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La prima volta che m’incantai ad osservare le stelle

Biografie e Diari

Ci stendemmo su quel morbido prato, chi su di un lato, chi con la schiena adagiata, aspettando che il sonno giungesse...

Disteso supino, m’ incantai ad osservare le stelle, sperando così di addormentarmi più in fretta. Ma più le osservavo e più il mio interesse per quella infinita tela di punti brillanti aumentava ed assumeva l’ aspetto di un gioco. Mai prima di allora avevo ammirato il cielo con quella attenzione. Alcune stelle sembravano muoversi, quasi oscillare. Cercavo di seguirne il movimento, ma forse era solo dovuto all’ effetto di quel luccichio. Alcune sembravano più vicine, altre, infinitamente lontane. Ed erano queste, quasi invisibili, ad attirare la mia l’ attenzione, e pensavo
“ Ecco, fin laggiù mi è concesso vedere, ma oltre quei limiti? ... che ci sarà oltre. Forse, il nulla, oppure, tutto continua per sempre, senza mai una fine”.
E proprio come in un gioco immaginavo di immergermi in quello spazio, oltre i confini dei sensi, sempre più in là, e viaggiare... viaggiare per secoli e secoli, senza mai sosta. Immaginavo così di lasciarmi alle spalle, in quell’ eterno fluire, stelle e soli, poi, altri pianeti come la Terra e ancora stelle, e altri soli e ancora pianeti, in un viaggio senza mai fine. E pensavo al nostro mondo, così piccolo al confronto di un universo maestoso e a noi come evanescente polvere al vento, forse ancor meno, o neppure eravamo, se non per un solo secondo. E una domanda incominciava lentamente ad insinuarsi nella mia mente, come un tarlo caparbio, insistente, che penetra sempre più a fondo nel legno, come un’ ansia o un enigma per il quale non avevo risposte. Solo noi? Perché solo noi, poi... un continuo, infinito ripetersi di luci, di ammassi di stelle, ma nessun altro simile a noi? Solo a noi era dunque concessa un’ esistenza pur breve in questo ampio scenario, un’ esistenza da cui stillavamo ogni singola goccia, quelle dolci svanivano in un solo momento, quelle amare consumavano i sogni con lentezza infinita.
Solo noi dunque, così simili a quel Dio, pur Egli un enigma. Quel Dio che ci aveva eletti custodi di quell’ universo, mentre noi, suoi unici figli in tutto il creato, quasi a ricambiarne l’ onore, nel designarlo quale verità assoluta.
Procedevo nello spazio di quella notte stellata, dove tutto mi era concesso, perché ero veloce, potente, ovunque, ero la perfezione, e nulla mi era negato.
Come un raggio di luce m’ inoltravo per quella distesa infinita... senza mai fine... senza segreti. E vedevo miliardi di stelle, di soli infuocati, di pianeti che vi ruotavano attorno. Orbitavano tutti fin dall’ inizio dei tempi attorno ad una massa infuocata e non era loro concesso alcun movimento che fosse diverso da quanto deciso da un sole padrone, da una regola ignota, o dal loro stesso volere.
Per quanti procedevano, chissà per quale ignoto disegno nel loro eterno percorso, lungo quella linea racchiusa e lontana dal benefico calore emanato dall’ irruenta sorgente di fuoco, ecco, per loro, era gelo... il gelo assoluto. La luce, quasi inesistente, la vita, concessa chissà a quali esseri capaci di sopportare tali tormenti. Erano forse muniti di corazze, se ne andavano tristi e agghiacciati, mendicando tepore tra i profondi strati di terra, alla ricerca di un magma residuo, oppure, gioivano lieti della loro atmosfera?
Quando il caso, o chissà quale altro fatto a noi ignoto, stabiliva un più intimo raggio tra servo e padrone, non soltanto tepore, ma la potenza di una perpetua fucina si riversava su una terra che assumeva sembianze d’ inferno.
Quale essere poteva subire una simile pena? Nessuno? Forse uno o più d’ uno, forse anche milioni, la cui unica ragione di vita nasceva, come l’ acqua per noi, da benefiche lingue di fuoco che ne avvolgevano i corpi.
C’ era dunque un posto per tutti, ma non per esseri simili a noi, con i quali parlare, giocare alle carte, spassarsela una sera a bere del vino, o fare l’ amore.
Intanto procedevo nel viaggio, dove l’ immaginazione non incontrava più ostacoli, ma una serie infinita di corpi celesti, racchiusi in uno spazio che sfidava la mia fantasia .
Ed ecco apparirmi pianeti simili alla Terra, non uno, ma dieci, mille, e miliardi e miliardi di pianeti, ed ancora era niente. Ecco, non proprio identici al microscopico granello di luce sul quale stanno aggrappati quanti conosciamo o che abbiamo un tempo incontrato, ma anche santi, grandi generali, illustri scienziati, e sommi artisti, geni, uomini potenti, tutti...
Tutti quanti hanno realizzato le loro imprese qui, proprio su questo microscopico granello di sabbia, e tutto in un solo attimo, neppure un secondo, tanto che quanto gli esseri dove il gelo è assoluto, quanto quelli che dimorano tra le fiamme, non ne hanno saputo mai niente.
Eppure, tutti ricordano, e tutti i libri parlano dei nostri eroi, anche se tali per un attimo appena.
Ecco, non proprio simili al microscopico granello di luce sul quale poggiavo la schiena, ma erano tanti, e poi altri ancora... infiniti.
E sempre un sole era al centro, a dominare la scena, come il nostro, e alla stessa distanza; anche l’ aria era la stessa, e l’ acqua, e i monti, i fiumi, le nuvole e il mare. Ma non erano popolati da esseri umani, né vi erano porti né case.
Una serie infinita, miliardi e miliardi di sfere ricoperte dai monti, dalle distese del mare, da infinite pianure solcate da fiumi. Tutte a ricevere i raggi di una sfera di fuoco. Iniziavo a distinguere pianeti abitati. Vi erano enormi creature dalle forme più strane, poi, ecco comparire uccelli, scimmie, e infine, esseri simili a noi, ed erano umani. Tutto attorno i loro villaggi, fabbriche, porti. Alcuni, dalle classiche forme di un antico passato, altri, a formare ammassi di ferro e di vetro, costruzioni glaciali svettanti nel cielo a perforare le nuvole, a sovrastare montagne.
No, non vi erano limiti ad ostacolare la mia fantasia, e tutto era lì, tutto era possibile. Ecco laggiù comparire quanto già conoscevo. Città simili a Genova, a Napoli, a tutti i paesi del mondo, e il mio viaggio... era solo all’ inizio... dinanzi a me l’ eterno infinito.
Davanti, dietro, per tutte le direzioni, lo sconfinato espandersi dell’ impossibile, liberato dai mediocri vincoli della mente, diventava possibile.
Ignorando le classiche forme del passato, o quanto mi si offriva in sembianze futuriste, l’ attenzione era catturata solo dalle analogie con il presente... il mio presente. Ed esse continuavano a fluire dinanzi ai miei occhi, innumerevoli visioni, e per l’ eternità avrebbero stupito i miei sensi, perché non ci sarebbe mai stata una fine.
E pensai! Sì, dopo una vita trascorsa ad ascoltare, sempre in silenzio, senza aver mai avuto nulla da dire, un’ esistenza consumata ad eseguire quanto mi veniva imposto, senza mai ragionare, per la prima volta, quella notte, disteso su quel prato di via Chiaia, ammirando l’ infinito, pensai.
Pensai alle probabilità offerte in un contesto... infinito.
Pensai a tutte le possibilità che un evento qualsiasi in uno scenario infinito, potesse avere di ripetersi, replicarsi all’ infinito. E pensai non più ad uno, ma a milioni di eventi, tutti corrispondenti, tutti somiglianti a situazioni identiche, disseminate nell’ universo, come centinaia di pellicole di uno stesso film proiettato nello stesso istante in centinaia di sale sparse per il mondo. E pensai che tutto ciò che dovevo fare era solo pensare, immaginare, qualunque cosa, anche la più improbabile, e quella cosa, quel gesto, avvenimento, sicuramente in uno o più angoli remoti, sarebbe stato, accaduto. Avrei potuto immaginare un animale mai osservato da occhio umano, un enorme pesce volante con il corpo ricoperto da scaglie metalliche e nerastre, gli occhi sistemati sul dorso, le fauci sull’ addome, lunghe zampe bianche, circondato da un’ aura spirituale, avrei potuto immaginare questo ed altro, e tutto sarebbe stato. Immaginai me stesso, sdraiato su di un prato in una notte d’ estate, con accanto due cari compagni, e sentii, che in quel preciso momento, altri noi, disseminati in uno spazio infinito, attendevano un’ alba che li avrebbe portati da un amore smarrito, in un nuovo giorno già vissuto e passato, ma che ancora doveva arrivare.
Ed infine, pensai a me... solo a me stesso. Ed allora, facevo, parlavo, e poi ridevo, soffrivo, e quel gioco fantastico, dominato da regole di probabilità che non avevano fine, mi restituiva altri me stesso, milioni di copie, pronti a fare, a dire, ridere o soffrire... Già, copie di me stesso, innumerevoli, infinite. Ed io, solo io, l’ originale, sdraiato su quel prato di Chiaia, a determinare destino di copie, secondo il mio bizzarro volere.
Io, l’ originale, oppure, io... copia, semplice immagine proiettata all’ infinito da una coscienza superiore, forse, da quell’ enigma assurto al ruolo di custode universale, forse da un folle? ... ed io, sempre io, a replicarne i casuali movimenti
Dunque, solo un sogno di chissà chi circondato da sogni, e niente più. Tutto qui, tutta finzione... simulacro del nulla passato al setaccio da un’ indifferente immaginazione.
Io, nient’ altro che un sogno...
Rimasi lì, ad osservare quanto mi sovrastava, cercando di individuare tra quelle trame luccicanti, stracci di teorie che mi restituissero alla presunzione dell’ essere, i segni di un’ illusione, finché non giunse il sonno...


Michele D 30/12/2014 11:18 869

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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