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Una buona ragione (querelle de brest)

Amore

Penso che dovrebbe esserci sempre, nella vita di tutti, almeno una buona ragione, ecco, almeno una buona ragione nella vita... per tutti.
Semmai, non proprio eccezionale, non si pretende tanto, ma buona, sì. Tutt’ al più, diciamo pure un’ accettabile, dignitosa, quanto meno, giustificabile ragione, anche agli occhi del più noioso dei criticoni.
Una ragione, ecco!
Forse anche solo un pretesto? Un disegno abbozzato? Un motivo qualunque? Ma sì! Che sia pure uno straccio di scusa, merdosa quanto si vuole. Purché sia!
*******************
Come quella volta, quando Nadine e Ricard stavano passeggiando lungo il molo tenendosi teneramente mano nella mano.
Era una bella sera di maggio.
I gabbiani, in precario equilibrio sui cavi elettrici pullulanti di particelle che transitavano speditamente di qua e di là, meditavano sonnacchiosi sul da farsi.
Il sole, ormai sazio di elogi si apprestava al meritato riposo mentre i cefali si accapigliavano furiosamente intorno a un pezzo di pane che qualche anima pia aveva gettato in mare, onde godersi lo disputa feroce che ne sarebbe derivata.
I cefali di porto, da buon gustai quali erano, avrebbero gradito tutt’ altro genere di cena, tipo... topi morti, escrementi vari, ma tant’è, a cavallo donato...
E sì, era proprio una bella serata di primavera, quando Ricard incrociò i candidi occhi di Nadine, quindi, osservò il frenetico movimento del pesciame, tornò nuovamente a contemplare gli occhi della ragazza che teneva per mano e fu proprio in quell’ istante che capì ciò che doveva fare, gettare l’ amata in pasto ai cefalotti, perché sentì che doveva esserci almeno una buona ragione per farlo.
Dal canto loro, i cefalotti si profusero e con buona ragione, in mille ringraziamenti, lasciando i pezzi di pane in ammollo, trovando la nuova venuta decisamente più consona ai propri gusti, sia per quantità che per qualità.

Mentre l’ umida Nadine rifletteva sulle nobili ragioni dell’ amato che bel bello si dirigeva fischiettando verso l’ osteria gestita dall’ ex capitano di bananiera, l’ arabo israeliano Ibn Al Ben Levi e procedeva deciso, con passo veloce, con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni di velluto beige, quelli a coste larghe, acquistati solo tre mesi prima al mercato dell’ usato di Brest e mentre Nadine stessa, con assoluta chiarezza, fin dal primo momento che l’ aveva vista suo malgrado, dirigersi verso la tumultuosa superficie affollata di soggetti e oggetti emananti disdicevoli miasmi, aveva individuato una buona ragione per trarsi da quell’ insana compagnia, nettarsi del catrame raccolto, indossare a sua volta quel delizioso abitino cremisi acquistato pur esso al mercatino dell’ usato di Brest, calzare eleganti scarpette con tacchi assai alti e raggiungere alfine, correndo come meglio poteva, il suo tenero amante.

E fu proprio allora che accadde quello che accadde...
Come tutte le sere, stava transitando, pure egli bel bello, con fare dinoccolato, un tale di nome Mattia.
Quale dolce visione fu offerta ai suoi occhi!
Ella era lì, tra cefali, pane e detriti, già mezza affogata, prelibata leccornia per pesci e mitili che a frotte già stavano mollando gli ormeggi.
Ella era lì, ed era Nadine.
Fosse stata, che so, Maria, impiegata all’ ufficio postale, oppure Charlotte o Louise, entrambe assistenti del dottor Geremia, rispettato endocrinologo, beh, allora, un cenno, un timido saluto, semmai anche un augurio sarebbero bastati e poi via, verso l’ osteria di Ibn Al Ben Levi per scolarsi un cicchetto, terminare il sigaro, quindi, a nanna, semmai, cambiando percorso al ritorno, evitando la zona del porto.
Ma lì, proprio dinanzi ai suoi occhi, ecco Nadine, che poverina, annaspava, imprecava, lottava contro cefali che neppure Melville...!
Quale dolce visione! La sempre amata Nadine, di un amore totale, segreto, peraltro giammai corrisposto.
Amata, agognata, sognata fin dai banchi di scuola, se non anche prima, fin dai primi vagiti, quando entrambi, alloggiavano nella nursery dell’ ospedale, fianco a fianco, e talvolta, quando infagottati erano sistemati sul carrello, a casaccio, per esser condotti al cospetto di prosperosi seni materni grondanti di latte e talvolta, come per grazia divina, sistemati anche uno sull’ altra, egli estasiato per l’ amato contatto, mentre ella infastidita e scostante.
Non un dubbio sfiorò l’ oramai svezzato poppante.
Si tuffò, e si tuffò come un vero uomo si deve tuffare, di testa, uccidendo così il primo cefalo, che neppure Achab...! E come il prode capitano, combatté e fu una strage di cefali, topi, vivi e morti, mitili che prontamente si diedero alla fuga, cercando riparo tra le muschiose pareti del molo. Ma per loro il tristo destino era ormai segnato.
Mattia li inseguì con vigore e con altrettanta furia, a lui stesso fino a quel momento ignota, li divorò, gusci compresi.
Mattia riuscì nell’ impresa perché aveva una buona ragione.
Ormai esausto, spese le ultime energie rimastegli, per trarre definitivamente in salvo la povera e amata Nadine. Riuscì, a fatica, a condurla fino al molo, quindi, incominciò ad issarla, prima tenendo saldamente i delicati piedini della sua bella tra le mani robuste, quindi, imprimendo lo slancio definitivo con un’ energica manata posata sul delizioso sederino di Nadine.
Quest’ ultima azione permise alla giovane di raggiungere con le braccia il bordo superiore del molo, a issarsi, quindi, alla salvezza.
Mentre la gamba destra era intenta a effettuare l’ agognato scavalcamento che l’ avrebbe ricondotta alla vita, la sinistra poggiava tuttora sulla testa di Mattia, mentre di Mattia stesso sentiva ancora l’ intimo contatto della mano con le posteriori sue grazie.
Ciò a Nadine non piacque affatto.
Ormai in salvo, decise di accomiatarsi dall’ intrepido soccorritore scalciandolo vigorosamente e ripetutamente, finché lo stesso non ricadde in mare.
Si udirono dei gorgoglii, poi, più nulla.
La tenera Nadine si spogliò degli abiti bagnati, si avvicinò ad una fontanella poco distante, cercò di pulirsi alla bella e meglio, quindi indossò un delizioso abitino cremisi che trasse da una borsa casualmente posta accanto alla fontanella. Per inciso, l’ abitino era lo stesso acquistato al mercatino dell’ usato di Brest.
Calzò eleganti scarpette con tacchi assai alti, dopo di che incominciò a correre come meglio poteva, in direzione dell’ osteria gestita dall’ ex capitano di bananiera, l’ arabo israeliano Ibn Al Ben Levi.
Entrò nel locale, scorse tra la coltre di fumo il suo tenero amante in compagnia di un’ affascinante dominicana, mentre erano intenti a perlustrare le rispettive recondite spiritualità.
Ricard si avvide della presenza di Nadine, allontanò da sé la caraibica ammaliatrice, si diresse verso il suo unico amore, si guardarono a lungo, finché i loro occhi incominciarono a luccicare di commozione.
Si strinsero uno all’ altra e si baciarono teneramente per tutta la notte.

Uscirono dall’ osteria ormai deserta di Ibn Al Ben Levi che era già l’ alba, mano nella mano.
Procedendo lungo il molo, estasiati del loro amore, scorsero il corpo galleggiante del fu Mattia.
Era rivolto con la faccia verso levante, quasi a voler cogliere il primo sole.
I due amanti lo osservarono, ma quel corpo non incuteva in loro alcuna ansia o timore, forse perché sembrava sorridere... sì, sembrava sereno.


Michele D 20/02/2016 15:46 684

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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