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La Via Conte di Mola a Napoli

Biografie e Diari

Ancora dormivo ed a prima mattina, mia moglie mi ha svegliato, avendo già preparato la colazione, per essere poi accompagnata con l’ auto dal podologo col quale aveva appuntamento alle ore 9. Fatta colazione, siamo usciti, e presa l’ auto siamo arrivati puntuali allo studio medico che si trova in via Carlo de Cesare una lunga strada sui quartieri spagnoli. Poiché ci sarebbero volute quasi un ora e mezzo prima che uscisse dallo studio, io le ho detto che nel frattempo sarei andato a fare una passeggiata su per i quartieri per rivedere e ricordare ogni tanto i luoghi dove sono nato e vissuto da fanciullo fino alla quinta elementare e cioè fino all’ età di dieci anni.

Infatti mi sono diretto alla Via Conte di Mola (un nobile dell’ epoca spagnola) . Ci si arriva percorrendo via Toledo dall’ inizio di Piazza S. Ferdinando verso la Piazzetta Augusteo, salendo poi alla sinistra di questa su di una piccola scalinata che porta su Via Speranzella, girando a destra e dopo pochi metri sulla sinistra inizia dal basso il “ Conte di Mola “. Ho detto dal basso perché Via Conte di Mola con una salita più o meno ripida arriva fino alla piazzetta superiore che si chiama Piazza della Concordia dove sulla parte sinistra c’è la parrocchia del quartiere, una chiesa seicentesca dedicata alla Madonna del Carmine e dove da piccolo ho fatto la prima comunione.

La giornata è splendida, una giornata di maggio piena di sole che pian piano si tuffa con la sua luce intensa nella via per poi sparire qualche ora dopo. Dal basso guardo verso l’ alto fin su la piazzetta. A destra ed a sinistra della strada ci sono abitazioni, i cosi detti “ bassi “ che affacciano con un'unica porta sul basolato che riveste la via stessa. Per alcuni è stato costruito sulla strada un piccolo terrazzo in muratura per stendere i panni e per impedire alle auto di sostare. Sono prevalentemente abitati da persone anziane ma anche da piccole famiglie di giovani. Per l’ appunto da una piccola finestra adiacente alla porta d’ ingresso vedo gli occhi di una bambina che mi fissano incuriositi.

Incomincio a salire pian piano la strada guardandomi intorno e cercando di ricordare tutto ciò che ho conservato nella mente. Oltre ai “ bassi “ ci sono anche monolocali adibiti a laboratori sartoriali a lavanderie e stirerie o negozi di alimentari, un tabaccaio, un parrucchiere, un piccolo fast food ed alcuni esercizi sono ancora chiusi dato l’ ora mattutina e non so cosa vendono. Mi soffermo davanti ad una edicola votiva dedicata a Sant’ Anna che ricordo da quando ero piccolo e che mi incuriosiva allora perché c’ era la rappresentazione di piccole statuine di terracotta a mezzo busto avvolte dalle fiamme le così dette “ anime del purgatorio “ in attesa di espiare i loro peccati per poi andare in paradiso. Sotto la statua di Sant’ Anna è stata posta in una pergamena una poesia scritta da Gino Maringola( ora deceduto) un attore molto conosciuto nel quartiere e nella città di Napoli per aver interpretato a teatro la parte dello zio di Lucariello nella commedia “ Natale in casa Cupiello” di Eduardo de Filippo. La poesia è dedicata all’ edicola stessa e mi soffermo a leggerla attentamente e vedo che c’è anche qualche errore di stampa che andrebbe corretto. Di edicole simili ce ne sono molte nelle vie e nei vicoli dei quartieri spagnoli perché con i ceri ed i lumini accesi di notte illuminavano le stesse strade.

Arrivato all’ altezza del palazzo contrassegnato dal numero 91 mi fermo di nuovo e guardo in alto fino al terzo piano (il palazzo è di quattro piani alti) dove c’ era l’ appartamento abitato dalla mia famiglia e dove sono nato . Ci sono una finestra centrale e due balconi laterali con ringhiere in ferro. Su quello posto a destra io trascorrevo parecchie ore della mia giornata, dopo la scuola e dopo aver fatto i compiti, guardando tutto quello che accadeva giù in strada. Era come se stessi affacciato su un piccolo palco di teatro. Ed infatti tutto ciò che vedevo, la vita, l’ attività dei residenti, dei passanti aveva spesso un aspetto teatrale. E poi mi intrattenevo a giocare ed a parlare con i miei coetanei dei balconi di fronte. A volte, volutamente, ergendomi con le braccia tese, mi alzavo sulla ringhiera di ferro nell’ angolo retto per assaporare l’ ebrezza del rischio, perché avrei potuto perdere l’ equilibrio e sarei potuto cadere giù dal terzo piano equivalente ad un quinto piano degli edifici attuali.

Per una volta decisi di fissare nella mia mente per tutta la vita uno di questi momenti così rischiosi ed era esattamente il giorno del 13 giugno 1950 cioè il giorno di Sant’ Antonio, giorno del mio onomastico quando avevo meno di sette anni. Guardando il balcone ricordo questo momento fisso nella mia mente. Poi come in un film rivedo in una veloce sequenza tutte le immagini degli avvenimenti e delle persone che ho visto da quel balcone e con quel balcone quasi personificandolo.

Il palazzo che come tutti gli altri risale all’ epoca della dominazione spagnola, conserva il suo grande portone in legno a due battenti che è quasi sempre chiuso ma l’ accesso è possibile da un portoncino più piccolo ricavato nel battente di destra. Improvvisamente esso si apre e ne esce un ragazzo che non lo richiude ed io ne approfitto per entrare all’ interno. L’ ingresso ampio porta ad un cortiletto la cosi detta “ vanella “ di circa venti metri quadri. Mi pongo al centro e guardo in alto il quadrato del cielo in sommità. Quante volte gridando a squarciagola “ mammina, mammina! “ chiamavo mia madre, tirando anche la corda di un campanello che era posto vicino alla finestra interna alla “ vanella “! Lei abbassava il paniere ed io mettevo dentro quello che lei mi aveva incaricato di comprare. Poi dalla parte opposta pian piano quasi furtivamente, silenziosamente risalgo la scala con i gradini alti e stretti. A fianco della prima rampa di scale c’ era e c'è un portoncino che porta come in una specie di discesa agli inferi, e cioè nel sottosuolo napoletano fino quaranta metri di profondità, all’ antico acquedotto greco romano.

In pratica durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale tutti gli abitanti del palazzo scendevano in questa specie di ricovero artificiale. Mia madre mi raccontava che mio nonno fungeva da Capo- palazzo ed aveva il compito di coordinare queste fughe improvvise. Al secondo piano delle scale c’ era l’ abitazione della famiglia Sica. Quante volte ho suonato quel campanello elettrico e me ne sono scappato, fino a quando, ricordo, non fui colto in flagrante, preso per un orecchio e portato al terzo piano da mia madre.

Sono salito fino al terzo piano dove c’è ancora una porta con una vetrata che da l’ acceso ad un pre ingresso unico per due diversi appartamenti: a destra è quello dove io sono nato. Poi sempre silenziosamente ridiscendo al primo piano ed risento, ricordandolo, il suono del piano della famiglia Crescenzi. La signora Crescenzi mi voleva bene e mi regalava sempre dei libri da leggere e dei fumetti bellissimi come quello di Gordon, e quelli sulla storia d’ America. Poi sono uscito dal palazzo.

A destra del portone c’ era un piccolo locale di uno stagnino che lavorava lo stagno ed il rame ed a sinistra in un basso abitava donna Nannina che d’ estate vendeva le gassose messe in un grosso pentolone pieno d’ acqua, gelata da una grossa barra di ghiaccio. Un poco più avanti risalendo ancora un piccolo basso abitato allora da una famiglia poverissima con un solo bambino che morì perché investito da un auto. Ricordo i lamenti strazianti della sua mamma che durarono l’ intera notte e salivano su fino alla finestra della stanza da letto dove io non dormii per tutta la notte. Al mattino dal balcone assistetti al funerale con un carro con due cavalli e tanti bambini che correvano dietro al carro per raccogliere i confetti che la mamma lanciava verso la bara del figlio. Immagini che mi sono rimaste impresse nella mente, e ricordandole ho ripreso a salire lentamente la strada.

Sulla sinistra c’ era ed ora non c’è più il circolo della nettezza urbana e devo dire che allora già dalle quattro del mattino una squadra di “ scopatori “ spazzava tutta la strada che veniva poi innaffiata a volontà da un autobotte. Il servizio di nettezza urbana era ottimale ed i sacchetti della spazzatura venivano ritirati porta per porta.

Sono arrivato quindi proprio alla metà della via dove c’è un piccolo slargo circondato da una serie di negozi: un tabaccheria, allora gestita da due sorelle anziane dove compravo i pastori di creta per il presepe e la letterina di natale dai bordi dorati da mettere sotto il piatto della mamma alla vigilia di Natale. Ad un angolo dello slargo non c’è più il negozio del barbiere dove andavo a tagliarmi i capelli “ all’ Umberto “ secondo la moda dell’ epoca. Non c’è più il piccolo basso dove una vecchietta vendeva la caramelle “ i bomboloni “ di pasta caramellata e le sigarette fatte con i fichi secchi a simulare il tabacco. Sullo slargo si inserisce ad angolo acuto un altro palazzo con una facciata larga pochi metri con tre finestre sovrapposte ornate di vasi con fiori variopinti. Mi ha ricordato un" Barrio" di Siviglia con una facciata con le stesse caratteristiche. Mi soffermo a guardare a naso in su come se stessi in un museo all’ aperto.

Riprendo a salire lentamente girando lo sguardo a destra e sinistra. Passo davanti al portone aperto di un palazzo dove abitava un mio compagno di scuola delle elementari da cui mi recavo spesso per giocare insieme, poi quasi arrivato alla fine della via alla mia destra c’è ancora un altra edicola, questa volta con la foto di un giovane morto non so per quale motivo. Quindi entro nella piazzetta della Concordia dominata a sinistra dalla seicentesca chiesa dedicata alla Madonna del Carmine. Vi accedo per visitare l’ interno che è molto luminoso. La chiesa è barocca con l’ altare in marmi policromi sul quale troneggia la statua della Madonna portata spesso in processione il 16 di luglio giorno della ricorrenza della festa in suo onore per le strade del quartiere. Appena entrato dalla porta laterale destra c’è anche una grande statua di Gesù che mi accoglie a braccia aperte. Davanti a questo Gesù io recitavo le preghiere di penitenza dopo essermi confessato per fare la comunione: tre Ave Maria, tre Padre Nostro e tre Requiem Aeternam.

Procedo oltre fino alla sacrestia dove incontro il parroco attuale col quale mi intrattengo una decina di minuti per raccontargli il rapporto che io nel passato ho avuto con la chiesa.

Spesso la domenica servivo la messa e suonavo le campane del campanile aggrappandomi letteralmente alle corde che le facevano suonare perché erano pesanti e di bronzo. Infine sono uscito di nuovo sulla piazza ed ho guardo dall’ alto tutta la Via Conte di Mola in discesa illuminata dal sole.

D’ estate gli scugnizzi si divertivano a fare delle corse con dei “ carruocioli “ ovverosia “ carrocci” costruiti da loro stessi e fatti di una tavola di legno su cui erano inchiodate due assi con alle estremità quattro cuscinetti a sfera d’ acciaio che fungevano da ruote. L’ asse anteriore era mobile, e con due cordicelle, tipo redini, veniva data la direzione durante la precipitosa discesa. Ed io dal mio balcone del palazzo centrale alla via mi godevo la gara dalla partenza dall’ alto fino alla fine verso il basso.

L’ altro gioco fatto dagli scugnizzi che più mi divertiva era il seguente: un ragazzo più grandicello si metteva vicino ad una cesta nell’ atto di volerla sollevare sulle spalle mostrando di non farcela. Nella cesta si era nascosto prima un bambino più piccolo coperto da un telo di juta. Alla persona presa di mira che passava distratta veniva chiesto un piccolo aiuto a sollevare la cesta. Non appena questi si abbassava per sollevarla di scatto, improvvisamente il bambino veniva fuori, e la vittima designata spaventatissima arretrava. Per me era una goduria assistere per ore a questo spettacolo.

Su questa salita s’ inerpicavano giornalmente le carrette dei “ verdummari “ cioè verdurai che dalla campagne circostanti venivano fino a Napoli a vendere frutta e verdura. A volte erano stracolme di prodotti ed i poveri cavalli frustati cacciavano schiuma dalla bocca e gli occhi dalle orbite per la fatica. Uno spettacolo che mi faceva molto male vedere e molto soffrire.

La prima quindicina di settembre si festeggiava la Piedigrotta e questa strada diventava una piccola succursale della festa principale che si festeggiava per l’ appunto alla chiesa di Piedigrotta. Da un balcone all’ altro si stendevano i fili con appesi i lampioncini e tanti festoni di carta e stelle filanti. Tutti i bambini si vestivano con i vestitini carta e sfilavano per il quartiere.

Sempre da questa piazzetta partivano a settembre le auto addobbate con striscioni e corone di fiori di carta per la consuete gita al Santuario di Montevergine. Le auto erano scoperte e lunghe ed in esse prendevano posto le donne, le cosi dette “ zi ‘ maestre “ tutte vestite allo stesso modo con eleganti e lunghi scialli frangiati, su abiti dello stesso colore leggeri e svolazzanti, pettinate allo stesso modo con nei capelli conciati a “ tuppo "“ delle grandi “ pettennesse” grandi pettini per donne di tipo spagnolo . Tutte cantavano ed si accompagnavano per il ritmo con un tamburello. Ogni auto era seguita da un'altra auto, dello stesso tipo di quelle delle donne, con a bordo i loro uomini o accompagnatori anch’ essi vestiti in modo uniforme con panciotti e coppole e fazzoletti al collo.

Il primo novembre giorno d’ Ognissanti ed il due novembre giorno dei morti era la nostra "festa" dei Morti. I bambini meno abbienti del quartiere si costruivano “ e cascette de’ muort “ delle cassette cubiche di cartone con disegnate lateralmente delle teste di morte e con sopra una fessura per inserire l’ obolo richiesto ai passanti. Con le monete raccolte si compravano le caramelle ed i torroncini.

Mentre queste immagini scorrono nella mia mente guardo in giù di fronte in fondo alla strada ma, parella in altezza alla Chiesa della Concordia, la cupola della Galleria Umberto I° che riflette dai vetri che la rivestono i raggi del sole. Questa cupola dona da sempre alla via Conte di Mola un tocco aristocratico e ne rappresenta quasi un simbolo di nobiltà.

Guardo ancora una volta la bellezza della cima della cupola e nello stesso tempo sento il cellulare squillare: è mia moglie che mi chiama per dire che ha finito la visita dal podologo e mi invita a ritornare. Adesso riprendo a scendere e mentre scendo pian piano mi risuona nella mente il motivetto della famosa canzone “ Lily Kangy” con il quale la” schantosa” canta: “ chi me piglia pe’ francese, chi me piglia pe’ spagnola, ma so’ nata ‘ o Conte ‘ e Mola, metto ‘ a copp’ a chi vogl’ io! “. Ed anche io mi sento felice e fortunato di essere nato in questo angolo palpitante della mia città e mi sento anche io di “ mettermi ‘ a copp a chi vogl’ io “, cioè di non temere alcun confronto con nessuno. Per comodità dei lettori quì di seguito aggiungo anche il testo della poesia che io ho scritto su questa via:

'O Conte 'e Mola

Né francese né spagnuolo

j so' nato 'o Conte 'e Mola,

'na discesa sciuliarella

d'a Concorfia a' Speranzella.

A mmità 'e chesta via

là ce steva 'a casa mia,

steva 'ncopp' o' terzo piano

'na fenesta e duje balcune,

'nge so' nato e 'nge so' stato

fino a' quinta elementare.

Mo ce passo, guard 'ncopp'

pare, comme fosse ajere!

Nu triatro era sta via

e affacciato, stu balcone

era forse 'o meglio palco

pe' me, ch'ero nu guaglione.

Nu triatro addò 'o scenario

sia cu scene ca persone,

iss' sulo se cagnava,

dall'autunno a primmavera

int'a vierno e int'a staggione.

'O scenario 'e primmavera

era 'o sole ca traseva

sempe 'e cchiù, pe' dint'e case

e vedive l'aucielle ca scennevano

e saglievano, tutt''nzieme po'

cantavano da' matina fino 'a sera.

Mentre invece int'a staggione,

cu 'e scuglizze miez' a' via,

tanti voci pront' a vennere,

fiche, ceveze, mellune,

acque 'e mummera,

e 'o surbetto ghiaccio e limone.

E po' tanti specie 'e feste,

canti, balli, prucessioni!

Cu 'e feneste, sempe aperte

tu sentive ogni canzone

e 'a dummeneca,

nun m'o pozzo scurdà cchiù,

'o profumo fino e bello

ca veneva d'o ragù!

A settembre chesta via

me pareva Piedigrotta

cu lampiune e lampiuncielle,

bandierelle, attaccate a tanti fili

a' ringhiera de' balcune,

mentre abbascio 'o scugnizziello

te faceva 'o cuppulone.

Po' a uttobre, 'o castagnaro

'e sciuscelle, 'e cuoppe 'e allesse.

Tutto ieve assai tranquillo

cuonce, cuonce, e senza pressa!

Ma 'o quart'atto era 'o cchiù bello!

Quann' a vierno era Natale,

me pareva e stà pur'io comme

a dint' nu presebio :

'e puteche chiene 'e rrobba,

tutte quante illuminate;

po' 'e nuvene, 'e zampugnare,

tutta 'a gente affratellata,

just' 'o juorno da' vigilia

te purtavano 'o " canisto "

a 'na cesta tale e quale

chiena 'e tutta chella rrobba

ca se mangia pe' Natale!

Ma addò sta mo' tutto chesto?

Stammatina pe' sta via

n'ata vota so' passato:

quanta gioia, quanti ricordi,

quanta e quanta nustalgia!

E me guardo là 'o balcone:

si parlasse mo' pur'isso

quanta e quanta cose 'nzieme

da " guagliune" avimmo visto!


Antonio Guarracino 12/06/2015 22:29 2050

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«La nobiltà dei napoletani non dipende dai luoghi in cui essi sono nati, nel mio caso " I quartieri spagnoli " che oggi sono molto poco nobili ed avrebbero bisogno di un intervento di riconversione turistica e commerciale, ma dipende dalla nobiltà dei sentimenti che ogni napoletano ha nei confronti della propria città. Questi sentimenti in me sono così profondi che mi è venuto spontaneo esprimerli anche in una poesia in napoletano che si intitola per l'appunto " 'O Conte'e Mola " e che si può leggere tra le ultime mie poesie pubblicate da questo sito. Sotto il video di Lily Kangy»

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