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L'indiano Sommatis

Fantasy

Molti anni fa, nel lontano ovest, viveva l’ indiano pellerossa Sommatis che tradotto nella lingua dei bianchi significava “ Prende lucciole per lanterne”. Apparteneva alla tribù dei Comanceros della stirpe dell’ Acqucetosa.

La guerra con i bianchi era terminata da parecchi decenni ed era costata un gran numero di morti tra gli indiani: indomiti e coraggiosi guerrieri, si erano coperti di gloria, ma la superiorità tecnologica del nemico, li aveva costretti alla resa. Ormai i selvaggi pellirosse erano diventati mansueti vaccari o garzoni di bottega e comunque bene integrati nella comunità dei bianchi.

Vedete, quando lo scontro tra individui è così aspro e cruento, nasce nella vittima che soccombe una particolare condizione psicologica che lo porta all’ ammirazione per il carnefice; si crea tra i due un legame maniacale che può sfociare anche nell’ amore per l’ altro. Questa vera e propria patologia prende il nome di “ Sindrome di Stoccolma”.

Sommatis, quantunque non avesse assistito alle crudeltà della guerra, ne era affetto nella forma più grave e degenerativa. Già era un indiano un po’ sui generis: non sapeva cavalcare, non conosceva i segnali di fumo ed era talmente negato con l’ arco che non avrebbe colpito un bisonte addormentato a un metro di distanza. In compenso però, era bene inserito nella società dei bianchi: parlava correntemente la loro lingua, vestiva come loro e frequentava abitualmente l’ accampamento. Volle anche cambiare nome; non più Sommatis ma “ Prende cantonate” rigorosamente nella lingua dei bianchi: se no, non si girava! Immaginate un po’ la difficoltà degli amici comanceros quando lo chiamavano da lontano!

Il padre gli aveva trasmesso un’ ammirazione riverente per l’ uomo bianco, considerato di razza superiore. Col tempo poi, si convinse che tutti gli alti gerarchi avessero anche il dono dell’ immortalità; ma, a onor del vero, va precisato che molta influenza ebbe sulla sua formazione sia l’ apologia epica, sia certe dottrine mistagogiche inculcategli da educatori bianchi. Nessuno allora si meravigliò, quando, nonostante le sue origini, divenne uomo di fiducia e braccio destro del capitano Red, comandante della guarnigione. Aveva sgomitato, fatto e rotto alleanze per arrivare a quella posizione e ora impiegava il tempo in salamelecchi, inchini e genuflessioni per restarvi ben saldo!

Un bel giorno, mentre lucidava gli stivali del capitano che erano particolarmente sporchi, si sforzò, ebbe l’ infarto e stramazzò a terra morto stecchito! Lo spirito allora gli uscì dal corpo, girovagò un po’ per l’ etere, attraversò il famoso tunnel e alla fine atterrò su un immenso prato verde. Davanti a lui si ergeva la possente sagoma di un giovane guerriero indiano: il colore della pelle uguale al bronzo, una corona di penne variopinte gli inghirlandava la fronte e gli scendeva fino alle anche, un gonnellino di cotenna lo cingeva in vita scoprendogli i quarti inferiori delle natiche e un lungo pugnale con manico d’ oro gli galleggiava nell’ aria sul fianco sinistro.

“ Dove mi trovo?” pensò lo spirito ” e chi è costui? Non sarà mica Manitù, il Dio dei selvaggi?” La paura e lo stupore gli colorarono l’ aura di un rosso vermiglio. "Non temere, sono proprio io, il Dio della tua gente e anche di tutti gli altri popoli” Lo confortò Dio perché in paradiso c’è la telepatia! A queste parole lo spirito ebbe un sussulto “ Ma come?” continuò pensoso “ ho speso tutta la vita al servizio dei bianchi, ho consumato ogni loro rito, ho adorato il loro Dio perché unico e solo nell’ universo... mi aspettavo un paradiso con cori angelici, squilli di tromba e altari dorati! Invece mi ritrovo in un paradiso indiano con un Dio di cui ho sempre negato l’ esistenza? Che ne sarà di me?”.

A questo punto la figura scomparve e una voce gli telepaticò (?) dentro: ” Caro fratello! Tu stai vedendo ciò che ancora materializza la tua paura, ma non c’è corporeità per Dio; e come potrebbe esserci per un sentimento? Quale materia grossolana può dare sostanza all’ Amore puro? Nessuna! Tu sei qui e ancora stai contando i riti che hai consumato, le litanie e i mantra recitati per l’ uomo bianco… Chiediti piuttosto se nella tua vita hai mai Amato abbastanza!”.

A quelle parole lo spirito restò turbato… poi, in un lampo di genio, si mise a contare tutte le volte che era stato in intimità con la squaw.

Certo non cambiava mai! Restava sempre il solito unico e inimitabile “ Prende lucciole per lanterne”!


Andrea Garofalo 05/04/2014 10:33 808

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Immaginate un grande, immenso oceano e ogni singola goccia d'acqua che lo compone. Allora io vi dico che quell'oceano è Dio e ogni singola goccia rappresenta ogni singolo essere umano presente sulla faccia della terra.
Vi dico anche che Dio è la somma del bene racchiuso in ogni persona sulla terra
»

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Il primo racconto pubblicato:
 
Il pescatore contadino (05/02/2014)

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Il regno di Anellandia (04/03/2014, 1568 letture)


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