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Giornalisti... veri o falsi?

Sociale e Cronaca

Un parallelo che mi viene spontaneo, pensando a giornalismo e giornalisti, è quello fra tutta l'attenzione, che rasenta l'isterico, che viene dedicata al cibo per il corpo, all'inquinamento alimentare, dove si cincischia su ogni infinitesimo particolare, dove si vorrebbe che l'uso di ogni cibo fosse corredato con un libro che ne racconti tutta la storia, da quando è nato, ai traumi subiti nell'infanzia; viceversa, per quel che riguarda l'informazione, e in particolare quella televisiva, che è di fatto il cibo per la mente, sembra si possa dare in pasto alla gente qualsiasi schifezza, qualsiasi prodotto adulterato e presentato per buono, e tutto questo senza il bisogno del corredo di nessun libriccino che informi seriamente e in modo trasparente sulla provenienza del prodotto, sul chi lo produce e sull'interesse particolare che può avere nel sostenere una verità al posto di un'altra.

Se tanta attenzione isterica viene dedicata al cibo per il corpo, non penso sia molto corretto non dedicarne almeno altrettanta al cibo per la mente; nel nostro vanto di umani, e forse, più che per vero sentire, per darci un po' quel tono di homo sapiens sapiens che ci piace darci, si è sempre voluto pensare che la mente potesse valere un po' più del corpo.

Stando a questa logica perchè allora, come lo si esige per i cibi del corpo, non dovrebbe essere altrettanto imposto a giornali e TV di mettere in modo chiaro ed esauriente in capo alla testata dei loro articoli o programmi, per esempio chi sono i padroni, nome e cognome, che tipo di interessi economici o politici svolgono, tali da poter metterli in conflitto con la verità delle notizie che trasmettono?

Così facendo almeno l'utente potrebbe sapere l'origine del prodotto che consuma e potrebbe diffidare di notizie troppo a favore del proprietario del mezzo informativo o potrebbe capire perchè altre, allo stesso dannose, in quel mezzo sono state ignorate o minimizzate.

Ci sono stati alcuni episodi di intolleranza, e con accenni di violenza, verso giornalisti occupati nell'esercizio del loro “ diritto di cronaca”, e questi episodi hanno provocato molte polemiche, soprattutto in relazione agli episodi di Palermo, durante l'incontro dei 5stelle.

Quando si parla di violenza è quasi sacrale il riferimento a quella fisica, sembra anzi che questa parola si possa riferire solo a questa, ed anche quando questa fosse rimasta nei limiti di una spinta, uno schiaffo, uno sputo; sulla base di questa sacralità questi episodi diventano “ orribili atti di violenza”, viceversa non vengono minimamente considerate altre forme di violenza, prive di quella caratteristica di diretta intrusione nella fisicità dell'altro; ed anche quando queste possono essere in modo netto le cause cercate e volute per incitare a delle reazioni.

Nessuna attenzione si dà a quel tipo di violenza di potere, esercitata magari solo con le parole, sotto forma di calunnia e falsità, o con la strumentalizzazione delle leggi, che spesso sembrano fatte apposta per prestarsi alla strumentalizzazione, molto spesso più violenta della stessa violenza fisica reattiva.

C'è anche l'impressione che spesso questa violenza reattiva sia una forma di disperazione che deriva dall'impotenza di fronte alla sopraffazione di altre forme di violenza più subdole ed ambigue.

Ma non è mia intenzione con queste parole trovare delle giustificazioni alla violenza fisica, ma soltanto cercare di indagare questa parola in tutte le sue sfaccettature e che la stessa sacralità riservata alla violenza fisica dovrebbe essere riservata anche ad altre forme di violenza che, seppure non fisiche, le sono spesso peggiori.

Julius Streicher, direttore del giornale antisemita Der Sturmer, a Norimberga era stato condannato a morte ed impiccato e questa condanna gli era stata inflitta non per violenze compiute, ma per la violenza scritta con cui aveva perseguitato un popolo.

Questo fatto mi pare un inequivocabile riconoscimento che può esistere una violenza equiparabile alla peggior violenza fisica anche nel mestiere del giornalismo, anche quando, mascherandosi col “ diritto di cronaca” esercita una tale violenza verbale, tale da rendere poi quasi legittima la violenza fisica che ne consegue.

La parola giornalista conserva sostanzialmente un'accezione positiva, e questo seppure per tante osservazioni, e soprattutto nel presente, potrebbe essere molto discutibile.

Quasi istintivamente, per questa accezione, tale parola viene associata a libertà, diritto di cronaca, democrazia, e per questa istintualità sembrerebbe che quasi automaticamente il giornalismo corrispondesse a quei significati.

In realtà c'è ben poco automatismo fra giornalista e libertà e democrazia, questa corrispondenza è anzi, nel presente, raramente espressa, sono molti i requisiti che mancano perchè questo automatismo possa davvero verificarsi.

E forse per questo, volendo conservare un'accezione positiva della parola giornalista, sarebbe necessario fare una chiara distinzione fra chi è davvero amante della libertà e della ricerca disinteressata della verità che ne consegue e chi invece è al soldo di un qualsiasi potere e mette il suo pensiero e le sue parole al servizio del suo potere di riferimento; una distinzione di fatto fra giornalista vero o scribacchino, mercenario della parola, o comunque lo si voglia chiamare.

Da questo punto di vista credo si sia messi molto male e che in questo senso i “ veri giornalisti” siano merce davvero rara, almeno considerando quel giornalismo più diffuso, affermato e professionale.

So che questi ragionamenti tendono all'idealismo e che per questo possono apparire ingenui; come non fosse a tutti evidente quanto il giornalismo sia ben lontano dalla perfezione, e che a immaginarlo puro e sgombro di pressioni sia appunto ingenuo; ma sembrerebbe ingenuo, perchè, nella sua presunzione apparente tale giornalismo accampa la pretesa, e questa tende anche ad essere accettata, di una sua coerenza con simile idealismo; in effetti non c'è quasi nessun giornalista (giornali o TV fa lo stesso), anche quello la cui compromissione con specifici poteri è così sfacciata che il negarla appare indisponente, che non si adombri, non reagisca rabbiosamente, se viene apertamente accusato di essere al “ servizio di qualcuno”, ognuno di questi tende sempre a dirsi “ libero da ogni condizionamento”.

Di fronte a tali presunzioni il rilevare la corruzione degli informatori va un po' oltre l'ingenuità, ed è, credo, utile per togliere di mezzo tutte le ipocrisie con cui questa importante professione ama mascherarsi, “ almeno per sapere con chi si ha a che fare”, e poter allora distinguere, senza ipocrisie, il giornalista dal mercenario delle parole.

E' fin troppo facile dimostrare che “ giornalisti”, nel senso più positivo della parola, sono merce davvero rara, almeno nel giornalismo più importante ed influente, e possono stare forse nelle dita di una mano; per essere veri giornalisti bisogna dire la verità, a tutti i costi, e senza subire il condizionamento di nessun potere; cosa nei tempi presenti pressochè impossibile, almeno nel giornalismo organizzato.

Che questo non sia possibile è un fatto talmente logico che il solo riferirlo appare banale, eppure sconcerta che questa banalità non trovi molto riscontro nel credito che tale giornalismo, sostanzialmente tarocco e mercenario, continua ad avere.

La logica per cui gran parte del giornalismo è inaffidabile deriva dal semplice fatto che quasi tutti i giornalisti sono alle dipendenze di qualche padrone; senza bisogno di scrivere nomi, sia giornali che TV hanno tutti dei proprietari, siano industriali, gruppi finanziari, partiti o governo, poco cambia; da questo solo fatto si può desumere che l'affermazione di libertà dei giornalisti è quasi sempre, e per non dire sempre, una falsità; è evidente che chi possiede il loro lavoro possiede anche la loro libertà, che fino ad un certo punto potrà anche essere vera, almeno fin dove la verotà potrà essere funzionale agli interessi del committente, ma nel momento in cui gli interessi del committente esigeranno la menzogna, quei giornalisti non potranno sottrarsi a quel condizionamento, probabilmente la propensione alla bugia l'avranno già introiettata, scritta o non scritta, nello stesso atto di accettazione di quella dipendenza professionale; d'altronde bisogna pur vivere e quindi piegare la testa, anche perchè, fuori di quei circoli dominanti, gli spazi per poter vivere senza compromessi sono ai minimi termini.

Poi, una volta fatto il passo di essere servi, la degradazione verso la servitù più spudorata non conosce più limiti (quanti esempi di questo si troverebbero in Italia); quando uno ha cominciato ad agire da servo, è cme se si sentisse privato dell'onore e che alla fine, sprofondando completamente nella servitù, ne provasse quasi un sollievo, nel liberarsi del fardello di difendere un onore indifendibile, cominciando magari a vantare il suo successo di servo, per poterlo esibire contro quegli sfigati che, per non essere servi, restano sfigati.

Da questo senso logico di un giornalismo coartato è altrettanto logico dedurre che non esiste vera informazione, ma esiste solo manipolazione e propaganda e che di fatto l'informazione mente anche quando dice la verità, perchè anche in quel caso non si tratta di verità in quanto tale,, ma di verità che conviene al padrone committente.

Senza voler ampliarmi esisterebbe la possibilità di un'informazione vera e libera e sinteticamente, e se non fosse ancora idealismo, consisterebbe nella liberalizzazione piena e libera di ogni forma autonoma di informazione, con l'eliminazione di albi professionali (altrimenti perchè parlare di libertà di parola? Una libertà che deve chiedere patenti non è libertà e tutte le agevolazioni possibili, senza costi per la comunità, per ogni autonomia informativa.

Alla fine di questi ragionamenti credo di poter dire che l'informazione, per come è attualmente strutturata, deve essere maneggiata con cura, presa con molta diffidenza e molto senso critico.

Michele Serri 17/10/2016 17:13 910

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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