sola.

“ Mica mi servi” gli disse, ma il tono era dolce.

Il Moresco quando fu sotto le coperte, la pregò di mostrare al ragazzo la stanza di sopra.

Salirono la scala di gradini di pietra, Elda davanti e lui dietro. Dal basso il vecchio li guardava. Il ragazzo lo sapeva e attese che Elda aprisse la porta e entrasse ad accendere la luce. Poi la prese tra le braccia e la baciò. Lei si staccò, ma senza reagire, anzi gli sorrise.

“ Ecco il letto del Marione” gli disse a voce più alta per farsi sentire da basso “ Ci starai comodo…”

“ Con te di sicuro” le sussurrò il ragazzo a voce bassa.

“ Beh io devo andare, buona notte” e nel salutarlo si lasciò ancora stringere e baciare. Poi scese in fretta le scale, tirandosi su il cappuccio della mantella. Rossa in viso e senza voltarsi, salutò il vecchio.

“ Buonanotte Marione, a domani” e si chiuse la porta dietro le spalle.

Il ragazzo ridiscese lentamente le scale accendendosi una sigaretta.

“ Sai che qui da te si sta un gran bene…” disse aspirando insieme al fumo il dolce sapore di quel bacio.

“ Ah, lo so anch’ io” rispose il Moresco con tono orgoglioso “ Qui ci verranno i due piccioncini… ma dopo la mia morte!”

“ Ma di chi parli? dell’ Elda e del suo moroso?” chiese un po’ imbronciato.

“ Certo! E chi se no? Il mio Libero ha il suo bell’ appartamento in città… questa casa sarà di Alberico e di Elda e dei loro pulcini. E’ deciso.” concluse quasi soddisfatto.

“ Alla faccia dell’ anarchia” ironizzò il ragazzo sogghignando “ ma non eravate contro la proprietà?” e sorridendo si accovacciò accanto al fuoco.

Il Marione, coricato nel lettuccio, gli colpì bonariamente la testa con il suo bastone di legno. “ Pezzo di borghesaccio mascherato! Non mi fai paura con le tue battute pesanti… L’ anarchia è un’ idea assoluta. Che vuoi che c’ entri con questa casa, che mi sono costruito pietra su pietra con il sudore della mia fronte! Ho comprato la terra pagando le cambiali, caro il mio revisionista!”

“ Ma dai, Moresco, scherzavo! Mi sembra giusto avere qualcosa. La rivoluzione non è mica per far vincere la povertà… Certo l’ idea della proprietà è dura a morire! Non ci siete riusciti voi vecchi, dopo la guerra, la fame, la dittatura… Voi avete perso un’ occasione… Noi la proprietà ce la teniamo cara!” concluse sorridendo con un po’ di amarezza. “ Però, che l’ Elda stia qui è giusto. E’ il posto adatto a lei… magari se volesse prendersi un altro compagno…”

“ Ma che dici?” replicò il vecchio con un’ espressione preoccupata “ Si sposeranno. E’ deciso. Perché dovrebbe cambiare idea?”

“ Dai, Moresco, non ci pensare. Ti lascio dormire.” Il ragazzo si avviava verso le scale “ Non ti dar pena per me. Domattina ti preparo la colazione e poi riparto. Mi ha fatto piacere, sai, conoscerti!” concluse, prima di aprire la porta della stanza “ Mio padre sarebbe stato contento.”

Quando fu a letto, sotto le coperte e tra le lenzuola che odoravano di lavanda, il ragazzo pensò ancora all’ Elda. Avrebbe voluto rivederla e dirle di scappare via insieme, senza una meta, sulla Vespa, solo loro due. Contro il mondo. E al diavolo anche il Moresco con le sue idee balorde di programmare la vita agli altri!

‘ E’ solo un vecchio rimbambito’ pensò mentre si addormentava.

Dormivano tutti, anche al casale dell’ Elda. Da basso la nonna Fabiola, il letto accanto al focolare, come quello del Moresco. I vecchi come i gatti amano il calore delle braci. Al piano superiore c’erano le stanze dei ragazzi, l’ Elda e il Mirko, di undici anni, e quella dei genitori, la Luisa e il Cosimo.

Erano passate da poco le due, quando ci fu quel gran botto. Un boato che fece sussultare la Bassa. In un momento venne giù tutto.

Il ragazzo aprì gli occhi, ma gli sembrava di essere nel mezzo di un brutto sogno. Un incubo.

Mentre dormi ti senti chiuso in uno spazio minimo come quello di una bara e provi paura e allora ti svegli e apri gli occhi.

A lui sembrava di averli aperti. Vedeva qualcosa di indistinto nella penombra, ma niente assomigliava alla stanza nella quale era entrato poche ore prima. Avvertiva rumori dall’ esterno, ma non riusciva a muoversi. Da fuori non una voce né un grido. Solo rumori sordi di qualcosa che crollava giù, forse pietre e grossi macigni. Dov’ era il letto? si chiese. Dove le lenzuola e la calda coperta tweed? dove gli arredi? Ma che razza di sogno stava facendo? si domandò preoccupato e quasi impaurito. E il Moresco? Avrebbe voluto chiamarlo, ma dal basso il vecchio non lo avrebbe sentito. Forse dormiva troppo profondamente…

Se è un incubo, si disse, ora voglio proprio che finisca qui. Meglio sognare l’ Elda, quei suoi occhi colore dell’ acqua marcia, tanto belli! Gli sembrava di vederli… ma sì, lei era lì, davanti a lui e sorrideva.

“ Ti è piaciuto quel bacio?” Il ragazzo sentiva la propria voce. Certo le stava parlando, ma era nel sogno. La ragazza non rispondeva. Sorrideva e basta e lui continuò a chiederle “ Ehi, dimmi, ti è piaciuto?”

Tntanto avvertiva una fitta alle gambe, e un’ altra alla clavicola sinistra e le mani… non sentiva più le sue mani.

A poco a poco riuscì a distinguere una delle travi del soffitto: gli stava a meno di un palmo dalla testa. Tutt’ intorno pezzi di muro e una gran polvere che gli mozzava il respiro. La finestra era sparita. No, qualcosa c’ era. Una specie di fessura trasversale. Così gli sembrava. Non si sentiva le mani, e neppure le braccia… non vedeva che quella fessura con un po’ di luce di fuori…

“ Ciao Ernesto!” gli sembrava la voce dell’ Elda, ma dov’ era?

Cercò con gli occhi e vide un’ ombra attraverso la fessura. Allora sorrise, come rassicurato…

Era in un sogno, un po’ brutto e un po’ bello. Ma forse più bello che brutto, perché adesso i dolori neppure li sentiva più.

“ Dai, che ti aiutiamo ad uscire di lì.”

S’era fatto più buio. Aveva di nuovo un gran sonno, quel sonno che ti prende e te non puoi resistergli…

Chiuse gli occhi pensando alla sua Vespa, a correrci su per andare via, lontano con l’ Elda.

La terra sussultò ancora.


Bianca M Sarlo 26/03/2014 23:00 1157

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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