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Voci

Dramma

Pensava al nome del belino che gli era stato lasciato in dote dai suoi genitori. Sotto l'egida del rinconglionitismo targato anni 80 un po' tutti si sentivano autorizzati ad utilizzare nomi esotici, a lui era toccato Thomas. Che poi erano sempre le madri a decidere in questi casi e chissà quali mai sopiti desideri nascondeva quel nome. No, meglio non pensarci. Questa profonda riflessione lo pervadeva mentre fumava una sigaretta sul terrazzo, eppure non era l'unico pensiero che gli pulsava nella mente. Difatti, sentiva uno strano rumore salire dagli angoli sperduti della memoria. Era una specie di voce, diversa dalla sua, in quanto questa era molto più lontana, profonda, antica e possedeva una specie di cadenza da vecchio saggio indiano, insomma era così straniera ma familiare allo stesso tempo. Questa voce sempre più chiara e distinta era dapprima simile ad un ronzio che si avverte in avvicinamento e poi, sempre più forte, fino ad assomigliare ad un martello pneumatico. Col cuore in gola e le labbra stropicciate come lenzuola al vento, Thomas cercava di allontare quella voce indesiderata. Tuttavia, più cercava di scacciarla, più questa sembrava sferragliare, similmente ad un treno dentro la sua testa, provocandogli quasi un dolore fisico. Decise a quel punto di concedere udienza all'intrusa e sentì immediatamente una sinistra onda di benessere pervaderlo. Capì ben presto che non doveva trattenere quell'onda desiderosa d'uscire ma ciò che diceva la "voce" non era altrettanto bello. Lo incitava infatti a buttarsi dal quinto piano, sembrava facesse quasi un tifo da stadio "dai, dai, dai", come un rullo di tamburo, "dai, dai dai, fallo, cosa ti costa..." la vocina infame era anche suadente dal momento in cui aveva fatto ingresso nella coscienza e Thomas terrorizzato, si allontanò subito dalla ringhiera per non farsi convincere a finire prematuramente i suoi giorni, più volte aveva pensato a questa soluzione di non ritorno ma, in fondo in fondo, voleva ancora scrutare il mistero della sua vita. Si sedette così sul divano provando a respirare a fondo per scacciare quei brutti pensieri e protetto dal ventre del suo appartamento, cercò di tranquillizzarsi respingendo via quella pulsione. Fortunatamente ci riuscì e quando riprese il controllo della situazione, pensò immediatamente a quel vecchio rintro di Freud il quale, seppure nella sua arrogante pretesa di spiegare ogni motivazione umana con la teoria delle pulsioni, ebbe una grande intuizione con la teoria sull'istinto di morte. Tanathos. Ad onor del vero anche la tripartizione di Io, Super io ed Es, era affascinante ma continuava a pensare come quel geniale misogino in fondo non fosse altro che un malato di sesso. Non vedeva altro che falli in ogni oggetto od azione umana! Avesse potuto "ammirare" la sterminata distesa di antenne delle tv e dei cellulari d'oggi, avrebbe pensato quanto l'uomo moderno fosse dedito al divinizzazione del fallo. Ciò nonostante era quasi certo che quella vocina di sirena la quale si sbatteva per fargli cambiare modo di vivere, probabilmente era il suo istinto che si manifestava in questo modo bizzarro, per urlargli tutto il suo scontento per la costrizione a miagolare dalle anguste celle della morale. Quel sintomo gli stava perciò comunicando che doveva cambiare stile di vita. Il susseguirsi di queste considerazioni non convinse granché Thomas che presto si addormentò come un cucciolo accovacciato nell'abbraccio della madre. Il giorno dopo, mentre si recava al lavoro, si soffermò a ragionare sull'accaduto del giorno prima. Forse era giunta l'ora di confessarsi ad uno psicologo o ad uno psichiatra, ma era titubante. Credeva non fosse saggio spendere barcate di soldi (che non aveva) per uno serio. C'era l'opzione poi di peregrinare, pregando con profonda fede e sguardo devozionale, verso quei luoghi di dolore che non sono Fatima ma una delle tante strutture della mutua e di trovare un Freud od un Jung reincarnato in quei luoghi di profonda conoscenza dell'anima anche se, in fondo, non credeva poi tanto ai poteri curativi di queste persone. Gli psichiatri poi erano dottori alquanto strani, sicuramente sapevano il fatto loro (tutti quegli anni di studio per poi ridursi a prescrivere qualche medicinale, xanax, valium, tegretol, antipsicotici, antivita, metteva un po' tristezza in effetti). Indubbiamente quelli bravi e seri c'erano, però la maggior parte di loro erano un branco di decerebrati borghesi del cazzo, che avevano studiato psicologia perché divenuta di moda o ancor più facilmente grazie alla spinta di genitori desiserosi di avere un figlio laureato. Certamente sarebbe stato meglio che invece di fare i brillantoni si fossero dedicati a qualcosa di più utile alla società e più utile alla loro personale felicità anziché gonfiare il petto con amici e conoscenti. Invece, la maggior parte delle volte stanno lì con lo sguardo troppo perso nel vuoto oppure con quella tipica espressione giudicante che sembra voler porre l'interlocutore in completa soggezione. Lo sapeva perché era già stato da uno di questi simpatici succhia soldi. Thomas oramai li divideva in due grandi categorie: quelli che non parlano e ti guardano per tre quarti d'ora con sguardo il più possibile vicino a quello che possa sembrare un'espressione intelligente e finita la seduta, dicono semplicemente "torni un'altra volta che continueremo a scavare dentro" . Gli altri invece sono i soggetti i quali andrebbero direttamente internati al posto dei pazienti. Infatti, senza fare di tutta l'erba un fascio, spesso sono vestiti come scappati di casa modello figlio dei fiori post- industriale, atteggiamento giovanile con immancabile e terribile battuta pronta ad accompagnare il logorroico monologo. La seduta, ormai diventata un semplice contorno, perde ogni significato specialmente quando ti viene offerto un caffè alla macchinetta a rappresentare un po' l'apice, la ciliegina sulla torta, della performance medica. Se proprio sfortunato il paziente infine deve pure sorbirsi le loro innovative teorie psicologiche che nessuno considera "perché c'è un complotto dei baroni." Finito il tempo di questo brillante colloquio terapeutico, hanno giusto due minuti per invitarti ad una nuova seduta la settimana a venire che educatamente rispondi "ma certo mi fissi lei una data..." al che già uno pensa" col cavolo che vengo!" Fanculo! Per Thomas, viso caucasico, pelle olivastra, pancetta da orologiaio svizzero, tutto questo mondo mai l'aveva convinto molto. Certo qualche pasticca o qualche goccia l'aveva presa, possedeva infatti il pregio di non farsi guidare dai preconcetti e se qualcosa lo aiutava a stare bene, non aveva problemi a cacciarsela in gola. Di sicuro non si buttava anima e corpo in discussioni del tipo "mi ha detto che fanno male, l'hanno detto alla tivvì!" oppure, in altre, con quei pochi soggetti che giurano che queste sostanze chimiche siano la panacea di tutti i mali. Tuttavia per chi non disponeva di grosse finanze utili a farsi spolpare vivo da questi medici dell'anima, queste sostanze costituivano un soluzione immediata ed efficace a contrastare ansia e disciplina, depressione e diossina. Thomas però doveva staccare da tutto quello, aveva la necessità respirare aria buona di paese, fieno, merda di vacca, aria limpida e cieli tersi. Sapeva come fare, chiamò il lavoro e si diede malato, poi in in un lampo di felicità arrivò alla destinazione che desiderava maggiormente. Gli erano sempre piaciuti i laghi, fornivano quella tranquilla possibilità di calmare le ossessioni infatti una volta arrivato, tutto sembrò acquisire nuove prospettive. Balene spiaggiate sui prati saltarono subito ai suoi occhi. Erano donne sulla quarantina, milf come le chiamano ora, sbiancate ad assorbire i primi raggi caldi di primavera. Stavano lì assieme ai loro mariti dediti alla pesca, i quali continuavano senza sosta a sguinzagliare la loro lenza con l'amo che fendeva regolarmente l'aria. Ma non davano per nulla fastidio a Thomas che potè lo stesso iniziare la sua personale meditazione naturale, sprovvisto di qualsiasi teoria di qualche santone del cazzo. Infatti bastò lasciarsi andare e senza nessuno sforzo si immerse nella natura, con il suo corpo che piano piano si faceva leggero come piuma al vento fragile di primavera. Eppure quel giorno era alquanto strano, il suo cervello sembrava pronto ad esplodere nell'ossessione più nefasta, invero v'era una luce che volava via dai suoi occhi e che lo lasciava completamente saccheggiato dello splendore per la quale la vita ci invita a vivere nonostante la contrarietà della nostra volontà. No, c'era qualcosa che non quadrava, aveva la sensazione che fosse la vita stessa a ribellarsi dal peso grave del corpo costretto a sopportare la verticalità dal quale s'era evoluto dalla scimmia. In quel momento l'esistenza che gli si contorceva dentro desiderava, come avesse una coscienza, semplicemente un'altra verticalità questa volta profonda, dall'alto in basso in rilievo sull'abisso. Era l'ossessione funesta, era la bestia che prendeva il sopravvento perché tenuta troppo a lungo in cattività ad imparare suo malgrado ad essere cattiva e spietata, infatti il suo ventre sembrava un covo caldo di tigri pronte a scattare sulla preda, e la mente, senza teorie della mente, uccideva tutti i miasmi razionali che si volevano agghindare ancora su un trono da re. Quando Thomas se ne andò da quel luogo fu pervaso da un benessere paradossale, solcò a fatica la diga come fosse una nave in tempesta, tanto da doversi fermare per le onde che lo attraversavano nelle interiora. Accanto a sé, nel luogo dal quale non riuscì più a proseguire, un cartello con una grossa mano a palmo aperto vietava lo sporgersi dal parapetto, più di uno era morto in quel punto, più di uno aveva deciso di farla finita proprio lì. Tutto ciò appariva come un presagio. In un istante sangue e carne sembravano volersi librare nell'etere, gusto battente di naftalina sulle papille della lingua facevano sentire vivo il ragazzo più che mai. Di nuovo quella voce straniera che rompeva le barriere del conscio "Fallo coniglio del cazzo!" un boato forte gli saliva dal diaframma, poi mutò in una cantilena beffarda accompagnato da un sottofondo di carillon, "devi farlo, devi farlo, se non voli come un merlo, ai miei piedi niente vali". Thomas tremante si sporse dalla balaustra per guardare giù in fondo al muraglione, spinto dalla forza petulante della cantilena. C'era un qualcosa di magnetico e affascinante nel farsi guidare da un'energia tanto potente, in passato sarebbe fuggito via a causa delle vertigini che lo accompagnavano fin da bambino, ma ora non riusciva più contenere quell'intruso che si agitava in lui. Allacciato alla ringhiera dalle sue grosse mani, simulò una caduta rilasciando a ripetizione prima l'una e poi l'altra mano. "Basta che molli assieme le tue mani e ops, giù, vedrai che bella liberazione", disse la voce con tono rassicurante. Thomas preso dall'ebbrezza della situazione, pensò di seguire i dettami del suo istinto "adesso al tre provo finalmente cosa vuol dire volare" si disse il ragazzo con occhi che sentiva ribollire. "uno" vide la base della muraglia sottostante insolitamente vicina, avvicinarsi alla sua vista, "due", notò i piccoli arbusti sottostanti vorticare come quelle chiome dei cantanti Rock che tanto amava, mentre un calore crescente gli saliva dal ventre e si propagava in tutto il corpo facendolo sentire insolitamente vivo, "tre"... "ouh, cosa cazzo stai facendo" intervenne un'altra voce potente e chiara. Thomas si ritirò dalla balaustra immediatamente, "non credo tu voglia morire a questo modo, hai ancora da definire te stesso prima che il tuo viaggio su questa terra finisca" sosteneva con enfasi la nuova voce. Thomas, si guardò in giro stranito come se in quei pochi minuti al di là della diga fosse stato in trance e tornò sull'asfalto. " Ma chi sei?" disse, interrogando la nuova voce. Non rispose, però era grato d'averlo salvato sul ciglio dell'inevitabile. Thomas prese coscienza del gesto che stava per compiere e impaurito si sedette sul bordo interno del muro. Il suo corpo sembrava in preda ad un attacco epilettico, lo stomaco ribolliva colate di magma e per questo vomitò subito dopo pezzi di sangue coaugulato, un liquido giallastro, assieme quel poco che aveva mangiato. Nel mentre tutto il mondo attorno girava furiosamente, gli sembrava di essere appena uscito da una centrifuga di lavatrice e, per tale motivo, fu costretto a sdraiarsi in preda a deliranti domande senza trovare nessuna risposta che lo facesse calmare. Quando la tempesta finì di attraversarlo, cercò, o forse lo fece, (non ricordava molto bene) di chiamare un'ambulanza ed ebbe, a poco a poco, pure il coraggio di addormentarsi.


Massimiliano Moresco 08/01/2015 10:22 1 1400

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Si percepisce l'angoscia del personaggio, voci che incalzano da dentro a destabilizzare.
Difficile tenerle a bada, pericolose da ignorare, mi piace la ricerca personale e il tormento che emerge, ai vari tentativi per cercare una via percorribile, ad una soluzione anche chiamiamola " fai da te ".
Non c'è nessun altro al di fuori di noi stessi a conoscere meglio le segrete che ci attraversano, a volte si ha bisogno di aiuto, a volte da soli si ritrova quell'equilibrio, faticando.
Tremenda la scena che si apre al salto nel vuoto, intensi fotogrammi di disperazione, paura che vomita nell'istante in cui ritorna la consapevolezza.
Cala il sipario nel crollo emotivo. Tema ben sviluppato, con un ritmo che tiene incollato fino alla fine. Ottimo.»
Catia Dinoni

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...ma ste balene spiaggiate??? (Catia Dinoni)

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