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Il testamento di uno squalo...

Amore

Mi chiamo squalo o shark e dovrei essere, o piuttosto, dovrei fare lo squalo o lo shark così come c’è scritto sul cartello fissato alla parete del vetro. Lo so, perché so leggere e fare di conto.
Quello che c’è scritto dovrei essere proprio io perché gli orribili mostri che passano e che chiamano gente mi additano con stupore e paura, figuriamoci, io che sono così pacifico, comunque, dal labiale capisco che dicono squalo o shark. Altri labiali esprimono un altro suono, tipo requin o hai, ma questi suoni mi piacciono meno.
Quindi dovrei essere, o piuttosto, dovrei fare quello che ho detto e penso di farlo anche abbastanza bene perché i gli orribili mostri che passano mostrano (scusate il bisticcio di parole) manifestano interesse solo per me, mentre per quei bei pesci di fronte niente di niente.
Come dicevo ho imparato a fare di conto dai mostri… va bè, li chiamerò persone perché sono un animo gentile, ecco, da tutte le persone che passano e poi, modestia a parte perché credo di essere intelligente.
Quanto al leggere ho imparato sbirciando i giornali di visitatori annoiati che si appoggiano al vetro e così ho appreso vari linguaggi e conosco i fatti dal mondo.
Ecco qui, faccio lo squalo o lo shark e vivo in un aquario, una di quelle prigioni per poveri cristi come me e quei pesci di fronte, dove portare i piccoli mostri… pardon! I bambini, a trascorrere una giornata che dicono sia “ educativa”
Sento bisogno di spazio! Da sempre. È qualcosa che mi ossessiona da quando ho memoria.
Qui con me ci sono altri tre compagni. Compagni è una bella parola… in effetti ci odiamo.
Ci lanciamo come matti lungo la vasca con virate strette perché lo spazio è quello che è. Avanti e indietro per ore, per giorni, per anni, ma lo spazio è quello che è. Ci urtiamo tra noi o andiamo a sbattere la faccia su una parete che riflette un’ immagine della quale ci eravamo quasi innamorati, ma eravamo solo noi stessi.
Sì! Ci odiamo perché non abbiamo spazio. Ogni tanto, quando la gente va via e spengono tutte le luci, allora io sogno. Sogno di spazi infiniti e di un blu intenso ben diverso da questo. Sogno di attraversare spazi dove ci sono tutti i colori, dove i raggi del sole non giungono filtrati dalle spesse vetrate, dove ci sono migliaia di altri compagni che non odio perché siamo felici, e dove ci sono molti altri pesci come quelli di fronte, ma non così tristi.
Sogno anche di mangiare del cibo che sa di qualcosa e che mi dà gioia e forza e non questi tronchi di niente che non hanno gusto.
E così, io, squalo, shark, requin, hai o chi diavolo sono perché non so più, ho deciso di rinunciare alla sbobba delle persone… pardon! Degli orribili mostri e di non mostrarmi più per la gioia “ educativa” dei loro piccoli appresso.
Lo so, ne metteranno un altro al mio posto quando mi ribattezzeranno tonno o che so io, ma lascerò ai miei compagni il mio testamento affinché questa vasca rimanga vuota…


Michele D 14/03/2016 18:14 664

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Il primo racconto pubblicato:
 
Il giaccone di pelle (27/10/2014)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Il nuovo mondo... (05/04/2016)

Una proposta:
 
Il testamento di uno squalo... (14/03/2016)

Il racconto più letto:
 
L’ultimo uomo dell’anno (03/01/2015, 1124 letture)


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