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1928

Dramma

In quel 1928, Sa die de sos tre res sarebbe stata una giornata importante per Nino.

L’ inverno era arrivato improvviso, duro e gelato, senza lasciare scampo ai ricordi d’ autunno ed i tepori strascicati della terra riarsa da un’ estate impietosa.

Nino, in piedi e scalzo davanti all’ unica finestra, perdeva il suo sguardo nel buio piovoso e tragico della notte, velo nero a coprire la montagna sullo sfondo.

Dietro il Limbara, un unico spiraglio di luce compresso fra gli strati profondi delle nuvolaglie nere e gonfie lasciava intravedere un brillio vacue e intermittente.

“ Es sa stedda de sos res – osservava con stupore muto Nino, vagheggiando carovane e splendori all’ inseguimento di quella piccola stella .

Xxxxxx

Il giorno di Natale in casa Lutzu, era stato come sempre un giorno colmo di fatica e speranza; niente regali, quella era usanza per ricchi, ma sul camino fumava la legna in abbondanza e gli odori del cibo nuovo e della festa riempivano il piccolo spazio e i desideri di tutti.

Come fosse un fatto organizzato, ciascuno cercava di rendersi utile sotto la stretta sorveglianza di Pasquala, chi andava alla fonte a prendere l’ acqua nuova, chi riassettava le poche masserizie ancora fuori posto: i più piccoli lanciavano grida e filastrocche di felicità, nell’ invidia dei grandi.

Tiu Bore, attizzando il fuoco, prendeva a vagare dentro i suoi lunghi anni, tra realtà e fantasia, lanciando per aria piccoli racconti e detti di saggezza .

Dopo il pranzo con il brodo di gallina e le frattaglie di maiale, Stefano radunava tutti intorno al grezzo tavolo di quercia.

Era il momento atteso da tutti: si distribuivano le bacchette, di lunghezza diversa; quella più corta aveva premiato il suo possessore.

Xxxxxx

Da due giorni scendeva ininterrotta una pioggia sottile e fredda a tratti mista a neve ed una tramontana perfida come se ne erano viste poche a Monte Alvu.

Nelle colline di Barbeddis, i venti e le piogge dominavano incontrastati da millenni, piegando uomini e alberi a loro piacimento, quasi in una gara primordiale su chi dovesse essere la forza dominante sugli uomini, piccole cose insignificanti.

Ma era una gara senza un vero vincitore; solo i perdenti si riconoscevano subito.

Stefano Lutzu era uno di questi.

Niente scuola per lui: ” maladitta scola de sos meres…” brontolava ancora oggi Tiu Bore davanti al piccolo caminetto, vero compagno dei suoi novantatre anni di granito e di lunga vedovanza .

E Stefano era cresciuto solo e rapidamente, i giochi con la fionda e sa bardunfula interrotti bruscamente per andare a fare il servo pastore bambino, e vivere i suoi sette anni con gli agnellini e la ferula delle campagne del Logudoro.

Xxxxxx

Tutta la notte si era rigirato nel letto, senza trovare la posizione giusta per assopirsi; ma l’ attesa della mattina non gli aveva concesso tregua.

in quella notte fredda, la notte magica della carovana, Sos tres Res sarebbero arrivati con i loro dono esotici e Nino avrebbe riscosso il suo premio: il privilegio di guidarli fino al Bambinello. Certo, non come la stella cometa, ma avrebbe costruito dalla porta di casa fino all’ angolo del presepe, la strada per la grotta, unendo con pazienza piccoli frammenti di granito, ricoprendola con erba fresca e muschio rubato alle querce di Campu de lu mazzoni; e con le ghiande della vecchia quercia secolare, avrebbe ricreato la foresta di Monte Nieddu, mandandola a specchiarsi nei pezzetti di vetro raccolti durante tutto l’ anno dove l’ immaginazione faceva scorrere le acque chiare e verdi de su Frumine mannu: il Coghinas.

Xxxxxx

La vecchia masseria che Stefano Lutzu aveva rattoppato alla bell’è meglio, non era una comoda casa di paese, una di quelle con il tetto con le tegole scurite dal tempo e le finestre con il vetro che veniva dal continente; era una vecchia stalla che il padrone Gonario Battolu gli aveva dato in uso .

Con l’ aiuto dei fratelli, aveva ricavato uno stanzone che fungeva da cucina e ricovero notturno per i 4 figli ed il vecchio padre, ed una attigua striminzita stanzetta che perlomeno gli permetteva un attimo di intimità con Pasquala e il poter piangere la propria povertà in silenzio e solitudine.

“ Maladitta sa vida..” Tiu Bore continuava la sua litania corrosa dagli anni di astio e miseria, mentre con sa mazzocca rigirava i rari ceppi del grande camino.

Il fumo di legna fresca riempiva l’ aria del suo seccore ed impregnava gli animi e le vesti di acredine e rancore.

Pasquala Pes osservava di sottecchi il vecchio nei suoi gesti quotidiani, ma, quasi indifferente al brontolio, ripeteva:- “ Cambierà il vento, Babbai, cambierà… e Stefano avrà il suo gregge, il suo podere ad io avrò nastri multicolori e le rose fresche sul tavolo..e voi avrete una bella mazzocca nuva, lucida e splendente..”

Xxxxxx

Il pavimento in pietra e terra battuta ghiacciava i piedi nudi di Nino; velocemente si infilò le scarpe di corda e vecchio cuoio legandole strette sopra le pezze di orbace che fungevano da calze.

Tutti ancora dormivano: i fratelli rannicchiati l’ uno sull’ altro in un abbraccio caldo, le sorelle imbacuccate fino alla testa e la madre in uno stato di beatitudine, che solo il sonno della mattina sapeva regalare.

Mancava babbai Stefano, ma la sua mancanza non era insolita a quell’ ora del mattino: le pecore richiedevano cura anche quel giorno.

Ed i padroni non davano Natale a nessuno.

Xxxxxx

Il vento e la pioggia gli erano indifferenti; Stefano Lutzu aveva occhi solo per quella manciata di pecore .

Al rientro all’ ovile, qualcuna sempre si staccava dal gregge, o per zoppia o per seguire l’ agnellino, che continuava a giocare.

Ingannando i cani, lui le aveva raccolte, curate e tenute al riparo li, negli anfratti nascosti della valle della grande quercia.

Li conosceva tutti quegli angoli: li aveva frugati, vissuti, giocati in tutta la sua vita di servo pastore; correndo con i cani, saltando con gli agnelli, annusando il profumo del mirto e della menta.

Ed ora la valle l’ aveva ripagato di tanto amore, guardando le “ sue “ pecore, curandogliele di erba e discrezione.

Pasquala e i ragazzi avrebbero avuto una vita diversa, pensò sorridendo. A pasqua anche loro, con un pizzico di fortuna, avrebbero avuto un pranzo per ricchi.

E quando saranno “ unu bellu tallu “- sorrise mettendosi in bocca uno stelo di asfodelo- riporterò le erbeghes al padrone, e comincerò un’ altra vita.

Xxxxxx

Ormai gli mancava poco; con l’ aiuto della vecchia quercia e delle sue ghiande meravigliose, Nino poteva tornare a casa trionfante e completare il suo presepe.

Nessuno ce lo aveva mai portato laggiù, troppo distante e troppo nascosto quel posto segreto; come per istinto, nei suoi lunghi girovagare, era arrivato in nel piccolo paradiso, una vallecola stretta dove scorreva frusciante un ruscello di acqua limpida e ferruginosa; qui poteva ascoltare il canto delle ghiandaie e sentire il frugare del cinghiale che scorrovonava alla ricerca di radici.

E vi era pure qualche pecora “ accorrata” in un piccolo recinto di rovi.

Chissa di chi saranno- pensò Nino- di sicuro gente stravagante.

.o magari di qualche bandito..- rabbrividii.- meglio fare presto.

Raccolse una ventina di grosse ghiande mature mettendole nel vecchio logoro berretto che Tiu Bore non metteva più e si avvio, saltellando di gioia, fra la pioggia insistente e il suo cuore gonfio d’ orgoglio.

Xxxxxx

Gonario Battolu non è uno stupido..- mugugnava l’ uomo intabarrato nascosto dietro i grandi sassi grigi e chiazzati di muffe, dai quali si dominava il sentiero – ho capito, Giuda che altro non sei, che mi rubavi le pecore.. ma avrai quello che meriti..

E nel dirlo, tormentava un fucile caricato a balla sola come per la caccia grossa.

Spostò lo sguardo sulla destra per controllare che i due servi fossero nella posizione giusta; Stefano Lutzu non doveva sfuggire in alcun modo al suo destino di morte…

I cavalli, dietro la grande roccia, li avevano legati con cavezze dure di cuoio e imbavagliati.

Queste giornate dove il cielo si congiunge alla terra, sono giorni adatti per morire- sorrise truce, lisciandosi la barba lunga e bianca ..

Xxxxxx

D’ improvviso un boato, poi un altro, poi un terzo rimbombo ed infine il silenzio profondo.

Nino si fermò dubbioso; cos’ era stato? In cielo guizzò il giallo ramificato del fulmine che si perse in lontananza.

Devo far presto- pensò impaurito .

La pioggia era ormai lenta e si spense rapidamente.

Poi vide la stella… alta, luminosa, bellissima…

Sa stedda des sos tre res, è lei…- un brivido di felicità lo percorse, facendolo fremere.

La luce violenta illuminò il sentiero; e poi li vide…

Tre cavalieri procedevano lungo il sentiero in fondo alla montagna..

Corse come mai aveva fatto in vita sua, incurante dei graffi e delle pozzanghere…

Mamma, mamma, li ho visti, li ho visti ..- spalanco la porta di casa come una furia.

Pasquala, le mani sulla fardetta, sorrise lenta di pazienza.

- E a chi hai visto Ninè, i diavoli??

- Sos tre res, erano bellissimi in fondo alla valle…

- E magari anche la stella…. – Tiu Bore borbottò, sputando sul fuoco vivo del camino.

E allora Nino capì..

Quella visione era solo per lui, che doveva completarne il percorso; solo a lui, era toccato di vederli..

Fuori i cani ululavano al vento…

Pier Giorgio Cadeddu 18/10/2015 15:17 1290

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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