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Sembrava un angelo

Biografie e Diari

Quel pomeriggio di Agosto del 1960, affacciato alla finestra del pianerottolo delle scale al piano rialzato. Il caldo afoso e l'umidità nell'aria opprimente. Dal boschetto vicino, proveniva il frinire delle cicale. Molte persone che soffrono particolarmente l'afa se ne stavano rintanate in casa col ventilatore acceso. Non sapevo che fare, dove andare. I miei amici, tutti al mare e/o in montagna. Con i gomiti appoggiati sul marmo del davanzale m'inebriavo dalla leggera brezza rinfrescante. I passerotti sfrecciavano uno dietro l'altro nell'aria, qualcuno posandosi sul parapetto della terrazza, dove avevano costruito un nido proprio sull'antenna della TV. Gli unici esseri viventi nel cortile sterrato, erano due cani randagi che si ricorrevano guaendo e ansimando. Poi si accoppiarono e alla fine sono rimasti attaccati. Tre o quattro bambini del quartiere gli tiravano dei sassi, povere bestie. Il maschio molto grosso e alto, trascinava quella povera bestia.

Una risata sottile e compiaciuta attirò la mia attenzione. Affacciata alla finestra delle scale di rimpetto, una bellissima affascinante ragazza dal visino roseo, capelli biondi a caschetto, sfoggiava un candido sorriso incorniciato da bellissime labbra rosso rubino.

Agitò la mano come un saluto, mentre le sue labbra si schiudevano lentamente e sussurravano – ciao!!!.

Mi girai a destra e a manca, scrutai le finestre vicine, non c’ era anima viva. Eravamo soli, io e lei. Quel “ ciao” era rivolto alla mia persona? Lei si accorse del mio imbarazzo e sorrise con malizia.

Il mio cuore cominciò ad impazzire, come comportarmi? Nei miei diciotto anni, non avevo mai avuto alcuna relazione con donne di simile bellezza. La guardai senza fiatare, pensavo fosse un miraggio, “ il caldo "a volte" provoca visioni strane”. No. Era proprio vera. Bellissima. Era li, in carne e ossa, mi fissava e ridacchiava. Cominciavo a sudare, mi tremavano le gambe per l’ emozione, facevo finta di niente come se tutto sembrasse normale. La guardai quasi con sfida, “ insomma il maschio ero io” dovevo pur darmi un contegno.

Quelle labbra carnose si mossero ancora lentamente, "anche se non riuscivo a sentire" dal movimento si capiva benissimo che sussurravano; – scendi giù in strada! Le feci capire di si annuendo. Si girò di scatto e cominciò a scendere veloce le scale, sentivo il ticchettio dei suoi passi sui gradini. Fu un attimo e apparve sulla soglia del portone. Mi ritrovai in strada senza accorgermi di essere sceso quella rampa di scale. Era li. Di fronte a me. I suoi occhi celesti spiccavano sulla pelle del viso roseo e fresco dei suoi “ forse” sedici anni. Indossava un vestitino di stoffa leggera a fiorellini, quasi trasparente. Con la scollatura molto generosa. S’ intravedeva il bel seno turgido e umido di sudore. La trasparenza della stoffa non faceva notare la presenza di reggiseno. Con il suo abito in alcuni punti appiccicato al corpo umido dal sudore, sentivo il profumo provocante della sua giovane femminilità.

- << Che cosa fai sulle scale, aspetti qualcuno? >> - Disse sussurrando

-<< No, nessuno, ero stufo di stare in casa e allora…. Io>> risposi vagamente.

Rincalzò sorridendo un po’ come se avesse timore di darmi noia.

-<< Stavi forse aspettando la tua ragazza? –>>

-<< Che ragazza. Non ho una ragazza.>>

- << Non ci credo……>>

-<< Un bel fustone come tè, che non ha una ragazza.>>

-<< Giuro non c’è nessuna ragazza –>> Risposi con tono deciso e incisivo.

Lei infilò la sua manina dentro la mia e mi tirò con delicatezza dietro di sé mentre sussurrava ancora.

-<< Facciamo due passi? ->> disse con dolcezza.

Mi feci quasi trascinare, come se andavo mal volentieri, “ era quasi una tattica la mia finta malavoglia, con certe ragazze devi sembrare un po’ scostante e insicuro se vuoi fare colpo, devi far credere che sono loro a decidere. - Da dove arrivi, non ti ho mai vista da queste parti.- domandai con accentuata curiosità.

-<< Oh! !!!! Scusami, non mi sono neanche presentata>> – disse con aria contrariata –<< il mio nome è Ornella lla, abito in Zona Corvetto. Sono venuta a trovare una mia zia, ho approfittato delle ferie, era da tanto che non venivo a trovarla. Ma tu non mi hai ancora detto il tuo nome, sai…. Con quei capelli a ciuffo somigli ad un cantante famoso –>>

Intanto, un passo dietro l’ altro arrivammo in una stradina fuori dell'abitato.

-<< Il mio nome? Mi chiamo Lucio.>>

-<< Lucio? Mi piace, come Battisti, si….. Lucio Battisti, quel cantante famoso.>>

-<< Se lo conosco? Sono un suo ammiratore >>– Ci siamo fermati ai margini di un piccolo boschetto, con la mano nella mano. “ Se Lei sapesse, che in quel boschetto la sera gli innamorati vanno a “ Camporella” “ in gergo milanese, un posto di campagna dove si va a fare l’ amore” mi appoggiai con le spalle al tronco di un grosso albero e dolcemente la tirai verso di me. L’ abbracciai con dolcezza senza parlare. I suoi occhi scrutavano i miei. Sentivo il suo profumato e tenero corpo che aderiva al mio. Il suo respiro era un po’ affannoso e le nostre labbra sempre più vicini. Il suo alito caldo sul mio viso. Il suo seno premeva sui pettorali, sentivo i battiti veloci dei nostri cuori.

-<<.Che… intenzione hai? >> – Disse ansimando – non risposi, le misi la mano dietro la nuca tra i capelli, lei si lasciò trascinare verso la mia bocca. Baciai con avidità quelle rosse labbra carnose e invitanti. Un bacio lungo e voluttuoso. Il suo corpo sempre più umido, sudato, mi stavo eccitando!!! Ero eccitato!! Lei si accorse e………..

Improvvisamente s’ irrigidì. Mi guardò come un miserabile. Con occhi severi, le sue labbra fecero una leggera smorfia e disse:

- << Che cosa credi? Di avere a che fare con una zoccola? Ma vai a fan!!!!! –>> Scappò via lasciandomi come un cretino.

QUELLE MALEDETTE TAPPARELLE

Da quel giorno, cercai Ornella con ogni mezzo, volevo rivederla a tutti i costi, le dovevo una spiegazione, non volevo pensasse di me come un maniaco sessuale. Che figura! !!!!! Ero disperato.

Sapevo dove abitava sua zia, era proprio li al palazzo di fronte, anche lei a piano terra. Bastava affacciarmi alla mia finestra del tinello per riuscire quasi a vedere dentro l’ appartamento di lei. Ma quelle finestre erano sempre con le tapparelle abbassate, non sapevo come fare, non conoscevo sua zia non sapevo chi fosse ma seguitavo a guardare quelle finestre ogni volta che uscivo o rientravo in casa tutti i giorni, stava diventando per me un’ ossessione, quando ero in casa stavo sempre affacciato alla finestra ma, quelle maledette tapparelle sempre chiuse.

Una domenica mattina, verso le nove, me ne stavo tranquillamente a letto, nel dormiveglia pensavo ancora a Ornella, sentii una mano che mi batteva sulla schiena, era mia madre. – dai sveglia devo rifare il letto! ! Mi alzai di malavoglia e la prima cosa che feci ancora in mutande, affacciarmi alla finestra per controllare quelle maledette tapparelle.

Un miracolo!!!!!! Erano tutte aperte, le finestre spalancate, riuscivo a guardare dentro l’ appartamento ma non si intravedeva nessuno. Dovevo assolutamente andare in bagno, un mal di pancia atroce mi costringeva ad allontanarmi da quella visione miracolosa, non vedevo l’ ora di finire e correre a guardare se riuscivo a vedere qualcuno.

Finalmente, riuscivo ad affacciarmi in santa pace e scrutare quelle finestre.

Il secondo miracolo! !!!!!!!! Vidi Ornella affacciata alla finestra, cercai di attirare la sua attenzione ma, lei non mi degnava, mi guardò di sfuggita senza interessarsi di me, come se non mi aveva mai visto. Mi accorsi che i suoi capelli a caschetto non erano più biondi ma castano scuro e gli occhi non più celesti ma, neri. Che strano, eppure è Lei spiccicata, stessa bocca stesso viso. L’ avevo vista una sola volta però non potevo sbagliarmi, era bionda con gli occhi celesti e adesso, castana con gli occhi scuri e se ne stava li senza degnarmi di un solo sguardo e allora decisi di chiamarla:

-<>– Forse faceva finta di non sentire, forse mi voleva punire per quello che avevo combinato. Continuai a chiamare –<< Ornellaaaa!! >>– Mi guardò come guardare un pazzo, contrariata rientrò e chiuse la finestra.

Dopo qualche giorno, di sera dopo cena, verso le dieci, mentre i miei in sala guardavano la Tv, andai nel tinello finta di bere un sorso di birra. Mentre aprivo il frigo, mi scappò lo sguardo fuori della finestra e La vidi finalmente affacciata, i gomiti appoggiati sul davanzale e con le mani sotto il mento e si godeva la frescura della sera., La mia finestra era aperta, spensi la luce per dare meno nell'occhio ai curiosi e restando all’ interno appoggiato al lavello, riuscivo a vederla ma lei non mi vedeva. Però volevo che sapesse che ero li ad osservarla. Quindi, mi accesi una sigaretta in modo che scorgeva la luce della brace quando aspiravo. Accesi forse cinque o sei sigarette e Lei era sempre li, non rientrava, che strano. Passò quasi un’ ora ed era sempre li, finche mia madre decise di venire all’ improvviso nel tinello e accese la luce, Ornella si accorse e forse per non farsi vedere da mia madre, rientrò e chiuse finestra e tapparella. Tutta colpa della rompiscatole di mia madre. Il mio cuore piangeva guardando quelle maledette tapparelle chiuse.

NON SONO ORNELLA

Trascorse qualche settimana, seguitai a recitare la medesima scena. Quando la sera Lei si affacciava alla finestra, ero li in cucina, al buio, con la finestra spalancata e la solita sigaretta accesa in modo che si accorgesse che la stavo osservando, senza farmi vedere. E restava li ore, come per farmi capire che quel gioco lo trovava interessante, era come tenermi compagnia e le dispiaceva lasciarmi al buio li da solo. Ero convinto che in qualche modo si divertiva a tormentarmi. Cominciavo a convincermi che quella ragazza non era Rossella. E la cosa mi tormentava.

Una Domenica mattina, bellissima giornata di fine Agosto, verso le dieci, La vidi uscire di casa e pensai che andava a Messa. Uscii di casa anche io, la seguì, le stavo dietro di pochi passi, osservavo il suo modo ancheggiante di camminare.

Mi lasciavo affascinare di quel movimento cadenzato di glutei attaccati con perfezione la vita sottile in perfetto triangolo con le spalle. Notai le sue caviglie sottili, e polpacci carnose. “ ricordo che da qualche parte avevo letto che: Una donna con le caviglie sottili e polpacci carnosi senz’ altro è una femmina da letto”

Si accorse che Le stavo dietro, accelerò il passo, accelerai anche io e quando arrivammo in una stradina che portava sulla via dei negozi passando dietro ad un distributore della Esso, la superai e mi piazzai d’ avanti e La costrinsi a fermarsi. Il sangue mi picchiava nella giugulare, non immaginavo la sua reazione, forse stavo rischiando grosso.

-<< Cosa vuole da me, cosa fa, mi lasci passare ->>. Disse con voce seccata.

-<< Ornella …… Ma, lei non è! Ornella >>– Risposi con incredulità.

<<- Infatti…. Non sono, Ornella ma sua zia >>– Rispose con un risolino quasi divertita e aggiunse;

-<< E adesso mi lasci in pace, lei mi sta rendendo la vita impossibile!>>

-<< Io???? Cosa ho fatto, per renderle le vita impossibile.>>

-<< Sono settimane che mi osserva….. mi spia, per meglio dire.>>

-<< Io…. pensavo che Lei fosse, Ornella vi somigliate parecchio e da lontano ….>>

-<< Da lontano o vicino…… Adesso mi lasci andare, la gente che ci vede, cosa può pensare? Io sono una donna sposata.>>

A quella affermazione rimasi allibito, la guardai con rispetto e feci un passo indietro come cedere il passo.

-<< Mi….scusi, signora, da ora in poi, non le darò più fastidio, giuro… Rimane il fatto che Lei è bellissima e……>>

-<< Anche lei non è male, e mi prometta che non mi tormenti più, facendosi notare al buio con la sigaretta – Rispose>>

Con un filo di tristezza, facendomi capire che effettivamente quell’ incontro non doveva essere un addio.

-<< Se non Le dispiace…… Mi vuol dire il suo nome?->> domandai con un filo di voce.

-<< Le ripeto, che sono sposata >>– anche Lei rispose con un filo di voce. E aggiunse

-<< Comunque se tanto le basta…… Graziella…….Il mio nome è Graziella >>– Disse guardandomi negli occhi.

-<< Nome bellissimo, – Risposi con tono appassionato.

-<< Non le interessa sapere il mio nome? >>

-<< Lo so…. il tuo nome è Lucio >>– Affermò ridendo e con mio stupore mi resi conto che mi diede del tu e proseguì;

-<< Sento sempre tua madre quando ti chiama….e… mi parlò di te anche mia nipote! ha detto, che sei un birichino>>

Ridemmo divertiti, il cuore mi pulsava forte, credevo si vedesse dal tremolio della camicia, anche Lei era molto emozionata, il suo bel seno incorniciato da una stupenda scollatura, si muoveva come un mantice, il vestito leggero faceva intravedere che non portava il reggiseno e in leggera trasparenza i capezzoli eccitanti, mi disturbavano la mente.

-<< Graziella…..->> Le sussurrai con un filo di voce. –<< Sono innamorato pazzo di te…. Però …. Ti rispetto, perché sei sposata e non voglio assolutamente complicarti la vita…..>> Lei mi ascoltava senza parlare, il suo viso si fece triste e disse con l’ animo di chi parte per non tornare più.

-<< Lasciami, andare….ti prego! >>– I suoi occhi si riempirono di lacrime e mi fece molta tenerezza e le domandai con delicatezza amorevole.

-<< Sei… infelice? >>– Alzò lo sguardo, mentre una lacrima gli solcava quel giovane bel viso, da venticinquenne circa.

-<< Lasciami andare….. non intrometterti nella mia vita.>>- cercai di prenderle una mano ma lei si ritrasse e andò via a passo svelto.

IL PRIMO APPUNTAMENTO

Trascorsero più di due mesi, quasi dimenticavo quella storia. Quando avvolte la incontravo facevo finta di non vederla. Finché una sera mentre stavo passando, sotto le sue finestre mi accorsi che Graziella era affacciata e si agitava come per attirare la mia attenzione. La guardai e mi fece cenno di avvicinarmi. Senza farsi accorgere lasciò cadere un pezzo di carta e rientrò in casa. Raccolsi quella carta e si capiva, si trattava di un biglietto. Mi allontanai trepidante e ansioso di sapere, cosa contenesse quel messaggio. Dopo aver girato l’ angolo, aprii il biglietto c’ era scritto:- Ho assolutamente bisogno di parlarti, questo e il mio numero, ciao. – All’ epoca non esistevano i telefonini. Mi fermai dal tabaccaio, entrai nella cabina telefonica e trepidante composi il numero. Mi tramavano le mani, sentivo che dall’ altra parte squillava, squillava e squillava. Finalmente –<< Pronto >>– non riuscivo a rispondere, avevo un qualcosa nella gola che mi impediva di parlare e dall’ altro capo ripete –<< Pronto! !>>- Sforzandomi riuscii a farfugliare. –<< Sono io >>– E Lei, dopo qualche secondo. –<< Ciao ho bisogno di parlarti >>- A sentire la sua voce la mia emozione era alle stelle. Mi feci forza e calcolato il vantaggio “ perché era Lei che mi cercava” incominciai a recitare la parte del duro. Si mi piaceva molto recitare. Pensate che tempo prima, mi ero iscritto alla scuola di recitazione, in via Bligny a Milano. Ero patito della letteratura. A pensare che imparai a memoria quattro monologhi dell’ Amleto. E, torniamo alla telefonata;

risposi con decisione: -<< Mi vuoi parlare? Parla, dimmi.>> –<< No! No per telefono >>- Rispose con un filo di voce come per non farsi sentire da qualcuno e continuò – << Possiamo vederci da qualche parte… in qualche posto, dove non possono riconoscerci >>– La mia mente girava a velocità incredibile, non mi veniva in mente nessun posto, non sapevo cosa rispondere, avevo al telefono una bellissima donna e non sapevo cogliere l’ occasione. Dovevo trovare la parola giusta, in fretta, non potevo fare la figura del ragazzino e buttare li un’ idea stupida, rischiavo di rovinare tutto e allora con calma, entrai velocemente nel personaggio dell’ uomo maturo, quello che va con i piedi di piombo, quello che prima di decidere pensa bene e risposi con decisione come dire “ lascia fare a me che me ne intendo”. –<< Ascolta… dammi il tempo di pensare….ti richiamo fra qualche minuto ciao.<>- Abbassai la cornetta e appoggiai la fronte contro il vetro della cabina. Non sapevo cosa fare, dove potevo portarla? in quale posto? In quale zona di Milano. Non potevo certo proporre un albergo! sarebbe stato stupido e offensivo. Mi venne un’ idea brillantissima, roba da darsi una pacca sulla spalla e dirsi: Bravo sei in gamba. Buttai dentro un altro gettone e composi il numero. –<< Pronto… sono sempre io. Ascoltami…. quando pensi di essere libera, di andare in città? >> - e Lei rispose con prontezza: -<< Possiamo fare domani mattina se tu vuoi… ma come facciamo? >> – anche se il mio cuore stava scoppiando per quell’ evento che non sapevo come definire, risposi calmo, con voce sicura e decisa -<< Sai come arrivare alla stazione di Lambrate? >>-<< Certo, prendo il tram >>-<< Bene, puoi essere sul posto, dentro la stazione, in sala d’ aspetto, alle due e trenta di domani pomeriggio? >>

Lei rispose con tono gioviale, come se non avesse altro da fare e disse –<< E… poi li… cosa facciamo? >>– rincalzai con tono fermo e deciso –<< Non preoccuparti, lascia fare a me… allora ci vedremo domani? >>-<< Va bene… alle due e trenta sarò la Ciao.>

All’ indomani alle due ero già davanti alla stazione di Lambrate seduto sul sellino della mia bicicletta. Si, avete letto bene: (BICICLETTA) Oggi sembra assurdo, ma sapendo di avere un incontro clandestino, con una donna sposata, vado in bicicletta? Partii dalla via Ripamonti, per andare alla stazione di Lambrate, dall’ altra parte di Milano. In Bicicletta. Arrivai anche in anticipo di mezzora, tutto sudato come un cavallo da corsa. Mi mancava la bava bianca alla bocca. Avevo un caldo bestiale. Da notare che per l’ occasione avevo indossato un completo, giacca e pantaloni, il tessuto tipo flanella. Scarpette da passeggio marroni lucide con suola in cuoio. “ di quelli che quando si cammina si sente il tacco sul pavimento” Da li sentivo i treni passare veloci provenienti o verso la stazione centrale. Cominciavo a pensare che avevo sbagliato tutto, presentandomi a quell’ appuntamento, trafelato con la bicicletta e un vestito completo. Penso che pochi l’ avrebbero fatto. Quelli sono i momenti che dichiarano di non avere la maturità per certe vicissitudini. Comunque oramai era andata così e dovevo continuare in base al progetto che avevo in testa. Controllavo i tram in arrivo e tutti quelli che scendevano poiché quella fermata era il capolinea del tram.

Finalmente è arrivata, era raggiante, capelli al vento si stava avviando a piedi verso l’ ingresso della stazione. Indossava un completino gonna e tailleur leggero grigio. Un fazzoletto di seta colorato gli spuntava fuori dal bavero e gli cadeva sul seno. Le scarpe nere tacco alto accentuava vistosamente la linea regolare dei polpacci e le faceva balzare i glutei ad ogni passo. Era proprio una bellissima donna; mi sembrava impossibile che quella donna era li perché aveva un appuntamento clandestino proprio con me. Le andai in contro, reggendo la bici con la mano destra in mezzo al manubrio e mi fermai proprio di fronte a lei.

-<< Ciao, allora tutto bene? >> - domandai tentando di prendergli la mano ma lei la ritrasse con garbo e mormorò

-<< Ma.. sei venuto in bicicletta, Adesso cosa facciamo? >>– domandò incuriosita e perplessa vedendomi li in bicicletta. Dovevo trovare una scusa per giustificare la bicicletta. E allora a questo proposito son partito in quarta. << sai prima di venire ad abitare li in Ripamonti, ho abitato in questa zona in via Rombon e ricordo che ce un posticino dove possiamo andare e ci vuole proprio la bicicletta.>> e lei << Sei sicuro di quello che fai?>>

-<< Non preoccuparti dai monta >>- le dissi come se andassi di fretta. Lei paziente montò sulla canna del telaio. Presi la direzione del ponte, passammo sotto il tunnel girai a sinistra e presi un sentiero di campagna che costeggiava la ferrovia verso l’ Ortica. Il sentiero finiva in una radura, passava sotto un altro ponte. Ci fermammo sotto quel ponte. Mi sembrava abbastanza protetto alla visuale estranea. Fu sotto quel ponte che dopo aver chiacchierato di cose senza senso, cominciai ad abbracciarla e baciarla appassionatamente. Ma mentre la baciavo, mi accorsi di essere spiato da uomini qualcuno si sporgeva oltre il parapetto in ferro del ponte per guardare quello che facevamo (I FAMOSI GUARDONI) Per quel motivo ci spostammo in piccolo boschetto circondato da alte sterpaglie, mi accorsi di un profondo avvallamento che doveva essere un grosso fosso dal fondo asciutto coperto da uno strato di foglie secche. Gli arbusti di robinie che si incrociavano da riva a riva formavano una specie di galleria di verde naturale. Il posto era ideale e ci nascondeva da occhi indiscreti.

-<< Ma dove mi hai portato? >> – protestò lei contrariata e aggiunse.

-<< Che posto è questo, ma sei pazzo? >> – disse tentando di tornare indietro a piedi.

-<< Ti ho portato dove tu mi hai chiesto di portarti!! un posto dove non ci vede nessuno, questo è l’ ideale, o no? >>

-<< Mamma mia!!! >>- mugolò tra i denti -<< Ma tu sei un demonio, ma cosa ti è saltato in mente? >>- disse come spazientita e delusa-

-<< Ma dai!!! Ormai siamo qui, non ci vede nessuno, possiamo parlare come vogliamo senza che nessuno ci ascolti! >>–

Rincalzai e nel frattempo sciolsi un rotolo che avevo legato dietro il sedile della bici. Lo srotolai, era un telo da spiaggia ad una piazza e mezza.

-<< E quello cos’è??? >>– disse sospettando a cosa potesse servire.

-<< Niente… è solo un telo mare, non vorrai sporcarti il vestito! L’ ho portato apposta per te >>- rincalzai fingendo meraviglia per la sua espressione.

Stesi il telo mare, mi tolsi le scarpe sedendomi tranquillamente fingendo calma e pazienza. Probabilmente lei si sentì in trappola, conscia di non poter far niente, tentò di salvare la situazione con astuzia. Appoggiò la borsa sul telo vicino a lei, si alzò il vestito per non sporcarlo e si inginocchiò vicino a me e disse con voce amorevole come se fosse la mia Mamma.

-<< Ti prego Lucio…. Portami a casa, non dovevo venire qui con te…. Non fare stupidaggini…. Non rovinare tutto.>> –

Mi sollevai in piedi incazzato e la sua posizione era in ginocchio di fronte e me. Mi era venuto in mente qualcosa ma decisi di fare la persona seria. Mi accorsi che gli scendeva una lacrima, quella visione mi aveva commosso, era spaventata, cercai di rassicurarla, mi inginocchiai anche io, le presi il visino tra le mani mi avvicinai alle sue labbra provocanti sussurrai .

-<< Di cosa hai paura? Vuoi che ti porto a casa? su…. Andiamo ….. ti porto a casa come vuoi tu, non c’è problema >>–

Mi guardò negli occhi con stupore, pensò che le sue paure erano infondate, immaginò che ero un ragazzo perbene. E con voce di chi si pente dopo averti offeso mentre con la mano si asciugava la lacrima disse rassicurata.

-<< Se vuoi possiamo stare ancora un po’>> – sorrise il suo volto si illuminò, si mise seduta sul telo, mi sedetti anche io e mi sdraiai supino con le dita incrociati dietro la nuca guardando verso il cielo che non vedevo. Si adagiò vicino a me e appoggiò la guancia ancora umida sul mio petto, gli guardavo la sua nuca mentre i suoi capelli profumati mi coprivano la bocca. Sentivo il suo alito sulla pelle dei pettorali mentre mi diceva.

-<< Nel messaggio ho scritto che ti voglio parlare…… ti volevo dire, che, come sai, sono sposata anche se non felice

perché mi sento molto trascurata da mio marito. Ti sei accorto di me solo adesso ma io, già da tempo ti avevo messo gli occhi addosso….. anche se tu non mi guardavi mai e facevo di tutto per attirare la tua attenzione. Ma tu, eri impegnato con le ragazzine che ti ronzano intorno…>>- parlava con voce calma e pacata, come se si stava confessando, ascoltavo senza fiatare e il cuore mi pulsava come un mantice da fucina. Lei continuò a parlare.

-<< Come hai capito, da tempo sono pazzamente innamorata di te e questo è un male per una donna sposata. Sento il tuo cuore che batte sempre più forte, per me e musica, questo mi fa capire che anche tu provi qualcosa per me >>-

Senza parlare, strinsi i suoi capelli fra le dita e la costrinsi a guardarmi negli occhi, le sue labbra sfioravano le mie, le nostre bocche si confusero in un bacio lungo e appassionato. Nel mentre pensavo che il tempo stesse volando e tra poco dovevo accompagnarla al tram e non ero certo di trovarmi ancora in futuro nella medesima situazione quindi, decisi di passare all’ attacco anche, se rischiavo di rovinare tutto. Nella mente una voce continuava a ripetere (adesso o mai più

Con uno scatto fui su di lei senza staccare la bocca, avevo la sua lingua in mezzo ai denti quasi mordevo, non riusciva a parlare, sentivo che mugolava mentre le mie mani tentacoli che tastavano con frenetica delicatezza tutto il suo corpo, non riuscivo ad abb....... le mu...... mi accorsi che portava il reggi calze sentivo al tatto le m.... di pizzo, immaginavo di colore nero come il reggiseno. Si dim. con forza, stringeva le g, seguitava a mugolare ma non gli mollavo la lingua, misi le mie ginocchia in mezzo alle sue mentre mi tirava forte i capelli un male della madonna, eccitatissimo spostai la striscia di mut... ed entr... den... di lei. Il cuoio capelluto dove mi tirava i capelli non bruciava più, gli mollai la lingua ma lei la lasciò così com’ era, il corpo aveva perso la rigidezza iniziale sentii le sue dita fra i miei capelli mi massaggiavano la nuca mentre l’ altra mano infilava le unghie nella mia schiena attraverso la camicia, il suo corpo sottile sembrava una biscia sempre più aderente al mio, succhiava il mio labbro inferiore e di tanto intanto si staccava per respirare, il suo viso umido di sudore e il respiro affannoso, gli occhi socchiuse e le sue belle labbra mi invitavano a baciare ancora. Quando sentivo di ar.... al culmine mi fermavo cercando distrazione per far durare più possibile l’ ampl.... In quel momento aprì la bocca e fece un gemito, aumentai la frenesia per dargli più piacere e mi accasciai con lei.

Cosi distesi sul telo, per alcuni minuti. Subito dopo, ci alzammo, sistemato i vestiti e liberato i capelli da alcune foglie e pagliuzze, si lasciò cadere in ginocchio e si mise a piangere vistosamente. –<< Come farò adesso ad andare a casa tranquilla avendo sula coscienza quello che è successo oggi. Come farò a guardare in faccia mio marito e il mio bambino -Bambino?->> Restai meravigliato da quella notizia.<< Non sapevo che ai un figlio>>. E lei con voce rotta dal pianto –<< si ho un figlio di 2 anni e non ho più il coraggio di guardare per la vergogna che ho nel cuore>>- Non risposi, in certi momenti e meglio non fiatare. In fatti dopo qualche minuto si calmò e ci incamminammo verso la fermata del tram. Lei se ne andò senza neanche baciarmi, con gli occhi bassi non si girò prima di salire sul tram. Appoggiato alla mia bicicletta, osservai per un momento il tram che si allontanava, balzai in sella e pedalando, mi avviai verso casa. Mi accorsi che avevo rovinato i pantaloni del vestito. All’ altezza delle ginocchia erano impregnati di fango.

Da quel giorno il mio pensiero, la mia esistenza, la mia vita era lei. Non desideravo altro che lei. Il destino mi aveva riservato quell’ avventura che non mi sarei neanche sognato. Quel fatto, era un segreto che nessuno doveva sapere. Ma con qualcuno dovevo scaricare il mio stato d’ animo, la felicità che provavo, dovevo confidarla a qualcuno. Decisi di confidarmi con un mio amico d’ infanzia. Antonio. L’ Antonio, l’ unico amico che mi rimaneva fin dall’ infanzia. L’ unica persona che potevo confidarmi e che di sicuro manteneva il segreto.

IL DOPO LAMBRATE IN CASA MIA

Da quel giorno dell’ appuntamento a Lambrate, era passato circa un mese che non c’ era modo di vederla o d’ incontrarla. Le tapparelle di casa sua erano sempre al solito posto, non davano nessun solito segnale; finché una pomeriggio di una Domenica, la vidi affacciata alla finestra della sua cucina. Approfittai che in casa mia non c’ era nessuno, non ricordo il motivo dell’ assenza dei miei; il fatto che ero da solo in casa e forse Lei lo sapeva, quello era il motivo perché stava affacciata alla finestra. Aprii anche io la finestra della saletta e la guardai lanciandogli un sorriso che voleva dire tutta la mia disperazione per il suo prolungato silenzio. Non credevo ai miei occhi, alzò la mano destra come per salutarmi ma, non era un saluto perché il palmo della mano era verso di me come per dirmi aspettami. Non avevo capito, non afferravo le sue intenzioni, ma dopo un minuto, lei era li, sotto il suo portone e stava attraversando il cortile; veniva verso il mio portone. Mi fiondai alla porta d’ ingresso, l’ aprii con affanno ero sul pianerottolo e lei stava salendo la prima rampa di gradini per venire al piano rialzato dove ci incontrammo senza fiatare, ma con il cuore che m’ impazziva nel petto. Si buttò su di me spingendomi dentro casa mentre la baciavo con avidità sulle sue carnose e bellissime labbra.

Senza accorgermi finimmo sul divano tre posti a ridosso alla parete di fianco al giradischi. Ero disteso su di lei, mi accorsi che era senza le mutandine, quindi pensai che fosse prevenuta che sapeva benissimo con certezza quello che doveva accadere. Continuavamo a baciarci senza dire parola, facemmo l’ amore come due pazzi, ignorando il mondo che ci circondava. Il tutto durò circa dieci minuti, ci alzammo dal divano continuando a baciarci e lei mi spinse fino alla porta d’ ingresso, si staccò da me, aprì la porta e dopo essersi assicurata che le scale erano deserte, mi diede un altro bacio sulla bocca e sparì di corsa verso il cortile e quindi varcò il suo portone che lei stessa aveva lasciato aperto.

IL MIRACOLO AL BAR VIGENTINO

Una sera successe quello che non ci saremmo mai aspettati. Eravamo al Bar Vigentino, dove oltre a esserci un biliardo, c’ era anche un jukebox. Bastava mettere 100 lire per sentire tre canzoni. Cinquanta lire per una canzone. Quella sera avevamo gettonato la canzone (il mio concerto di Umberto Bindi) E all’ improvviso, mentre Bindi cantava, sulla soglia del bar appariva lei. La mia amata. Il cuore mi saltò a pezzi. Non sembrava vero, poteva essere un sogno. Ma era vero! Era li assieme al marito e una coppia di amici marito e moglie. Il marito e il suo amico, si misero subito a giocare al biliardo, mentre lei e la sua amica si avvicinarono al Jukebox mentre Bindi scandiva la bellissima canzone. Lei mi si avvicinò, dandomi un’ occhiata con mezzo sorriso e lasciò cadere nella fessura le 100 lire. Si comportò come se fosse la prima volta che mi vedeva faceva in modo che il marito non sospettasse di nulla. Anzi, si rivolse a me dicendomi – Scusi, come si fa a scegliere le canzoni?- Posso scegliere io? - e lei – Va bene_ ricordo che scelsi TILL un bellissimo brano. Il secondo fu VOCE E NOTTE e poi ROBERTA di Peppino Di Capri. Ricordo che quella sera uscimmo tutti dal bar, all’ ora di chiusura, quasi alla una. Io e L’ Antonio ci incamminammo verso casa a piedi sul marciapiede, dopo qualche minuto ci siamo accorti che stavano passando loro sulla strada a bordo della seicento dell’ amico. Guardai verso i sedili di dietro e notai che lei facendo finta di pulire il vetro mi salutava con la mano.

Da quel giorno ci sentivamo solo per telefono. Inventammo qualche stratagemma come per esempio: Se la tapparella della finestra della cucina era un poco abbassata; ciò voleva dire che lei era in casa. Se la tapparella era tutta alzata; ciò voleva dire che lei non era in casa. Oppure se la tapparella della cucina era appena abbassata e quella della camera da letto era mezza alzata, ciò voleva dire che lei era sola in casa.

Devo dire che, il tutto per il semplice motivo che lei e suo marito vivevano in casa dei genitori di lui. Quindi era indispensabile, sapere quando i suoi erano in casa o no. Un altro speciale stratagemma era quello della comunicazione di assenso o diniego. Per esempio: se io telefonavo, rispondeva lei e senza preamboli le chiedevo; puoi venire domani in via tal dei Tali alle ore 10? Dovevo stare attento alla prima risposta che mi dava. Si ha sbagliato; il si era consenso. Se la prima parola era No ha sbagliato; voleva dire non posso. Da quel giorno, dovevamo essere prudenti; ci vedevamo solo qualche volta al mese. Vivevamo solo di telefonate, spendendo da parte mia, un mare di gettoni per telefono.

Da quel giorno, lei non si fece ne vedere ne sentire. Quando capivo che in casa era sola, telefonavo e quando lei sentiva la mia voce metteva giù il telefono. Passavano i giorni, le settimane. Passò più di un mese, lei fu come sparita, non si faceva vedere ne sentire, non si affacciava neppure alla finestra. Avevo la sensazione che Ciò che era successo, era tutto un sogno, non poteva essere vero; e se era vero, perché non si faceva vedere?

MIA MADRE IMMAGINO’ DI TUTTO

Mia madre dal mio strano comportamento si accorse di quello che mi stava succedendo; una Madre si accorge se qualcosa cambia nel carattere del proprio figlio ma, non aveva il coraggio di affrontarmi e discutere con me della situazione. Da premettere che per l’ educazione dei propri figli, la mia Mamma fu sempre una donna di polso, decisa. Non elargiva facilmente parole d’ affetto, perché il suo affetto, lo dovevi capire e meritarlo. Ma guai a chi gli toccava i figli, diventava una iena. Tremenda uguale alla sua Mamma. “ Donna Maria Antonia” così la chiamavano tutti quando si rivolgevano a lei, anche mio Nonno “ suo marito”

Un carattere forte indomabile, intelligente ma: analfabeta. La mia Mamma in vece, aveva fatto le scuole dell’ obbligo, non è sicuro se aveva fatto la V elementare, so che leggeva bene o quasi. La sera quando non cera neanche l’ apparecchio radio, prima di andare a letto, ci leggeva delle favole e anche qualche libro.

Quindi voglio dire che era una donna intelligente, Si capiva da come guardavano i suoi occhi verdi che l’ intuito bestiale era partito e quindi il sospetto. La mia era una Mamma sospettosa; prima sospetta al male, se fosse un bene, tutto guadagnato.

NEL SUO LETTO

Intanto, avevo cambiato lavoro. Non facevo più il muratore, Già da qualche mese, mi avevano assunto alla Bic una fabbrica di penne a Biro, sulla vi Quaranta, Siccome si facevano i turni 24 ore su 24, scelsi di fare il turno di notte; dalle 10 di sera, fino alle 6 del mattino.

Quella mattina di un Lunedì di Settembre, alle 6, 30 (circa) mentre rientravo dal lavoro, come al solito una volta nel cortile del condominio, dovevo per forza passare sotto le sue finestre; fu li che la vidi affacciata alla finestra del bagno la quale era più nascosta dalla siepe e quindi più protetta da sguardi indiscreti.

Mi avvicinai e lei sporgendosi oltre il davanzale, con un filo di voce mi sussurrò << Oggi io sono in casa da sola, i miei non ci sono fino a questa sta sera>> e io sorpreso come un bambino che all’ improvviso qualcuno gli regalò il tanto desiderato giocattolo. << Bene! E allora, come facciamo?>> le risposi sotto voce, e lei con una smagliante dentatura; << Se ci riesci a venire in dasa questa mattina ti farò felice>> In quel momento, dentro di me, ghignava il lupo quando vide Cappuccetto Rosso. Lei si sporse di più oltre il davanzale, mi alzai sulle punte dei piedi e gli sfiorai le labbra. << Ciao amore, ci vediamo più tardi. Farò in modo che troverai il portone delle scale aperto>> Contento come una Pasqua, perché pensavo di averla persa, era oramai passato qualche mese che non dava segni di vita e adesso all’ improvviso succede un altro miracolo.

Entrai in casa quasi in punte di piedi, a quell’ ora ancora tutti dormivano. Tra poco si sarebbe alzata la mia Mamma, mio Padre, era già uscito per andare al lavoro. Si erano oramai fatte le sette, fuori era già giorno fatto.

Guardo fuori dalla finestra, le tapparelle del piano terra del palazzo di fronte erano aperte e proprio in quel momento, vidi arrivare un Taxi, si fermò di fronte al portone delle scale. Vidi uscire dal portone sua madre e suo padre salire sulla vettura, anche lei uscì nel cortile e mentre aiutava sua madre a salire, prima che la vettura partisse, mentre stava per chiudere lo sportello al di sopra del tetto della vettura mi diede un’ occhiata. La vettura sparì dietro l’ angolo. Lei rientrò nelle scale e chiuse il portone. Me come se ci fosse una folata di vento, il portone con uno scatto si riaprì e restò socchiuso. Mentre ero intento a osservare la scena, sentii il respiro di qualcuno dietro di me; chi poteva essere? Mia Madre, senz’ altro aveva visto tutto e senza parlare, si diresse verso il bagno, sentii il giro di chiave e lo scatto della serratura.

Come potevo fare? Era ovvio che quando lei sia uscita dal bagno e non mi trovava, si immaginava cosa nel frattempo era successo e dove potevo essere.

Mi venne improvviso un’ idea bestiale. Tic Toc, busso piano sul vetro della porta del bagno e sussurro: << Mamma, mi sono dimenticato di comprare le sigarette, vado dal tabaccaio>> e lei << va bene>>

Aprii la porta di casa, scesi quella mezza rampa di gradini fino al piano terra, uscii nel cortile e lo attraversai camminando normalmente per non dare sospetti alle persone che probabilmente dietro i vetri, assistessero alla scena.

Ma la cosa che doveva essere strana e insolita, per le persone che abitavano in quel cortile, era il fatto che una persona come me “ un Terrone” potesse entrare liberamente nel portone di quello stabile.

Devo chiarire, questo punto che è molto importante per la storia che sto raccontando.

Dunque quel cortile era parte comune di 5 stabili da ciascuno di 3 piani; in 4 di detti stabili, abitavamo esclusivamente meridionali e quindi per i milanesi, eravamo terroni. Nello stabile in questione di fronte al mio, era abitato da soli Lombardi, che da sempre a noi terroni guardavano dall’ alto in basso.

Quindi per chi in quel momento, da dietro i vetri assisteva alla scena dove io attraversavo il cortile con indifferenza e mi permettevo di entrare in detto stabile, qualcosa non quadrava;

quindi bisognava mettere in conto che con quella scena, la nostra relazione poteva essere compromessa.

Ma in quell’ istante mentre attraversavo il cortile e imboccavo il portone “ proibito”, non mi interessava di chi mi osservava.

Il mio entusiasmo era solamente il pensiero di godere di quell’ avventura speciale e inaspettata. Spinsi il portone con delicatezza in modo che non facesse alcun rumore, salii la mezza rampa di gradini e mi trovai sul pianerottolo di fronte alla sua porta. Nel palazzo non si sentiva alcun rumore, nel silenzio assoluto dirompeva l’ apertura improvvisa di qualche sciacquone. Il cuore mi batteva a mille all’ ora, la pressione sanguigna mi pulsava nelle tempie mentre la porta si apriva lentamente e la mia Venere appariva di fronte a me in tutto il suo splendore. Il suo profumo soave di borotalco e la sua figura minuta senza i tacchi alti, mi faceva pensare a una bambina appena uscita dalla doccia.

Varcai la soglia, lei chiuse con delicatezza la porta, mise la catenella e fece scorrere un catenaccio. Il rumore del catenaccio mi trasmise un senso di sicurezza che da quella porta non sarebbe entrato nessuno.

Si girò verso di me e mi strinse con tutta la sua forza. Sentivo le punte dure dei suoi capezzoli contro i miei pettorali mentre mi offriva le sue labbra la baciavo avidamente, come un assetato quando qualcuno gli offre dell’ acqua nel deserto. Mentre la sua lingua litigava con la mia, mentre mi lasciavo trascinare da quella furia tempestosa d’ amore, mi accorsi che avevamo appena varcato la soglia della camera da letto.

Non ricordo la composizione e come era l’ arredo della camera, avevo ben altro arredo da ammirare con calma, senza strafare.

Mentre ci baciavamo, mi slacciai la cintola e lei si sfilò il vestitino che nascondeva una finissima sottoveste di raso trasparente. Non vi era traccia del reggiseno, forse se l’ era tolto prima. Spiccavano le mutandine di raso si accompagnavano alla sottoveste, leggermente trasparenti, il tanto basta a far perdere la testa e fondere l’ acciaio. Nel mio caso l’ acciaio era già ben temperato. Sfilò le ciabatte si aggrappò al mio collo e mi fece cadere su di lei distesi sul morbido materasso di un letto ancora disfatto. Avevo l’ impressione di sentire sulle lenzuola bianche, l’ odore della sigaretta e l’ odore di sudore del suo uomo, mentre le colonne del sagrato si divaricavano, il Messia mentre entrava nella Cattedrale scrutandola e scrupolosamente la ispezionava con destrezza in ogni punto delicato e soave all’ interno di essa, era accompagnato da gemiti e sofferenze di chi la sofferenza in quel momento non sapeva esistesse.

Nel mentre si stava insieme trovando finalmente quello che stavamo cercando, avevamo raggiunto la beatitudine del piacere un rumore improvviso, ci destò dal profondo.

Il mondo cessò di vivere, l’ orecchio si all’ armò mettendosi in attesa ad eventuali sorprese. Il rumore, incalzò ancora con insistenza, era il trillo del campanello del citofono. Lei mi guardò terrorizzata, e mi trasmise il suo terrore, non sapevamo cosa fare, ci avevano colto alla sprovvista. In modo frettoloso e automatico, ci vestimmo alle belle meglio mentre il citofono trillava ancora. Lei si fionda alla porta, alzò la cornetta mentre il mio orecchio teso sentiva lei con la voce di chi si è appena svegliato, sussurrava.<< Chi è?... a!! si, le apro il portone, intanto vada in cantina, io arrivo subito.>> Si sente lo scatto della serratura del portone e lei

Come potevo fare? Era ovvio che


Miknomi Luccio 06/05/2016 08:01 827

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Nota dell'autore:
«Questo mio racconto, fa parte del libro autobiografico che a breve, finirò di scrivere. I luoghi, e i nomi dei personaggi sono immaginari.»

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