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"Un'altra vita" cap. 30

Amore


"Sono con te...” questa fu la sua
concisa ed immediata risposta.
Sergio sentì con
enorme emozione la quasi contemporaneità con cui gli era
arrivata, quasi fosse stato il suo stesso cuore a premere i
tasti delle parole del messaggio, come se i loro pensieri
fossero così intimamente connessi da viaggiare
all'unisono, e capaci di travolgere le logiche della
fisica e del possibile.
Ancora impulsivamente
le scrisse “ aspettami...” e ancora, quasi simultanea,
gli arrivò la risposta, come un tonfo nel suo cuore
“ sempre ti aspetto, da sempre ti
aspettavo".
Entrò in cucina, sul tavolo
c'era il caffè fumante che Silvia aveva appena versato,
i loro tempi erano cronometrati, sulla scia di
un'abitudine per cui anche gli orologi sembravano
inutili. Uscivano alla stessa ora per andare al lavoro, e da
molto tempo le poche parole che si dicevano, prima di
uscire, alle quali Sergio avrebbe preferito il silenzio,
erano solo tese sollecitazioni di impegni in sospeso, di
cose da fare, che Silvia immancabilmente gli rimarcava e a
cui lui, svogliato ed estraneo, assentiva. Sempre le stesse
parole a cui avrebbe certo preferito il più pieno
silenzio.
Più estraneo di sempre bevve
rapido il caffè, poi subito si alzò.
“ Io vado a scuola... ci vediamo...” mentre lo
diceva, si era già pentito. Perché le aveva mentito? Sarebbe stato più saggio
dirle che si era dato malato.
Sapeva quanto
fragile fosse quella bugia, e certo lei avrebbe saputo della
sua assenza, non le sfuggiva mai niente.
Per lui quella bugia era una sorta di diga temporanea,
grazie alla quale gli sembrava di potersi liberare
immediatamente, di potersi esentare da domande e altre
domande, cui avrebbe dovuto rispondere con altre bugie, in
una sequenza senza fine.
In effetti, nel
pronunciare quella frase, neppure l'aveva guardata
negli occhi: stava dicendo la stessa frase che ripeteva ogni
mattina, la frase più normale fra loro. Ma, il sapere che
non era sincera, bastava a trasformare tutti i suoi
comportamenti, rendendoli a loro volta non spontanei e
insinceri.
Questo non sfuggiva alla
percezione di Silvia; ma tutto, da sempre, era così
inestricabile e privo di possibilità di comprensione, che
non ci fece caso più di tanto.
Si sentiva spinto da una frenesia di vedere il più
presto possibile Irene, un bisogno così forte, come di una
droga. In pochi minuti arrivò nel cortile della casa di suo
padre, posteggiò l'auto, celata alla vista sotto un
piccolo portico, e già era davanti alla
porta. Stava
per suonare, poi vide che la porta era solo accostata, gli
bastò spingerla piano per entrare.
Irene lo stava aspettando, veloce si era avvicinata
dopo aver sentito la macchina. immediatamente si
abbracciarono, sulla scia del loro flusso emotivo, di un
abbraccio profondo e interminabile, amalgama delle
loro energie. Per tanto tempo rimasero così, immobili,
provando un'indicibile pace; tutte le tensioni che in
quelle ore li avevano attraversati nel desiderio di
ricongiungersi, adesso, dentro quell'abbraccio, erano
svanite.
Da lì, silenziosamente,
passarono in cucina, dove sedettero al tavolo, lei aveva
preparato un caffè. Le loro effusioni, che vivevano di
sguardi, di rapide carezze, di sensuali contatti, non
cessavano, spinti dalla loro impulsiva attrazione; nella
stessa stanza c'era anche Giovanni, nel suo solito
angolo, come sempre muto e apparentemente inconsapevole. Non
potevano non chiedersi se davvero non si accorgesse di nulla
e se i loro comportamenti affettivi non fossero fuori luogo
davanti a lui; ma niente faceva loro pensare che lo
toccassero in qualche modo. Soprattutto non credevano per
nulla che quel loro espresso amore, potesse essergli in
qualche modo dannoso. A Sergio parve addirittura di cogliere
un bagliore divertito, nello sguardo diversamente perso di
Giovanni.
Rapidamente si raccontarono le
loro ultime ore, dopo che si erano lasciati il giorno prima.
Soprattutto Sergio provò a raccontare tutte le sensazioni
del suo rientro a casa, e tutta l'ambiguità
irrisolvibile, o che almeno lui così sentiva, dentro cui si
era sentito immerso; ma si dissero soprattutto il calore che
avevano continuato a sentire inalterato dentro di loro
anche dopo che si erano divisi, e il parallelo bisogno
avevano avvertito forte di toccarsi di nuovo, assorbirsi
ancora.

Elena quel mattino stava facendo il suo solito giro di
spese, e anche la sua solita passeggiata, con la speranza di
incontrare qualcuno con cui chiacchierare e tenersi
sempre informata sulle ultime piccole o grandi vicende che
potevano essere successe nel groviglio di interessi,
famiglie e persone, del piccolo paese.
Era stato forse un caso (caso che, comunque, lei
aiutava in tutti i modi), per lei, vedere la macchina di
Sergio girare ed entrare nel cortile del padre; il moto di
sorpresa era stato immediato, ma poi aveva subito messo a
fuoco ciò che da tanti giorni aveva capito. Di
sorprendente, si disse quasi sorridendo tra sè e sè, non
c'era proprio nulla: era solo un appetitoso altarino, di
cui le sarebbe piaciuto avere il monopolio dell'intero
disvelamento. Sapeva per certo che Sergio, per consuetudine,
a quell'ora dal padre non ci sarebbe mai andato, e per
lei non c'erano molti dubbi sulle ragioni di questa
eccezione.
Gironzolò ancora alcuni minuti
per la strada, prima di decidersi a puntare dritta verso il
suo obiettivo. Sentiva un certo disagio all'idea di comportarsi
troppo da impicciona, ma un disagio che aveva subito
accantonato, tanto forte era la sua curiosità di scoprire
senza veli come stessero le cose.
Si decise e, a passi veloci, entrò nel cortile. Di
qui, con forzata indifferenza, andò verso la porta di
servizio, fiduciosa di trovarla aperta come, con grande
soddisfazione, la trovò.
In fondo, per lei
tutto questo rientrava nella normalità: da molti anni
frequentava quella casa, per interventi di assistenza, più
o meno frequenti, al vecchio Giovanni. Per questo era
diventata per lei una prassi normale entrare per quella
porta, e anche in quel modo non programmato, per questo lo
faceva sentendosi dalla parte della ragione.
Arrivata davanti alla porta della cucina, si fermò un
istante: sentiva dall'interno parole più sussurrate che
dette, che non riusciva a capire. Certo le percepiva come
molto confidenziali, affettuose; lo avrebbe desiderato, ma
non osava prolungare troppo quella sua situazione di ascolto
furtivo. Si decise ad entrare; bussò sulla porta in modo
lieve un paio di volte e, senza attendere risposta,
l'aveva già spinta e spalancata. Ciò che vide non le
lasciò dubbi nell'interpretazione del rapporto che
poteva esistere fra Sergio e Irene.
Come in una fotografia scattata all'improvviso,
Elena li colse mentre, distolti dal suo ingresso nella
stanza, si scioglievano rapidamente dal loro abbraccio,
probabilmente da un bacio, pensò.
Elena subito assunse un comportamento che significava
di non aver visto niente, o quasi niente, e che comunque
quello che aveva visto non avesse importanza.
“ Scusate, forse disturbo, ma non sapevo fossi qui,
Sergio. Passavo di qua ed avevo pensato di fare una visita a
Giovanni per vedere come stava.”
Il desiderio di Irene sarebbe stato di risponderle,
senza mezze misure, che immaginava perfettamente quali
intenzioni l'avevano portata là, e in quel modo
inatteso. Ma, per quanto fosse certa delle sue
interpretazioni,
non le riusciva di essere così diretta, di negare con forza
le vesti di apparenza indossate da altri. Non era nel suo
carattere. Rispose in tutt'altro modo.
“ No, nessun disturbo, anzi a Giovanni fa certo piacere
vederti, ogni tanto ti nomina, e si che lui non ricorda
quasi nessun nome... prendi un
caffè?” “ no grazie, devo ancora andare in un sacco di
posti, sono sempre di corsa” rispose Elena, mentre il suo
sguardo indagatore si era rivolto su
Sergio. Gli chiese
“ come mai qui, Sergio, oggi niente scuola?” fingeva
disinvoltura, ma inrealtà, per quanto le apparisse una
persona semplice, le suscitava sempre una certa soggezione,
col suo modo distaccato, indifferente ai cerimoniali, alle
formalità. Con lui si sentiva scoperta, le normali
schermaglie e recite della vita erano davanti a lui
completamente inefficaci.
“ No, oggi mi sono preso un permesso, sono venuto a vedere
mio padre, adesso vado in città... devo sbrigare
certe faccende di burocrazia di cui farei volentieri a
meno”
Rispondendo, Sergio aveva cercato di atteggiarsi alla
massima naturalezza, ma intanto, e sempre impulsivamente,
continuando a giustificare la sua assenza da scuola con
sempre nuove bugie. Era infastidito da se stesso,
pensò.L'imbarazzo tra loro era tangibile, fu Sergio
allora, perché forse di più faticava a sopportarlo, a
interromperlo.
“ Ora vi saluto, devo sbrigarmi, alla prossima allora”
Detto questo, senza neppure aspettare risposte, con modi
quasi furtivi, uscì dalla cucina e se ne andò.
Elena, che avrebbe volentieri seguito il suo esempio, si
sentì quasi costretta a recitare fino in fondo la parte che
aveva iniziato. Si accostò a Giovanni, che come una statua
se ne stava immobile nel suo solito angolo.
Con enfasi invadente gli stropicciò il viso, come fosse un
bambino, intanto gli rideva e gli parlava ad alta voce
“ come stai Giovanni? Allora sei contento di vedermi? Ti
ricordi di me? Di Elena?”
Dopo tanti stropicciamenti ed insistenze, come se si fosse
svegliato da un lunghissimo letargo, Giovanni bofonchiò
alcune parole, che per i non “ addetti ai lavori”
sarebbero forse riuscite incomprensibili; per quanto
Giovanni fosse quasi sempre chiuso in un mutismo quasi
assoluto, muto non era, e qualche volta accennava qualche
parola o delle frasi elementari. Spesso se ne usciva con
cenni che si riferivano al suo più lontano passato; qualche
volta, quando ritrovava la voce, lo faceva anche con un tono
perentorio, quasi autoritario, attraverso cui riemergeva con
chiarezza la persona un po' brutale e autoritaria che
era stato.
“ Chi sei tu? Io non ti conosco, cosa vuoi da
me?” La sua
uscita aumentò il disagio, anche se lui non aveva davvero
più memoria di nessuno, con l'eccezione dei due figli,
che sempre subito distingueva e di cui ricordava il nome.
Elena pensò bene di trattenersi, comunque, ancora un
po', ravvivando la conversazione con Irene, forse
anche col desiderio di provocarla.
“ Lo so, lo so, che la sua memoria va e viene, e magari in
un altro momento si ricorda bene di me...” una piccola
pausa, poi subito continuò “ allora, come ti trovi qui?
Con Augusta va bene? E' un po' severa, ma poi anche
giusta, basta saperla prendere. Con Sergio mi pare ti trovi
bene e mi pare che ti stia aiutando molto ad ambientarti.
Devo dire che, per tutto il tempo che sono venuta qui, non
l'avevo mai visto così presente premuroso con
Giovanni” Lasciò
cadere con noncuranza queste osservazioni, e Irene,
seppure la sua indole la portasse alla gentilezza, non aveva
nessuna voglia di continuare quella conversazione. Le
allusioni, neppure molto celate, la disturbavano, e si
sforzò allora di essere quanto più evasiva e sbrigativa
possibile.
“ Si, mi trovo bene qui. Ho nostalgia di casa, certo,
soprattutto vorrei vedere i figli, ma mi trovo bene.
E' un ambiente tranquillo e gentile. Scusami però
adesso Elena, adesso mi devo sbrigare, ho lenzuola e vestiti
da mettere in lavatrice”
Elena, capendo che non c'era terreno fertile per le sue
domande maliziose, dopo qualche breve commento, si decise a
sua volta di andare.
Appena si trovò in strada, si senti agitata, combattuta tra
il forte desiderio di andare in giro a spettegolare sulla
ghiotta novità che aveva scoperto, e la titubanza nel
farlo, sia per i legami che aveva con quella famiglia, sia
per non rappresentarsi proprio come l'inguaribile
pettegola che era.
Così si dominò nel suo spontaneo impulso di mettersi
subito a ciarlare con le prime persone incontrate sulla via,
e cominciò a riflettere su come meglio le sarebbe convenuto
comportarsi.
Si aspettava da un giorno all'altro una telefonata di
Augusta, la chiamava sempre per incaricarla di qualcosa
presso il padre, e allora avrebbe pazientato fino a quel
momento e in quella occasione avrebbe certo trovato le
parole giuste, dette con astuzia, un po' in sordina, per
mettere sul tavolo tutto quello che accadeva in quella casa;
solo allora, senza più scrupoli, avrebbe potuto scatenare
la sua lingua lunga per le vie del paese.
Non passarono che poche ore, Elena stava pranzando, quando
la telefonata di Augusta arrivò.
“ Ciao Elena, più tardi andresti a dare un'occhiata a
Giovanni? Gli potresti misurare la pressione e intanto vedi
come stanno le cose... non mi fido molto di quella là, mi
sembra un po' addormentata, e che pensi più ai fatti
suoi che non a quello che deve fare, l'altro giorno
l'ho anche rimproverata, che il bagno non era pulito
come doveva essere. Lei mi ha risposto che le sembrava
pulito, ma già, a quelle basta venir qua a portarsi a casa
i loro soldi, e se non le controlli bene, e quando non fanno
di peggio, portano solo disordine e confusione. Allora, per
favore, puoi andare fino lì, poi mi riferisci?”
Elena restò per qualche attimo in silenzio, le sembrava
adesso il momento buono per assestare il suo colpo, e si
lanciò nell'impresa.
“ Io davvero ci andrei subito, lei sa bene, Augusta, che
con lei mi sono sempre trovata bene, e con la sua famiglia,
vero? Però questa volta non me la sento. Combinazione sono
passata di là proprio stamattina, ma mi hanno fatto sentire
davvero come un'intrusa. Dico “ mi hanno fatto”
perché c'era anche Sergio, là. Lei sa bene che a me
non piace “ parlar male”, insinuare sospetti, e neppure
posso dire di aver visto niente, o almeno non ne sono
sicura, ma là c'era qualcosa di strano, fra Sergio e
Irene. Davvero mi hanno fatto sentire persona sgradita, e,
lei lo sa bene, Augusta, io ho una dignità, e dove non mi
sento gradita evito di andare. Ma, naturalmente, se mi
potrà assicurare che sono state solo mie cattive
percezioni, lei sa che potrà sempre contare su di me... ma
per adesso preferisco aspettare quelle sue
rassicurazioni”
Nel sentire quelle confidenze subito si scatenò la rabbia
di Augusta; un'ira che probabilmente era insita nel suo
carattere, e che premeva costantemente in lei per uscire,
che forse sentiva quasi come una liberazione. Era evidente,
e il trovare qualsiasi pretesto per darle sfogo quasi
costituiva per lei un piacere; il fratello era uno degli
obiettivi principali di questa sua insita rabbia,
anche se non sempre le riusciva facile scontrarsi con
lui. Infatti si erano troppo irrigiditi fra di
loro. Questa le
sembrava una buona occasione, e con buoni motivi, così come
qualsiasi falla che le sembrava di trovare nei comportamenti
di lui, l'aveva sempre riempita di una smisurata
passione rabbiosa; e siccome non sapeva bene come avrebbe
potuto riversarla direttamente sul fratello, già pregustava
quando l'avrebbe fatto su Irene, certa che aggredire lei
sarebbe equivalso ad aggredire Sergio.
Così, con
intollerabile alterigia, Augusta da quel momento cominciò a
recarsi dal padre numerose volte al giorno, con le scuse
più inverosimili. Creava dei problemi a Irene, facendole
continuamente osservazione sui suoi modi di condurre la
gestione della casa e di badare all'anziano. Si trattava
di sfumature, in quanto Augusta faticava a mettere a fuoco
reali mancanze nell'adempimento di Irene delle proprie
mansioni. Ma l'accanimento divenne accanimento vero,
quella nuova aura di felicità possibile che Augusta
respirava in quella casa, che di felicità ne aveva
conosciuta così poca, sembrava mandarla intimamente in
crisi.
In questo modo,
ancora più di una moglie tradita e gelosa, lei si agitava
in casa di Giovanni; appunto ci andava molto più
frequentemente del solito, capitando a tutte le ore, anche
di notte. Irene colse perfettamente, in quelle occasioni,
gli occhi di Augusta dardeggianti sugli eventuali segni
della possibile presenza di Sergio tra quelle
mura. Quando, invece, Sergio c'era davvero,
nonostante che l'atmosfera fosse così difficile per
loro, ugualmente erano presi dalla grande tenerezza
reciproca che li avvolgeva come luminosa bambagia, facendo
loro provare una pace interiore che nessun evento esterno
riusciva a compromettere. Non era necessario che si
dicessero molto, e anche se appena possibile si parlavano,
non era perché avvertissero importanti delle spiegazioni, o
motivi, ma solo per il reciproco piacere di mescolare le
proprie voci, di arricchirsi ognuno delle parole, e quindi
dei pensieri, dell'altro. Gli abbracci erano fugaci, in
realtà si sentivano sempre come braccati; in quella
fugacità avvertivano il dolore della percezione che gli
altri avevano, o avrebbero avuto, della loro relazione, che
in nessun modo poteva essere recepita per cosa era o loro la
sentivano, di puro amore. Per quanto entrambi
sentissero che questo - la percezione della gente -
non aveva una reale importanza, ugualmente erano
consapevoli che l'essere nel mondo presentava loro quel
costo da pagare: l'inaccettabilità del loro
legame. Così, nonostante Irene trascorresse molte ore
della notte sveglia a immaginare un possibile futuro per
loro, nemmeno per un attimo pensò che davvero un futuro
concreto fosse per loro possibile. Percepiva e capiva
l'essenza di lui, fragile e forte insieme e molto
particolare: sentiva lui come una pianta che fosse
incredibilmente cresciuta tra i sassi, ma che da quegli
stessi sassi non potesse essere sradicata, se non perdendo
completamente la propria possibilità di
vivere. A questi pensieri, improntati sempre alla
comprensione più forte che riuscisse a sentire per la
natura complessa di lui, che del resto lui così
candidamente e con generosità le offriva spontaneamente
come essenza stessa dell'amore che le dava, a questi
pensieri erano andate aggiungendosi delle preoccupazioni.
Aveva ricevuto delle telefonate, quasi minacciose, di Carlo,
suo marito. Anche i suoi figli avevano per lei nuovi toni,
più freddi, quando li chiamava. Aveva il dubbio che, con il
passa parola delle badanti del suo paese d'origine,
qualcuno avesse debitamente messo la pulce nell'orecchio
ai suoi familiari a proposito della sua vita privata, presso
quella casa dove lavorava. Ne era angustiata e
in pena, ma ugualmente non riusciva a sentirsi in colpa: le
ragioni dell'amore sentito con immediatezza erano troppo
forti in lei per pentirsi della sua relazione con Sergio.
Soltanto, con angoscia, si chiedeva quanto tempo restasse
loro a disposizione per potere stare ancora vicini, e
assorbirsi uno nell'altra.

Michele Serri 06/11/2014 23:30 899

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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