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Paese mio II

Biografie e Diari

Alle 22: 00 tutto tace o quasi. Le risate dei tiratardi e qualche lavoratore che indugia più del solito.
Qualche colpo di mazzuolo e quando va male un paio di madonne.
Alle 3: 00 circa, il mitico Luigi zirlando come un tordo in amore si reca come sempre a negozio.
Abitudini e routine, le notti son quasi tutte uguali, in primavera però son qualcosa di unico.
Una temperatura perfetta, il cielo è tempestato di stelle. Dormire fuori con il sacco a pelo o tenda o sui pianali dei carri. Quelle notti profumate. Del buon vino, quello Del Baldi, rigorosamente rosso, corposo e forte. Un falò, amicizie sincere, stornelli e canzoni. Salcicce e lombatine mentre il fuoco crepita, nascosta nella giacca una fiaschetta di grappa. C’è distensione e calma, la fretta non esiste.
Il respiro ritrova ritmi più lunghi, nulla a che fare con il tumulto delle città.
Se hai i pantaloni un po’ strappati, le scarpe brutte ed una mise poco curata, va bene lo stesso, non fanno caso a cosa mangi, cosa leggi e come parli. Non ti mettono al rogo perchè sei un po’ strambo o diverso.
E’ gente semplice, genuina, forse un po’ ingenua, ma di buon cuore. C è educazione e rispetto sia per le persone che per le cose.
Tempo addietro un clochard si era stanziato nel cortile della ex scuola, ormai usata come magazzino.
A turno gli portavano qualcosa da mangiare, ma non avanzava richieste, non era molesto e stava sempre in disparte. La comunità si era mossa per aiutare, tutti tranne Don Pino, non gli piacevano i parassiti.
Per sdebitarsi aiutava come poteva, puliva le gronde, sistemava le siepi, toglieva le foglie dalle bocche dei tombini, lavoretti molto umili, non chiedeva soldi. Gli portavo da mangiare, qualche coperte ed anche un paio di stivali. Nelle giornate più fredde lo facevo stare da me in negozio, non dava fastidio, per la maggior parte dormiva. Poi scomparve, cosi come era apparso, Don Pino in quell’ occasione prese una sbornia colossale.
Agli inizi, quando presi casa qui, mi guardavano con curiosità, uno di città che sceglie la campagna, non quadra.
Chi sceglierebbe di vivere in un luogo dove il tempo si è fermato? Dove la cosa più eletrizzante è la Sagra della Polenta? Io, semplice.
Livorno era sporca, poco sicura, morente, puzzolente, vuota e malata, governata per cinquanta e passi anni da un branco di dilettanti, una città con del potenziale, ma lasciata a se stessa. La cittadinanza non era un granchè. C’ era caos. Il mare quasi pulito, ma non poi cosi tanto, unica scappatoia a quella morsa di inciviltà e di noia. Inutili diatribe politiche anche per le sciocchezze. Grettitudine e ottusità.
Il commercio ad un passo dal tracollo... non una città a misura di famiglia.
Ci stavo male, così un giorno decisi di alzare i tacchi.
Ero arrivato alla saturazione...... Unica cosa di cui sento la mancanza è il libeccio.
Il resto l’ ho messo nella secchio della mondezza, dimenticato senza rimorso alcuno

Fine seconda parte


Matteo Bio Matteucci 18/02/2016 19:07 566

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Matteo Bio Matteucci
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Il primo racconto pubblicato:
 
Scatole & ricordi (09/09/2014)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Guardami (05/05/2022)

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Alta Velocità (23/04/2022)

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Dolce respiro (15/12/2016, 6108 letture)


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