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Una sera, un destino

Dramma

Torno dalla palestra con calma, quella calma che permette, il traffico della città, nelle masse di persone impegnate a rientrare nelle proprie case, in prossimità dell’evento cena. Guido con una sola mano, la sinistra è appoggiata fra il vetro e la plastica dello sportello, mentre sono immerso nei miei pensieri. Il cellulare suona, proprio nell'attimo in cui avrei bisogno di entrambe le mani per guidare. Lo sfilo dalla tasca e sbircio il piccolo video. C'è il nome di mia moglie. L’accosto all'orecchio, presa insicura fra spalla e testa, facendo acrobazie per riuscire a guidare. Devo deviare dal mio percorso: mio figlio è andato a far compiti da un amico ed occorre andarlo a prendere. Bene, chiudo il cellulare e lo metto in tasca, mentre una macchina, mi supera nervosamente, con il suo conducente esagitato che mi mostra il medio, prima di sparire. Non mi sono accordo di aver rallentato e creato una piccola coda . Aumento la velocità e ben presto, sono in vista della casa del compagno di scuola di mio figlio. Non conosco la famiglia, solo la madre che vedo di sfuggita la mattina, all'apertura della scuola. Fermo la macchina lungo la parte destra ed attraverso la strada. Un leggera corsa per arrivare dall'altra parte, e sono all'entrata del giardino della villetta a schiera. Mi guardo attorno, il giardino è molto curato, tutto in ordine, diversamente da casa mia, ove vige quel caos speciale. Quasi immediatamente si apre la porta della casa, ed esce mio figlio di corsa, una corsa frenetica, mi arriva addosso come un treno, quasi mi travolge. E' grosso per essere un ragazzino di 10 anni. Lo guardo in viso, passandogli come al solito le mani fra i capelli, ma non è il solito viso sereno, c'è l'ombra di una paura, che sembra immobilizzarlo. Sulla porta, esce prima il suo compagno e poi la madre. Anche loro, hanno un viso strano, stravolto. Il bambino corre verso mio figlio, ma mio figlio, ruota attorno alla mia gamba, come per mettere un ostacolo, uno scudo di protezione. A questo punto, comprendo che lo strano è diventato insolito ed inquietante. Tento di strappare una spiegazione, parlando con tono rassicurante a mio figlio, ma è chiuso in un mutismo assurdo. Dal suo sguardo, comprendo solo che sembra cercare in me un conforto. Allora, mi avvicino, non con fatica, per via del ragazzino aggrappato alla gamba che cerca di fare resistenza, alla porta di casa, dove la donna, con un golfino blu sulle spalle ed una gonna sdrucita di un assurdo colore viola, mi tranquillizza freneticamente, mi dice che è tutto a posto, che è solo un equivoco. Però ha un ematoma sotto lo zigolo destro, che le deforma un po' l'occhio, le fa assumere un'espressione disperata ed impaurita. Si accorge che sto fissando il suo viso e lo abbassa. Le chiedo ancora che succede, ma lei mi dice di andare, che putroppo non può stare a parlare troppo e che le dispiace. Di cosa le dispiace? Nessuna risposta, ma dietro le sue spalle, percepisco un trambusto nel buio, ed emerge una mano robusta, che la sposta dalla porta in maniera brusca, gettandola da un lato come un panno sporco. Esce un uomo. Non mi accorgo che mio figlio si è staccato dalla gamba ed ha messo vari metri fra me e lui. Il suo compagno invece è accanto alla madre, aggrappato come un'edera al fusto di un albero. Li guardo e quell’immagine ha un che di consolidato, uniti in quel delirio. L'uomo mi fissa. Ha il volto scuro, di chi durante il giorno, estate ed inverno, lavora fuori all'aria aperta , il corpo tozzo e le braccia robuste, non quel tipo di braccia da palestra, ma quelle che potrebbero lavorare ininterrottamente in ogni condizione, senza mostrare fatica. Occhi neri, senza un velo di espressività, come se fossero senza vita,fissi in avanti, su di me. Nella mano destra, piegata doppia, ha una cinghia, una di quelle che servono a sorreggere il pantaloni. Mi ci vuole qualche attimo, nel prendere atto della situazione, mentre l'uomo, additandomi con il tozzo dito indice, mi ammonisce, in tono volgare e minaccioso, di andarmene e portarmi via il ragazzino, che non sono di certo affari miei.Mi arriva il suo alito, puzza di cognac, arretro appena, non mi aspettavo un simile attacco. Gli chiedo di calmarsi e darmi spiegazioni su quel che sta succedendo, anche cambiando tono di voce, più deciso, sul perchè mio figlio sia spaventato, e mi giro a cercarlo, accorgendomi che è oltre il cancello del giardino, lontano da noi e ci sta fissando. L'uomo mi guarda, senza cambiare espressione, socchiude gli occhi e intuisco che le mie parole non sono la risposta che si aspettava. Io ho solo una maglietta leggera, di cotone con un disegno fantasy,immagini del vecchio film Hair, ed il coltello a serramanico che esce veloce dalla tasca, affonda facilmente la lama nella mia carne. E' un dolore che dura un'eternità e la sorpresa mi impedisce di comprendere quello che sta succedendo, mentre arretro, metto la mano sulla ferita, all'altezza dell'ombelico, sulla parte sinistra. La maglietta si tinge subito di una grande macchia di rosso scuro e sulla mano sento il caldo del mio sangue. La moglie emette una sordo lamento, portandosi le mani alla bocca, come per zittirsi, ed il marito, alza la mano destra armata di cinghia su di lei. E’ una minaccia, che non si conclude , ma la donna si copre il viso come i bambini, che dopo la prima sberla, imparano rapidamente dalla gestualità a proteggersi nei primi movimenti dal braccio che li minaccia. Perdo lucidità, sono sotto shock e dalla mia bocca non esce alcun suono, è secca , un vago sapore di rame, ma poi l'istinto di sopravvivenza mi fa allontanare , camminando all'indietro, di qualche passo. L'uomo intima alla moglie ed al bambino di rientrare. Come ombre furtive gli scivolano dentro la casa, mentre lui riprende attenzione su di me. Sento che sto per svenire, ma una voce dall'interno, mi dice, che se svengo, forse quello è il primo gradino per un inferno più profondo, senza ritorno. Sento la voce di mio figlio che mi chiama, ormai è accanto all'auto, dall‘altra parte della strada. L'uomo lo vede, sorride con freddezza, e gli dice di avvicinarsi per soccorrermi, che sto molto male. Mi giro verso mio figlio. Provo ad urlare, ma non ce la faccio, al secondo tentativo, esce un urlo soffocato, che mi causa un dolore lancinante. Ma l'urlo è sufficiente per farmi udire e dissuadere definitivamente il ragazzo dall'avvicinarsi. Gli urlo di andare a casa, non è poi cosi lontana e lui sa come raggiungerla. L'uomo sembra perdere sicurezza, minaccia il ragazzo, levando il coltello insanguinato, ma la sua azione, ha l'effetto di incentivare la fuga di mio figlio. Lo vedo correre e sorrido. E strano come in questi momenti, la mente acquisti una lucidità tutta sua. Ora sento il dolore,insopportabile, mentre mi giro, piegato, con entrambe le mani sul ventre. L'uomo si è avvicinato deciso, con il coltello in mano, piegato verso il basso, ma poi ha esitato. Si guarda attorno e coglie un anziano, della villetta di fronte, che fissa la scena, dal suo giardino. Sembra riflettere, ma nel frattempo il sangue, mi cola sulle gambe. Alzo appena la maglietta. Il taglio è netto sull'addome, lungo e profondo, pulsante e getta sangue come un tubo dell'acqua squarciato. Mi rendo conto che sto ad un passo dal perdere i sensi e cado in ginocchio.L'uomo, getta il coltello da un lato, sporco del mio sangue. Guardo il suo gesto, fissando il coltello fra l'erba. Non comprendo, è il delirio della mancanza di sangue al cervello. Dietro di me un rumore, il cancello si apre, urli, intimazioni, l'uomo che alza le mani. Tutto diventa solo oblio, e cado con la faccia a terra. Ho un pensiero ambiguo, prima di perdere i sensi. Sul mio prato non riesco mai a far crescere un'erba cosi tenera , solo una dura ,rada, erbaccia marrone, come se fossero tante piccole spine.Poi precipito nel nulla.Voci, luci, grida ed ancora buio, silenzio. Poi una singola voce, che mi chiama nell'oscurità. Non la riconosco, ma è calda, dolce, confortante. Mi ritrovo a pensare alle mattine invernali, di tanti anni fa, mentre mia nonna preparava la colazione e mi raccontava dei tempi passati, durante la guerra, del freddo, della neve, dei patimenti passati. Ho nostalgia, l'immagine di lei in cucina è cosi reale. Alla fine l'abbraccio, con quell'emozione che solo nei sogni è possibile provare, nella consapevolezza di sfiorare,ancora una volta, quelle persone che non ci sono più. La voce continua a chiamare ed una luce soffusa riprede lentamente, ad illuminare il mio universo. Ora distinguo un bagliore, odo rumori, altre voci. Passa ancora del tempo, un tempo che non posso quantificare, ed ogni istante resto fra il sogno ed una realtà che prende sempre più forza vitale.Sino a che, apro gli occhi.Ora vedo chiaramente il volto, sconosciuto,ma il camice,che sborda sul collo con lo stetoscopio, mi suggerisce che si tratta di un medico. Mi sono svegliato, viene decretato da un piccolo coro che nasce ad onda, come fosse un eco di entità sconosciute. Per qualche giorno, resto in quello stato e poi pian piano, la lucidità si ricompatta completamente. Mi dicono che sono rimasto in coma per tre mesi.La ferita e la relativa perdita di sangue, mi ha lasciato debole, quasi senza vita. Sono rimasto in rianimazione per molto tempo, il che, ha fatto temere ai medici il peggio. Ma poi i segni vitali si sono stabilizzati ed ho recuperato.Mi hanno dato centocinquanta punti, la prima parte della ferita è profonda, ha interessato muscoli ed addome, per un soffio, ha mancato la milza. Il medico mi dice che dopo aver piantato il coltello, l'uomo ha forzato il taglio della lama sullo stomaco per vari centimetri, un taglio trasversale e che è un miracolo che me la sia cavata. Ritrovo la mia famiglia, mio figlio, mia moglie ed i miei genitori. Si vede che sono stati in pena, i loro visi sono tesi, segno che è stata dura per tutti. Mi faccio raccontare la vicenda.Mio figlio fuggendo, fortunatamente incontra un'auto dei carabinieri. Si getta quasi sotto la macchina per fermarli e riesce a portarli sino alla casa.L'uomo si fa arrestare senza opporre resistenza.E' malato, psicolabile,con un passato di ospedali psichiatrici, picchia moglie e figlio, maltrattamenti sempre documentati da referti clinici, nessuna denuncia della moglie, per paura di una rappresaglia. Ma questa volta c'è l'aggressione ad un esterno alla famiglia. Arresto condanna ed incarcerazione, anche perchè, mi dicono, i carabineri hanno trovato una pistola carica, nascosta in cantina con la matricola limata.

Esco dall'ospedale dopo quattro mesi, quasi non riesco a camminare, la ferita ancora mi brucia, ho le gambe che mi fanno male,la schiena spezzata dalla posizione nel letto . Passo i giorni di convalescenza a casa, fra libri e DVD, ed il pensiero di quello che è successo, ma soprattutto, del perchè è accaduto.

Sembrava una sera come tante, ricordo ora , a quattro mesi di distanza. Muore così tanta gente, forse quel giorno la misura era colma e il destino è passato oltre.

Un anno dopo, sento suonare alla porta. Vado ad aprire, mi ritrovo davanti lo stesso uomo, che quella fatidica sera mi ha accoltellato. Ha il viso scavato, sembra dimagrito, ma è lui, senza alcun dubbio. C'è un lungo attimo di silenzio.Poi penso che dietro di me, c'è mia moglie e mio figlio e ho l'istinto di chiudere velocemente la porta. Ma lui mi fa segno, non ha intenzione di entrare, mi dice che gli dispiace, che era un brutto periodo, che era depresso, alcolizzato e che poi durante e dopo la prigione si è curato, ed ora sta meglio e che ha aveva la necessità di confessarmi che era cambiato. Io lo guardo, come si guarda uno spettro, emerso dall'aldilà. Gli dico che non mi interessa, di andare via e di non provare a tornare. Gli dico che segnalerò ai carabinieri che è venuto. Lui fa un cenno di assenso, come se si aspettasse una reazione del genere, poi si volta e se ne và. Chiudo la porta. Mi giro verso mia moglie e mio figlio che sono in cucina. Mi chiedono chi era alla porta. Solo una persona che aveva bisogno di un'indicazione, ma è andata.

Vado in bagno e mi butto sotto la doccia. Piango appoggiato al muro, sino a che mia moglie, non viene a chiamarmi per la cena.

Il giorno dopo, do la segnalazione ai carabinieri, mi dicono che ne terranno conto e ci andranno a parlare, con quell'uomo,che ora vive in una comunità, la moglie ed il figlio sono andati in un’altra città, ma che forse le sue parole erano sincere. Molti cambiano, dopo la prigione.

Si, anch'io sono cambiato, e la sera prima di addormentarmi, nel buio della stanza, rivedo a rallentatore, il mio sangue sulle mani e sento la vita, come una linfa sfuggirmi fra le dita, senza speranza.


Gianpiero 12/12/2010 10:16 2 1007

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Il racconto è pura fantasia. Ogni riferimento a persone o cose, è puramente casuale»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«complimenti, di questi tempi che non si legge molto, scorre bene, ed è piacevole sapere come finisce...»
Adriana

«Davvero avvincente, da leggersi tutto d'un fiato mentre le immagini scorrono nitide, quasi reali, sotto gli occhi. Complimenti.»
Daniela Ferraro

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Anno: 2009 - ISBN: 978-88-6096-494-6


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Il primo racconto pubblicato:
 
Riflessioni di un bambino (01/11/2010)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Una notte qualunque (23/06/2011)

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Una notte qualunque (23/06/2011, 1567 letture)


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