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Bock

Sociale e Cronaca

BOCK

Niente fissa una cosa così intensamente nella memoria

come il desiderio di dimenticare.
(Michel de Montaigne)

È uno spettacolo da fermare per sempre in un dipinto, pensò Pietro, guardando con lo stupore di un bambino la linea perfetta dei suoi monti. Il tramonto, quella sera, sembrava voler sfidare la maestria di un pittore, con quelle sfumature di colori che solo la mano della Natura sa creare.

Lo osservava dalla radura dinanzi al piccolo chalet in legno che ormai da sette anni era la sua abitazione e dalla quale gli sembrava di poter abbracciare cielo e terra, al sicuro, felice del solo fatto di essere vivo. Scodinzolando, gli si avvicinò, con l’ andatura resa lenta e misurata dall’ età, il vecchio Bock e andò a leccargli il dorso della mano rugosa, poggiata sul bracciolo della robusta sedia a dondolo.

Ci unisce molto più che un’ affezione naturale, amico mio! disse Pietro a voce alta, accennando un sorriso. Il fedele compagno gli rispose agitando più velocemente la coda e regalandogli un’ altra generosa leccata alla mano.

Calava la sera. Il bestiame era già nelle stalle e tutt’ intorno non si sentiva altro che qualche tardivo fruscio di uccelli tra i rami. Fiorrancini, cappellacce e calandri, qualche fanello, in cerca del loro nido; e ancora coturnici tra i cespugli e le rocce che contornavano, un po’ più in basso rispetto alla radura, il terreno di proprietà.

In lontananza, attutito dalla distanza, ma tuttavia rassicurante, il suono della campana del paesino a valle, tornato alla vita anch’ esso, dopo quella terribile notte di terrore e di morte.

Ricordava, come fosse avvenuta in quel momento, ogni cosa. Anche il più insignificante particolare di quella notte, del giorno precedente e del successivo gli si era stampato nella mente indelebilmente. Avrebbe preferito dimenticare, ma si sa, niente fissa una cosa così intensamente nella memoria come il desiderio di dimenticare.

All’ epoca in cui si verificarono gli accadimenti di cui diremo, Pietro faceva l’ allevatore alle falde dei Monti della Laga, poco fuori dal confine del Parco Nazionale. I pascoli là sono magnifici, per la presenza di innumerevolisorgenti perenni, distribuite sin quasi sulle vette, che alimentano la circolazione superficiale delle acque. Il territorio, a differenza delle altre montagne dell'Appennino centrale, è verdeggiante e ricco d'acqua durante tutto l'anno.

Per tutte queste ragioni, da almeno tre generazioni, la sua famiglia viveva lassù curando una piccola azienda di allevamento: solo otto mucche e una ventina di pecore da latte, e Bock, un magnifico tornjak di tre anni, a guardia del bestiame e della casa.

Chiamarla “ casa” sarebbe sembrato quasi ridicolo a chi giù in paese possedeva un’ abitazione con più di un piano, più di due stanze, con un vero bagno, attrezzato come si deve, con quei piccoli, indispensabili confort che ti rendono la vita facile. Ma a Pietro bastava: una costruzione in pietra grezza, col tetto in tegole rosse (il suo orgoglio!), due vani, di cui uno piuttosto grande, in cui trovavano posto insieme la cucina, con il tavolo in legno massiccio e tre sedie, una minuscola libreria con pochi libri, tutti già letti più volte, e il suo letto, da sempre accanto all’ ampio e robusto camino, sulla cui mensola, ricavata da una massiccia trave di castagno, erano allineate alcune foto di lui bambino con suo padre e sua madre, là, sulla collina, dove sorgeva da generazioni la loro piccola azienda. Sulla cappa, ingrigita dal fumo, troneggiava un antico pendolo a muro, coi suoi rintocchi regolari a scandire giorno e notte con straordinaria precisione il quarto, la mezza, i tre quarti, l’ ora. Un compagno affettuoso, inarrestabile e severo. Non si spreca il tempo, amava ripetergli spesso suo padre, il tempo è lavoro, ma anche guadagno, è fatica, cui segue un giusto riposo, è vita che scorre, vita sudata, ma è pur sempre vita. L’ altra stanza, quella dei suoi genitori, era occupata soltanto dal letto matrimoniale, due comodini, una sedia a dondolo (dove sua madre riposava per l’ intero giorno, gli ultimi tempi, prima che la morte si portasse via anche lei). Su una delle pareti si apriva, di fianco alla finestra che dava sul retro, una stretta porticina, che immetteva nel bagno, uno stanzino minuscolo, arredato con i servizi igienici essenziali.

Dopo la morte dei genitori, Pietro era rimasto là, a curare il bestiame, scendendo in paese per le spese necessarie, per una bevuta al bar con gli amici, per passare una volta al mese da Gianni, il barbiere. Non si era sposato, perché non era riuscito ad amare nessun’ altra donna, dopo Laura, e lei si era trasferita a Ferentino coi suoi, quando ancora erano poco più che due ragazzi. I loro destini avevano preso strade diverse, divergenti per necessità. Tuttavia non soffriva della sua solitudine, perché in effetti non era mai solo: c’ erano i suoi animali e Bock e gli amici in paese e la Natura: aveva tutto, insomma.

Il giorno prima che tutto accadesse, così come il precedente, le sue otto mucche avevano prodotto meno latte del solito, con gran disappunto di Michele, il casaro, che veniva a ritirarlo quotidianamente, risalendo volentieri col furgoncino dal paese fin lassù (il latte di Pietro era speciale per le ricotte e il pecorino, che andavano a ruba). Le pecore, dal canto loro, gli avevano reso complicatissima la mungitura, spostandosi in continuazione sulle zampe. Adelmo, il ragazzo che lo aiutava ogni giorno in questa operazione, non si capacitava di quell’ agitazione delle bestie e un paio di volte ebbe a dire, rivolto al padrone: “ Se fanno così anche domani, sor Pie’, io qua non ci vengo più ad aiutarti”.

Le mucche mostravano un’ insolita irrequietezza. Si aggiravano nell’ ampio pascolo quasi a vuoto, ruminando lentamente pochi ciuffi d’ erba, levando di tanto in tanto sordi muggiti. Anche le pecore avevano uno strano comportamento: sollevavano spesso il capo, rimanendo come in ascolto, girando gli occhi tutt’ intorno, per poi tornare a brucare distrattamente l’ erba. Bock le teneva raccolte, come per impedire loro di allontanarsi dal centro del prato verso la staccionata, abbaiando inaspettatamente senza una valida ragione e intervallando l’ abbaiare con guaiti lunghi e inquieti.

La sera Pietro aveva avuto un bel da fare per riportare nelle stalle gli animali, soprattutto perché Bock sembrava non volerne sapere di aiutarlo in quell’ operazione, che pure era così abituale per lui e in cui era un vero maestro. Invece di spingerle verso i ricoveri, sembrava far di tutto per tenerle fuori, e aveva abbaiato rabbiosamente quando le porte della stalla e dell’ ovile erano state chiuse dal suo padrone.

In casa, poi, dopo cena, quando ormai era scesa la notte ed era giunto il momento di addormentarsi per entrambi, Bock non riusciva a stare fermo. Ad intervalli irregolari, si sollevava sulle zampe anteriori e aguzzava le orecchie, come ad ascoltare rumori che solo lui poteva sentire. Pietro, infastidito dalla difficoltà di addormentarsi e già col pensiero all’ alba, che sarebbe arrivata ben presto col suo carico di fatica, gli ordinava con tono di rimprovero di accucciarsi una buona volta; e la povera bestia, intimorita, tornava a stendersi sulla sua rozza stuoia, ma per risollevarsi nervosamente subito dopo, magari solo per guaire sommessamente. La storia andò avanti per gran parte della notte.

Il pendolo aveva già suonato le due. A Pietro restavano poche ore per riposare, poi avrebbe dovuto affrontare una nuova giornata gravida di lavoro. Ma quella notte, forse a causa del caldo insolito, forse a causa dell’ insonnia, gli pareva davvero diversa da tutte le altre. Dalla stalla, poco distante dall’ abitazione, gli arrivavano a tratti strani rumori; come un tramestio di zoccoli sul pavimento in terra battuta o l’ urtare contro le sbarre in legno che sovrastavano le mangiatoie. Dall’ ovile, di tanto in tanto, qualche belato.

Non era mai successo, inoltre, che il suo cane si comportasse in un modo così strano, pensò Pietro, avvertendo dentro di sé una sorta di sconosciuto disagio, una sensazione fastidiosa di paura del buio e della notte, che mai, in tanti anni, aveva avvertito, neppure immediatamente dopo la morte improvvisa del padre e quella, inattesa e troppo ravvicinata, della madre.

Il suo letto era proprio di fianco al camino, spento in quell’ agosto caldo e un po’ afoso, persino lassù in montagna. Un’ aria insolitamente tiepida e umida scendeva giù dalla canna fumaria, diffondendosi tutt’ intorno nella stanza e Pietro, sveglio e agitato dall’ insonnia, l’ avvertì con grande fastidio. Sentì chiaramente il pendolo che scandiva il primo quarto dopo le tre e poi la mezza. Il sonno non arriverà più per me stanotte, pensò, al colmo dell’ irritazione. Calcolò tre o quattro minuti, basandosi sul ticchettio particolarmente sonoro della lunga barra di ottone che oscillava nell’ oscurità. Poi si volse a guardare l’ ora, risalendo con gli occhi dal grande medaglione al quadrante: le tre e trentacinque.

Fu allora che Bock si alzò di scatto sulle zampe, drizzò le orecchie, guaì con le mascelle serrate, poi cominciò a ringhiare sordamente e infine abbaiò così forte, che Pietro balzò giù dal letto, terrorizzato. Gli urlò più volte di smettere, poi, esasperato, gli assestò una pedata, che lo mandò a sbattere di peso sulla piccola libreria lì accanto. Alcuni libri si rovesciarono sul pavimento, aprendosi a ventaglio. Bestemmiò anche, Pietro, assestando un pugno sulla mensola del camino. Due foto di famiglia caddero a terra e il vetro delle cornici si sparse dappertutto, ridotto in mille pezzi. Ma Bock continuava ad abbaiare, correndo all’ impazzata dal letto alla porta e dalla porta al letto, nello sconcerto del padrone, ammutolito e immobile al centro della stanza. Finché gli si avventò addosso, azzannandogli il braccio fino a farlo sanguinare e lo trascinò a forza verso l’ uscio. Al colmo dell’ ira, Pietro lo spalancò, per far uscire all’ aperto quella bestia rabbiosa, che non riconosceva più.

Era ancora immobile sulla soglia, quando ebbe la strana impressione che la lastra di pietra si stesse sollevando sotto i suoi piedi, mentre un sordo boato, come di tuono, proveniente dal ventre profondo della terra, invadeva il silenzio oscuro della notte.

Per un centinaio di secondi, lunghi come ore, la radura, le stalle, la casa sembrarono perdere ogni legame col terreno, che continuava ad oscillare come fosse un enorme tappeto scosso da mani gigantesche.

Cadde a pancia in giù sul prato antistante la casa, mentre tutt’ intorno si mescolavano i rumori più diversi: il fragore assordante delle mura in pietra che si sbriciolavano alle sue spalle; lo scricchiolare delle assi del tetto, che si spezzavano e crollavano l’ una sull’ altra, quasi fossero bastoncini di un gigantesco shanghai, portandosi dietro le tegole spaccate, il comignolo con la banderuola di ferro, i vetri delle finestre. E in quel frastuono spaventoso, il muggito alto delle mucche e i belati disperati delle pecore nelle stalle, ripiegatesi su se stesse, come castelli di carte che crollano sul piano di un tavolo urtato sbadatamente.

Un dolore acuto al capo gli incollò al suolo la faccia. L’ ultima immagine che gli rimase impressa negli occhi, spalancati dal terrore, fu quella delle cime dei monti, danzanti nella luce irreale della luna. Infine, su di lui e su tutta la radura caddero il buio e il silenzio.

Si risvegliò che ormai l’ alba imbiancava il paesaggio. Sentiva la lingua umida di Bock che gli raschiava le guance e quel dolore acuto alla testa. Portò a fatica una mano nel punto di maggiore dolenzia e la ritrasse macchiata di sangue, già un po’ raggrumato. Gli ci vollero pochi secondi per mettere a fuoco l’ accaduto, mentre il ricordo di ciò che era avvenuto poche ore prima si stagliò chiaro e particolareggiato nella sua mente. Ebbe paura di voltarsi indietro a guardare, perché già immaginava cosa avrebbero dovuto vedere i suoi occhi. E infatti, non appena ebbe trovato la forza di guardare dietro le sue spalle, gli si parò dinanzi, ridotto in un ammasso informe di detriti, tutto ciò che aveva rappresentato per lui la vita: la casa in macerie e tra di esse, pressoché intatto, quasi una beffa del destino, il robusto camino con il pendolo bloccato sulle tre e trentasei; le stalle con la copertura crollata, e tuttavia ancora vive in quei muggiti che si levavano nell’ aria rarefatta dell’ alba. Bock gli stava accanto, gli leccava le mani, guaiva e abbaiava, rivolto alle stalle, come a dirgli che bisognava alzarsi da terra, farsi forza, soccorrere gli animali, liberarli dalle travi e dai detriti, rassicurarli coi gesti e con la voce, perché, dopotutto, erano vivi, come lo era lui, il loro padrone.

E Pietro si fece forza, si rialzò da terra, disperato e dolorante, piangendo come un bambino, terrorizzato al pensiero del domani e del suo futuro, insicuro ormai su ogni cosa, solo con i suoi animali in mezzo a tutta quella devastazione.

Non aveva mai pregato né riuscì a farlo in quel momento. Ma nel frastuono assordante dei pensieri che gli invadevano il cuore e la mente, sentì, come se appartenesse ad un altro, la sua voce che ringraziava Dio per avergli lasciato il bene più prezioso, la vita.

La distruzione che lo spaventoso sisma di quella notte aveva provocato giù in paese e nei dintorni, le innumerevoli vittime, il dolore dei sopravvissuti, gli interventi della Protezione civile, delle Unità cinofile e dei volontari, impegnati nei soccorsi, le operazioni di sgombero delle macerie e i piani di ricostruzione riempirono per mesi le cronache dei quotidiani, i notiziari, i dibattiti politici dell’ Italia e del mondo. Poi era iniziata la ricostruzione e con essa il reale ritorno alla vita, alla speranza di un futuro fatto di tranquilla quotidianità, di maggiore sicurezza, di tentativi più o meno riusciti di voltare pagina e iniziare un nuovo capitolo della propria esistenza.

Da tanto dolore, forse, siamo usciti addirittura arricchiti dentro, pensò Pietro, accarezzando la testa pelosa di Bock.

Forse, chissà, siamo diventati un po’ più umili, più consapevoli dei nostri limiti, più riconoscenti verso Dio.

Forse riusciremo, dopo questo immane disastro, ad avere maggiore rispetto per l’ ambiante che ci circonda, per questa terra in cui viviamo, ma che non ci appartiene, che ci è data in usufrutto e che abbiamo il dovere di conservare per le generazioni che verranno.

Forse riusciremo a dimostrare una maggiore umanità e una sincera compassione per il nostro prossimo, per chi è meno ricco e fortunato di noi, per gli animali, anche, che ci amano incondizionatamente, e che noi spesso non esitiamo a maltrattare e ad abbandonare.

Tu, per esempio, non mi hai mai abbandonato, amico mio - disse rivolto a Bock, che pareva starlo ad ascoltare - Tu mi hai salvato.

Il vecchio tornjak agitò più velocemente la coda, preso da una sua qualche istintiva felicità, e gli leccò ancora una volta il dorso della mano rugosa, poggiata sul bracciolo della robusta sedia a dondolo.

P. S.

L’ assunto per cui gli animali possono presagire i terremoti è vecchio di secoli. Nel 373 d. C. gli storici hanno tramandato che gli animali, inclusi topi, serpenti e donnole, abbandonarono la città Greca di Helike, in Grecia, alcuni giorni prima che un terremoto accompagnato da tsunami colpisse la città, distruggendola e sommergendola.


Silvana Poccioni 29/10/2016 14:15 1067

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Scritto per il sisma del 24 agosto ad Amatrice e dintorni, lo propongo ora, con triste desolazione, in occasione del nuovo terremoto verificatosi pochi giorni or sono nell'Italia centrale.
Il racconto è presente nell'antologia "Vite che tremano, a cura di Ida Di Ianni e Matilde Iaccarino, Volturnia Edizioni, 2016.
»

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