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Questo racconto è inserito in:
 Parte 10 della raccolta "Sulle magiche ali della fantasia " di Vivì (10 racconti)
 I miei racconti Fantasy

L’emblema del lupo (ultima parte)

Fantasy

2 novembre 1847

Ero ancora lì, incredulo, a osservare il corpo senza vita dell’ uomo responsabile della morte dei miei genitori, quando gli stallieri accorsero per verificare l’ accaduto. Evidentemente erano stati messi in allarme dalle urla e dal rumore dello scontro.

Uno dei più giovani mi si avvicinò e con fare ossequioso m’ informò che erano stati costretti ad avvisare le guardie di palazzo e, che da lì a poco, sarei stato condotto al cospetto dell’ imperatore.

Aveva un modo tanto timoroso, da indurmi a sorridergli con indulgenza. « Seguirò le guardie senza opporre resistenza» lo rassicurai.

Lui s’ inchinò « Mio signore, mi dispiace!» mi mormorò con tristezza.

Ero un samurai e, per il valore dimostrato nel recente passato, mi ero guadagnato la stima e il rispetto di tutto il popolo.

Consegnai le armi alle guardie che mi scortarono tra due ali di addetti e d’ inservienti silenziosi e riverenti nei miei confronti.

Capii subito che qualcosa non andava. Invece di scortarmi nella sala del trono mi condussero nelle segrete del palazzo.

«Portatemi dal sovrano. Ho urgente bisogno di parlargli» ordinai ai miei carcerieri.

«Ci dispiace, comandante Hamamoto. Noi eseguiamo soltanto gli ordini ricevuti.»

Il tono della guardia mi parve quasi di scusa e ricevetti conferma con l’ intervento dell’ altro carceriere: «Riferiremo al più presto la tua richiesta, comandante.»

Si congedarono entrambi dimostrandomi molto rispetto e quando fecero scattare il chiavistello, nei loro occhi ravvisai un sommo rammarico.

Trascorsi alcuni giorni rinchiuso nelle segrete del palazzo in totale isolamento, senza vedere nessun altro oltre loro. Speravo sempre di essere ricevuto dal sovrano, ma fino a quel momento, la mia domanda era stata ignorata.

Non era un buon segno e nemmeno credevo fosse normale. In fin dei conti ero appena stato nominato alto dignitario di corte, con delle mansioni della massima importanza per i confini del regno, perché l’ imperatore non mi concedeva un colloquio dandomi modo di spiegare le mie ragioni?

Non avendo null’ altro da fare, passavo il mio tempo a rimuginare e le notti le trascorrevo insonni.

Finché, il quarto giorno di prigionia, le guardie mi domandarono di seguirli.

«L’ imperatore accetta di vederti, comandante Hamamoto»

Respirai di sollievo e li seguii deciso a spiegare le mie ragioni e a chiarire come si erano svolti i fatti.

I dignitari e i consiglieri di corte erano tutti presenti e, nell’ avanzare verso il seggio imperiale, avvertii i loro sguardi severi e accusatori sulla mia persona.

Cercai d’ ignorarli e quando fui davanti al regnante, mi prostrai, come prevedeva il protocollo.

« Abbiamo accettato di parlare con voi, solo perché abbiamo avuto l’ onore di conoscere vostro padre. Ma sappiate che la vostra condanna è irrevocabile!» dichiarò con voce aspra l’ imperatore.

Mi sollevai d’ istinto e lo guardai, allibito:

«Dunque, a mia insaputa e senza possibilità di difesa, si è già svolto un processo, ed è stato emesso un verdetto di morte!»

« Aiashi Hamamoto, il tuo comportamento è inaccettabile. Rispetta il protocollo e attendi di essere interpellato.»

Era stato uno dei consiglieri più vicini al sovrano a riprendermi, ma in quel momento ero troppo indignato per prestargli ascolto:

Mi rivolsi all’ imperatore: «Perdona, mio signore, ma credo che non sia prassi normale una procedura del genere. Non mi è stata data possibilità di difendermi!»

« Ci sono parecchie testimonianze contro di te, Aiashi Hamamoto ed eri l’ unico presente sul luogo del delitto.»

Abbassai il capo e con tono umile ammisi: « Sono colpevole della morte di tuo cugino, è vero, ma ti posso assicurare che la sua fine non era premeditata. Avevo chiesto a tuo cugino chiarimenti sulla morte dei miei genitori e lui aveva fatto le prime ammissioni. Ci siamo scontrati e solo il fato ha voluto che l’ esito fosse fatale. Te lo giuro, mio signore, io volevo solo giustizia e per questo avrei voluto che fossi tu a giudicarlo. Purtroppo, non è andata così.»

Il suo sguardo si fece gelido e fu ancora una volta il consigliere a intervenire: « Come osi accusare il cugino prediletto del nostro sovrano?»

L’ imperatore lo mise a tacere con un cenno della mano.

«Noi non ti crediamo! Nostro cugino era un uomo onesto e gentile. Non avrebbe mai compiuto una simile barbarie. E il fatto che tu accusi un uomo morto non ti fa onore, Aiashi Hamamoto.»

Le sue parole mi avevano condannato senza possibilità di appello e allora intuii che c’ era dell’ altro.

Guardai i consiglieri e i dignitari di corte.

“ Chi tra loro può trarre vantaggio dalla mia eliminazione?

Incrociando i loro occhi ero in grado di discernere l’ imbarazzo e talvolta la vergogna per il giudizio espresso. In modo particolare, mi colpì l’ atteggiamento elusivo di un altro parente stretto dell’ imperatore, che sapevo molto legato al dignitario ucciso. Percepivo chiaramente la sua ritrosia a sostenere il mio sguardo e allora intuii. Anche lui era coinvolto nel complotto ordito contro di me. Ma che potevo fare se non maledirlo mentalmente per le sue malefatte? Ero sicuro che, a quel punto, lanciare accuse non sarebbe servito a niente. Chi mi avrebbe creduto?

La voce dell’ imperatore mi strappò dalle mie riflessioni: « Avete qualcosa d’ altro d’ aggiungere prima che venga eseguita la vostra condanna?»

Mi riscossi, ormai rassegnato al mio destino:

« Non sono qui per avere salva la vita, mio signore! Ma solo perché mio padre aveva fiducia e rispetto per voi. Ed è per questo che vorrei affidarvi la sacra lama che mi affidò poco prima di morire e che vorrei fosse consegnata al monastero al quale appartengo. Vi prego soltanto di credere che non sono uno spietato assassino e di non farmi subire l’ onta del capestro!»

L’ imperatore mi scrutò attentamente, quindi mi fece un breve cenno d’ assenso.

Quella sera stessa fui accompagnato nella piccola sala del Tempio, dove i soldati mi lasciarono solo, con una spada appoggiata su di un cuscino. M’ inginocchiai davanti, mettendola in posizione.

Non ho mai temuto la morte, ma l’ ho sempre considerata compagna fedele di ogni guerriero.

Il mio unico rammarico era quello di dover lasciare troppe cose in sospeso.

E mentre la lama era già puntata sul mio ventre, i miei ultimi pensieri erano rivolti alle persone care ormai perdute e alla mia dolce Hashiko.

Stavo per lasciarmi andare con brutalità sulla punta della spada, quando un ululato risuonò nel silenzio circostante. Mi girai in tempo per vedere, oltre la paratia di cartapesta, le ombre dei due soldati di guardia che cadevano, poi la parete si aprì e mi apparve il suo sorriso luminoso.

« Sono felice di essere arrivata giusto in tempo, Aiashi!» disse dolcemente, mentre mi porgeva le mie armi.

«È stato un arrivo tempestivo!» risposi inchinandomi. In fin dei conti non avevo tutta quella fretta di morire. E quella era la seconda volta che lei mi salvava la vita.

Corremmo fianco a fianco coperti dalle frecce e dalle lance dei miei compagni. Mi resi conto che erano accorsi tutti per salvarmi e la cosa mi commosse.

Non trovammo una grande resistenza, anzi, qualche soldato diede l’ impressione di cedere il passo e le armi con più trasporto di quanto fosse conveniente. Qualcuno non combatté nemmeno, lasciando che io e i miei compagni passassimo, elargendoci addirittura un inchino. La fama che aleggiava attorno ai samurai aveva fatto breccia anche nei cuori di quei giovani soldati.

Non fu difficile uscire dalle prigioni, e quando ritenni di essere abbastanza lontani mi fermai: «Non me la sento di diventare un eterno fuggitivo, Hashiko. Devo scoprire la verità e portare le prove della mia innocenza all’ imperatore per rivalutare il mio onore di samurai.»

Lei mi si avvicinò e la strinsi al petto. « Torna da me, ti prego!» mormorò semplicemente e io la baciai.

L’ abitazione dell’ ultimo complice era difesa da alcune guardie armate, tuttavia, silenzioso come un giaguaro affondai gli artigli nelle sentinelle e me ne liberai dopo una lotta furiosa con i bastoni.

Entrai nella casa immersa nell’ oscurità. Per qualche istante pensai che fosse stato sin troppo facile e che forse si trattava dell’ ennesima trappola ordita ai miei danni, ma poi capii per quale motivo non avevo trovato molta resistenza.

Il vile aveva appena abbandonato la sua famiglia, la moglie e i figli al loro destino.

La donna, forse, non aveva fatto in tempo a fuggire e probabilmente si aspettava la mia visita. Non si nascose e nemmeno tentò una fuga inutile. Come avrebbe potuto con tre bambini piccoli? La trovai in piedi in una stanza con i figlioli stretti a sé, in un vano tentativo di difesa.

Rimasi interdetto con la spada sguainata e la donna arretrò d’ istinto trascinando con sé i bambini.

Le loro urla mi provocarono un tuffo al cuore. Lei tentò di rassicurarli stringendoli ancor di più a sé.

Non mi aspettavo certo di trovare la famigliola e, in quel momento, commisi l’ errore di guardare i bambini incrociando il loro sguardo terrorizzato.

La collera glaciale che mi aveva sostenuto fino allora e, la mia risolutezza nel cercare di vendicare i miei genitori, si spensero nell’ espressione spaurita di quelle anime innocenti.

Abbassai la mia spada, non avevo più motivo di brandirla e sotto gli occhi vigili della madre mi avvicinai al più piccolo sollevandogli con delicatezza il mento. Lo sentii tremare come un uccellino indifeso e quel tremito mi coinvolse, m’ intenerì.

«Non aver paura. Non vi farò nulla di male!» dissi e avvertii la mia mano tremare di commozione, mentre posavo una lieve carezza sulla testa della tenera creatura.

La donna mi guardò attraverso un velo di lacrime, poi, senza dire una parola s’ inchinò rispettosamente, subito imitata dai suoi figlioli.

Annuii e ricambiai il saluto, grato per il dono che ci eravamo, vicendevolmente, scambiati.

Corsi fuori e ritrovai Hashiko. Mi aveva fatto credere che avrebbe aspettato in disparte ma non se l’ era sentita e non mi aveva abbandonato. Anzi si era data da fare con i miei compagni fedeli, ed era riuscita a catturare l’ ultimo artefice delle mie disgrazie.

«Quest’ uomo stava fuggendo ed ho pensato che forse a te sarebbe dispiaciuto perderlo di vista, così l’ ho bloccato per te.»

La ringraziai, sorridendo per il suo modo di agire di cui, appena possibile, mi avrebbe dovuto rendere conto: «Sei unica, mia signora!»

Poi guardai il fuggitivo e la collera riavvampò come una fiamma devastatrice nella mia coscienza.

L’ istinto mi suggeriva di farmi giustizia sul posto, la mia sete di vendetta bramava il sangue di quel traditore.

La mia spada puntò sul suo petto e vi rimase.

Ero pronto a colpire, ma qualcosa me lo impediva. Cos’ era? La pietà o la ragione? Forse era più la ragione considerato che quel tizio non meritava la mia compassione. Lui non ne aveva dimostrata con i miei cari.

Negli occhi del delinquente era palese il terrore che provava.

« Non ti ucciderò! Sono un samurai, non un assassino!» dissi e sentii Hashiko che sospirava di sollievo.

Lei mi venne ancor più vicina e io percepii il dolce profumo che il suo corpo emanava. Aspirai avidamente quel sentore, ne sentivo un bisogno viscerale, soprattutto in quel momento. Quanto mi era mancato durante la prigionia.

La sua vicinanza spazzò gli ultimi sprazzi di collera dalla mia mente e iniziai a riflettere con più calma.

«Vieni con me!» le dissi prendendola per mano e lasciando i miei guerrieri a guardia del prigioniero.

Per la prima volta nella mia vita non avevo certezze su come agire e quell’ indecisione mi turbava.

Con la fuga dalle carceri ero diventato un fuorilegge e, se non avessi portato le prove della mia innocenza, da quel momento la mia vita si sarebbe svolta in latitanza, braccato come una belva feroce e, probabilmente, sarei stato costretto a una fuga continua.

No! Non avevo faticato anni per diventare un guerriero per ridurmi a vivere come un comune delinquente.

Per tornare a essere un fiero samurai dovevo riconquistare la fiducia dell’ imperatore. Ma si era dimostrato ostile durante l’ ultimo incontro e se mi fossi ripresentato a palazzo che garanzie avevo che mi avrebbe lasciato parlare?

Le chiesi consiglio:

« Cosa devo fare, Hashiko?» le domandai esponendole i miei dubbi.

Il suo tono dolce mi carezzò i nervi: « Il solo fatto che tu consideri un’ infamia infierire su quell’ uomo è già di per sé una chiara risposta ai tuoi dubbi. Segui la via che ti indica il cuore, Aiashi e vedrai che così farai la scelta più giusta.»

Annuii. Aveva ragione, eppure esitavo ancora. In fin dei conti anche lei, liberandomi, era diventata fuorilegge. Era giusto condurla davanti all’ imperatore?

Hashiko aveva indovinato il mio pensiero, perché riprese: « Non temere per me. Il sovrano è un uomo giusto e comprenderà i motivi che mi hanno spinta ad agire in quel modo.»

« Lo credi davvero?»

Lei mi sorrise: « Se anche così non fosse, andremo insieme incontro al nostro destino!»

«Non posso permettere che tu rischi la vita per me. Quindi, tornerai al monastero e mi attenderai là, al sicuro e circondata dai tuoi samurai.»

Lei mi guardò con quell’ aria risoluta e temeraria che tanto mi aveva colpito anni prima.

«No! scandì Verrò con te e sarò al tuo fianco davanti al sovrano, perché la vita non avrebbe più senso senza di te.»

L’ abbracciai, quindi, insieme ai miei guerrieri chiesi un’ altra udienza al nostro sovrano.

Ripercorrendo il lungo corridoio che portava al trono notai che l’ atmosfera di diffidenza che avevo avvertito la volta precedente, si era come dissipata. I volti dei consiglieri e dei dignitari di corte non sembravano più tanto ostili nei miei confronti, anzi.

Io e la Sharez ci prostrammo e rimanemmo in quella scomoda posizione, in attesa che l’ imperatore interloquisse con noi.

« Seppure la presenza della Grande Sharez deponga a vostro favore, ci dovete molte spiegazioni, Aiashi Hamamoto!» esclamò il sovrano piegando appena la testa in un riverente saluto verso la sacerdotessa.

Avevo il permesso di rispondere e mi lasciai andare. Le parole proruppero dal mio cuore travolgendo gli ascoltatori nella sala, come un fiume in piena.

Parlai del rapimento di mia madre e delle violenze subite, dell’ agguato tessuto ai danni di mio padre e del suo assassinio. Parlai del complotto perpetrato affinché la carica di shogun, assegnatami in seguito, venisse designata al cugino del sovrano. Poi, ordinai che fosse portato il prigioniero e, con lui, presentai le prove del tradimento.

Quando smisi di narrare gli avvenimenti, il volto dell’ imperatore era accigliato. Evidentemente deluso e dispiaciuto per il comportamento di persone care in cui riponeva la massima fiducia e che invece avevano tramato anche alle sue spalle. Tacque per lunghi, interminabili istanti. Il suo nervosismo, la sua amarezza erano palpabili. Attendemmo tutti con il fiato sospeso, finché emise il suo verdetto:

« In passato abbiamo commesso dei grossi errori di valutazione nei vostri confronti e ce ne rammarichiamo. Il colpevole pagherà per i crimini commessi e voi sarete reintegrato con onore nelle vostre funzioni.»

« Grazie, mio signore!» risposi, tranquillizzato.

L’ imperatore fece un gesto e il ciambellano gli consegnò prontamente un involto, che il sovrano sciolse, mettendo in mostra la mia spada e brandendola in alto. La lama, lucida come uno specchio, catturò la luce delle lampade a olio e baluginò con riflessi accecanti.

Il sovrano scese i gradini e me la porse: « Questa lama è vostra di diritto. Andate in pace Aiashi Hamamoto e continuate a servirci con onore. Questo regno ha bisogno di difensori della giustizia come voi e i vostri fedeli guerrieri.»

Io e la Sharez ci congedammo con la mano sul cuore, quindi, indietreggiammo verso l’ uscita senza mai volgergli le spalle.

Ripensando ai miei genitori ebbi la certezza di aver fatto la scelta giusta e che, finalmente, avrebbero riposato in pace. La stessa pace che sarebbe scesa presto sul mio cuore e sulla mia mente turbata.

10 novembre 1847

Affrontammo un lungo viaggio per trasferirci nel villaggio dove avrei svolto le mie mansioni di shogun ai confini dell’ impero. I mesi passarono nella totale tranquillità e io e Hashiko, tra un allenamento e l’ altro, ci concedevamo lunghe passeggiate tra i ciliegi ormai quasi del tutto spogli.

Lei era sempre la Grande Sharez ed espletava le sue funzioni nel grande tempio situato al centro del villaggio.

Come avevo sognato sin da ragazzino era diventata la mia dolce sposa e passavamo tutto il tempo libero senza mai perderci di vista. Andavamo a caccia, ci allenavamo con l’ arco e con la spada, o ci dedicavamo alla meditazione.

Adoravo starle accanto e ascoltare il suono del suo respiro quando, a occhi chiusi, rimanevano zitti a sublimare l’ essenza della vita e la natura.

«Tutto acquisisce un senso: un fiore, un albero, persino un sasso che a prima vista sembrava inerte, può celare nel suo nucleo la memoria di cose remote» mi ripeteva spesso quando calava il crepuscolo e ci attardavamo all’ aperto per ammirare lo spettacolo che, da lì a poco, ci avrebbe offerto il cielo. Non potevo che confermare: «È vero! Non finirò mai di stupirmi davanti alle meraviglie del firmamento.»

I giorni e le notti si alternavano sotto il segno dell’ amore che ci univa.

Poi, accadde qualcosa che scosse profondamente la nostra pace.

Eravamo usciti per una cavalcata quando, sulla strada del ritorno verso il villaggio, notammo un cavaliere solitario galoppare nella nostra direzione.

« Chi sarà mai?» domandò con apprensione Hashiko.

Continuai a scrutare l’ avanzata del cavaliere. Quel suo modo forsennato era foriero di brutte notizie.

« Lo sapremo presto» risposi, mantenendo un tono tranquillo anche se, in cuor mio, già presagivo il peggio.

Andammo incontro al cavallerizzo e lui ci salutò in modo riverente.

« Mio signore! Mia signora! Porto un messaggio dell’ imperatore!» riuscì a dire con voce rotta dalla fatica.

« Riprendi fiato, soldato e riferisci con calma il messaggio del sovrano.»

« Porto brutte notizie, mio signore!» rispose, respirando più volte, poi, riprese: « Le orde di ribelli nell’ estremo sud del paese, si sono spinte di nuovo sui sentieri di guerra e l’ imperatore ti prega di tornare per assumere il comando delle armate e difendere la città.»

Era peggio di quanto avessi presagito. Dovevamo tornare a combattere e non era affatto semplice.

Finite le ostilità dei mesi precedenti avevo sciolto la parte dell’ esercito formata da volontari, mentre gli effettivi e i guerrieri più fedeli, avevano voluto seguirmi in questa nuova avventura. Purtroppo, anche se si trattava soltanto di poche centinaia di unità, non era comunque possibile sottrarsi alla chiamata del regnante.

Congedai il messaggero: « Prenditi qualche ora di riposo, quindi fai ritorno al palazzo e riferisci all’ imperatore che il vessillo del lupo tornerà a garrire per il popolo e per l’ impero!»

« Torniamo al villaggio!» dissi, spronando Figlio Del Vento.

« Aiashi mi disse Hashiko mentre cavalcavamo in fretta verso la nostra casa Dobbiamo inviare messaggeri in tutte le direzioni e, nel frattempo, iniziare il viaggio verso la città imperiale. I guerrieri che risponderanno all’ appello possono riunirsi a noi sulla via del ritorno.»

« Faremo come suggerisci» risposi, ringraziando le stelle per avere al mio fianco quella donna così bella e così saggia.

Radunai in fretta e furia i miei più fedeli, quindi, inviai messaggeri in tutte le province pregandoli di ricongiungerci lungo il cammino e partimmo con il cuore oppresso per gli scontri ormai prossimi.

Lungo la strada, gruppi di uomini e donne in armi infoltirono gradatamente il nostro contingente e, in poco tempo, un piccolo esercito di samurai cavalcava verso la città imperiale.

Durante il viaggio ebbi la netta sensazione di essere seguito e mi volsi indietro parecchie volte per controllare, senza peraltro notare nulla di strano.

Hashiko colse le mie occhiate nervose e intervenne per rassicurarmi: « I lupi sono con noi, Aiashi!»

Tesi i sensi allo spasimo, finché, proprio sulla cima di un’ altura, scorsi il grande lupo grigio che mi guardava. La sua presenza mi rassicurò. Ancora una volta, il mio piccolo esercito di samurai avrebbe avuto il supporto del branco.

Quando arrivammo l’ imperatore si era già ritirato in un luogo sicuro e la guardia regolare aveva già organizzato i primi preparativi di difesa.

Assunsi il comando, come era stato ordinato dal sovrano e iniziai a impartire disposizioni.

Il primo intervento da fare era quello di mettere al sicuro i vecchi, le donne che non erano in grado di combattere e i bambini, quindi ci preparammo all’ attacco dell’ esercito invasore.

10 novembre 1847

Avevo schierato i miei migliori arcieri e i frombolieri sulle mura difensive della città, tra i merli protettivi del camminamento di ronda.

Hashiko mi era accanto, con la sua presenza discreta eppure essenziale, pronta a sostenermi e consigliarmi.

Guardai i miei compagni e le mie compagne. Erano tutti protesi verso la valle, impavidi, ardimentosi. Pronti a combattere fino alla fine. Sui loro giovani volti lessi la stessa determinazione che sentivo dentro me stesso.

Mi avviai alle loro spalle per controllare che non vi fossero vuoti nella difesa e a ogni uomo e ogni donna diedi un segno d’ incoraggiamento. Non che ne avessero bisogno, ma solo per dare una dimostrazione di stima e di fiducia da parte mia. Ognuno di loro mi rispose con un cenno o con un sorriso.

Kento, il mio attendente, sovrintendeva il reparto di cavalleggeri che stavano in paziente attesa dietro il principale portale d’ ingresso che immetteva nella città.

Ci scambiammo uno sguardo d’ intesa. Tutto era pronto per una sortita veloce tra le fila nemiche.

La strategia l’ avevo studiata in collaborazione dei miei ufficiali e prevedeva, oltre alla difesa sistematica sulle mura, qualche repentina incursione della cavalleria all’ esterno, con lo scopo di provocare sconcerto e caos tra la fanteria nemica, che formava la prima linea.

L’ esercito nemico era già allineato e ovunque si posasse il nostro sguardo coglievamo i bagliori emanati dall’ acciaio delle armi. Misurai le forze con un’ unica occhiata: «Ancora una volta siamo in inferiorità numerica e forse ancor più che negli scontri precedenti» commentò Hashiko.

Annuii: «Sì, è vero! Ma dalla nostra parte abbiamo le spesse mura perimetrali che reggeranno bene agli assalti del nemico. Nessuno riuscirà a penetrare nella fortezza.»

«Hai ragione! — ammise lei — E, comunque, non sarebbe la prima volta che affrontiamo forze molto superiori alle nostre in termini numerici.»

«Rimango abbastanza fiducioso sull’ esito finale. Finché rimaniamo a combattere entro le mura per i ribelli non c’è alcuna possibilità di prevalere e, in caso di assedio, i magazzini sono colmi di scorte alimentari. No! Non mi preoccupo per il numero spropositato dei nemici» terminai con un sospiro.

Non lo dissi alla mia compagna, ma la mia inquietudine era ben altra e non osai confessarla.

Ci furono ancora alcuni minuti di totale silenzio rotto solo dal frinire delle cicale nella vallata sottostante, poi, i corni da segnalazione emisero un lungo, lugubre segnale e le ostilità ebbero inizio.

I dubbi che poc’ anzi non avevo espresso, si materializzarono sotto forma di gigantesche macchine d’ assedio.

Alcune torri mobili stracariche di guerrieri, nonché un mastodontico ariete da sfondamento e due catapulte fecero la loro comparsa, subito dopo le innumerevoli file di fanti e di arcieri che precedevano il grosso dell’ esercito a cavallo.

Hashiko non disse nulla, ma potevo avvertire tutta la sua ansia nel respiro diventato all’ improvviso più affrettato. Anche nei miei samurai serpeggiò qualche istante di sconcerto e potevo capire la loro emozione. In fin dei conti si trattava di guerrieri avvezzi alla lotta corpo a corpo sul campo aperto e non a una difesa sistematica tra quattro mura costrittive.

Decisi di dividere il tiro di fuoco che avevo a disposizione in quattro gruppi distinti, per cui tornai dai miei arcieri e impartii i primi ordini: « Voi laggiù, mirate prima agli uomini assiepati su quei trabiccoli; voi, invece, mirate agli animali che trascinano le catapulte. Voi al centro vi occuperete degli uomini che cercheranno di affondare con l’ ariete, mentre tutti gli altri colpiranno nel mucchio. Dobbiamo impedire che le macchine si avvicinino troppo alle mura.»

I miei guerrieri annuirono, quindi, incoccarono le frecce e si misero in posizione di tiro.

Fu allora che sguainai la spada e lanciai il nostro urlo di battaglia. La risposta dei miei compagni non si fece attendere, subito seguita dal suono cupo dei corni.

Tesi la spada verso l’ alto e la lunga lama d’ acciaio mi rispose, esplodendo in un lampo di luce accecante.

E nel momento in cui nella vallata si espanse un lungo, lugubre ululato, ebbi il sentore che qualcosa di assolutamente magico stesse avvenendo.

Gli occhi di migliaia di guerrieri si volsero verso le colline circostanti, mentre un’ orda di lupi famelici si riversava sulla pianura. Il grande lupo grigio era in testa alla massa di belve ululanti, che si riversarono sull’ esercito nemico e provocando sconquasso tra le file fino ad allora compatte.

La Sharez diede l’ ordine agli arcieri di scoccare le loro frecce. Una pioggia di dardi infuocati si abbatté sui barbari nemici che, attaccati su più fronti, accusarono il contraccolpo e sbandarono visibilmente.

« Hashiko, ti lascio il comando sugli spalti, mentre io mi unisco a Kento per una sortita tra il nemico.»

« No!» si oppose, alzando il tono di voce. « Non resterò qui a seguire i combattimenti. Verrò con te!»

Non era la prima volta che si ribellava e trasgrediva ai miei ordini.

« Il mio posto è al tuo fianco!» esclamò risoluta, rinforzando il concetto e allora capii che non avrei potuto nulla per farla desistere dal suo proposito.

Rassegnato, impartii lo stesso ordine all’ ufficiale superiore in grado, quindi, raggiungemmo Kento e i suoi cavalieri, in trepidante attesa sul portale d’ ingresso.

Indossammo i nostri elmi dalle maschere ghignanti. « Siete tutti pronti?» domandai, rilevando la mia voce soffocata e cavernosa. Era una domanda retorica. Ero perfettamente consapevole di quanto fossero tutti impazienti di combattere.

« Per l’ onore, per la gloria e per l’ impero!» gridai a squarciagola. Seguì l’ urlo unanime di tutti i miei samurai, quindi, spronammo i cavalli e ci catapultammo all’ esterno come tanti diavoli forsennati con le spade sguainate. Nel mezzo della bolgia ritrovai il branco dei lupi e combattei fianco a fianco con quello grigio.

8 marzo 1910

Mia zia entrò nella stanza proprio nel momento in cui chiusi il diario di mio nonno.

I samurai di Aiashi e Hashiko, con il supporto dei lupi, avevano prevalso anche nell’ ultima battaglia descritta, così bene, che mi era sembrato di esserne partecipe.

Ero commosso. La storia dei miei avi mi aveva preso, coinvolto e suggestionato, a tal punto, che sentivo gli occhi velati di lacrime. E fu attraverso quel velo che intravidi mia zia mentre mi porgeva un oggetto. Con il petto gonfio di orgoglio, riconobbi la spada del samurai.

«È tua adesso!» sussurrò, evitando di guardarmi, forse per non mettermi in imbarazzo.

« Zia, è troppo, non posso accettare. Non ne sono degno.»

« Ora forse non lo sei, ma un giorno potresti brandirla con orgoglio. Pensaci.» mi disse, con voce dolce.

“ Cosa aveva voluto dire?” pensai, dubbioso. Feci scorrere la lama dal fodero e l’ alzai verso l’ abbaino. La lama catturò la luce che filtrava dai vetri ed emanò un bagliore improvviso, come se sortisse dal cuore dell’ acciaio.

L’ ammirai sin nei minimi particolari, mentre un’ idea si faceva strada nella mia mente.

Forse era già tutto scritto nelle stelle e nel mio destino e mia zia mi aveva solo indicato con discrezione la mia strada.

In quel momento divenne tutto chiaro: sarei diventato un samurai! Avrei frequentato la stessa scuola già frequentata tempo addietro dai miei antenati.

All’ improvviso, l’ amuleto che avevo appeso al collo tramite una cordicella di cuoio, si riscaldò sul mio petto, suscitando un moto di sorpresa da parte mia. Vi posi le mani, non sapendo bene cosa aspettarmi. Mia zia mi scrutò con attenzione riuscendo a intravedere ciò che in quel momento stringevo sul torace, poi sorrise: « Le stelle sono con te. Aiashi Hamamoto!» e annuendo, uscì dalla stanza.

Fine


Vivì 22/04/2017 06:34 863

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Vivì ha pubblicato in:

Libro di poesieAnime in versi
Autori Vari
Antologia degli autori del sito Scrivere

Pagine: 132 - € 10,00
Anno: 2012 - ISBN: 9781471686061


Libro di poesieSan Valentino 2010
Autori Vari
Poesie d'amore per San Valentino

Pagine: 110 - Anno: 2010


Libri di poesia

Ritratto di Vivì:
Vivì
 I suoi 84 racconti

Il primo racconto pubblicato:
 
Chico l’ornitorinco che non sapeva nuotare (11/02/2011)

L'ultimo racconto pubblicato:
 
Marilù e il regno delle nuvole (13/04/2022)

Una proposta:
 
Con il gladio e con il cuore (6a parte) (30/08/2020)

Il racconto più letto:
 
Il rapimento di Babbo Natale (11/12/2011, 7255 letture)


 Le poesie di Vivì

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