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La Sibilla Cumana

Fantasy

La Sibilla, vestita di azzurro e turchese ammantata di nero silenzio, ci apparve improvvisamente nel nostro tempo. A breve ci aspettavamo che la Sibilla saltasse il presente, e ci presentasse il futuro a noi sconosciuto. Eravamo pieni di speranza.

Nell'antro le fiammelle tremolanti delle torce, lasciavano presagire che la fatica fatta per arrivare alla meta ci avrebbe ricompensati. Il buio ci penetrava dentro, mentre le nostre anime tese si aggrappavano a quello che avremmo voluto udire, a quello che ci avrebbe trasportato nel dolce canto degli uomini di pace, che si dissetano alla sorgente dell'amore. Sorgente dove tutto si veste di luce illuminando il traguardo finale del compimento. Nella grotta volavano uccelli di ogni tipo e di ogni colore, rompevano la nostra tensione con echeggianti mormorii. Alcuni di essi quasi si posavano sulle nostre teste colme di fumanti pensieri per l'avvenimento. La processione dei richiedenti fedeli era iniziata all'alba, gente di ogni ceto sociale e di ogni città: "da Delfi e da Alessandria d'Egitto ,dalla vicina Puteoli e dalla caput mundi si aggrovigliano all'ingresso, mentre i guardiani del tempio si preparavano ad aprire i maestosi cancelli che toccavano quasi il cielo. Le bighe lontane alzavano polvere di terra arsa, mentre i cavalli sbuffavano calore dal naso Anche la Sibilla, forse per il troppo caldo, avrebbe avuto qualche problema a scrivere gli oracoli su foglie di palma. Chissà! Eravamo i primi a varcare l'ingresso dei cancelli, e tra salite irte e polverose arrivammo nei cunicoli del tutto possibile. Non avevamo doni, ma cesti di pensieri colmi di speranze. Emettevamo urli echeggianti per pulire dalla zona del dentro le nostre ataviche paure, attraverso la gola e le pietre sudanti. I suoni che uscivano dalle nostre bocche rimbombano tra i cunicoli bui, mentre un Sacerdote ci ordinava di toglierci i sandali impuri con i quali avevamo calpestato la terra. Invitandoci, poi, a immergerci in una vasca d'acqua fredda per purificare i nostri corpi, offrendoci poi un lenzuolo di colore bianco con disegni enigmatici. E mentre accadeva ciò, si udivano canti di fanciulle vergini, che danzavano in cerchio attorno ad un fuoco per mostrarsi pure al Dio Apollo. All’improvviso arrivò silenzio vestito di assenza di luce, ecco era il segno che ci aspettavamo. Tra poco ci saremmo trovati nel luogo misterioso, davanti a colei che immedesimandosi in noi avrebbe pronunciato il nostro futuro, questa era la nostra richiesta.

Era imponente la Sibilla, aveva un viso geometrico e degli occhi felini, mani lunghe e unghie rosse, non poteva essere che una donna di eccezionale bellezza, anche perché era sposa di Apollo Citarista, sposa dalla bellezza in assoluto, da quella spirituale a quella materiale. Ci avvicinammo tremanti, le nostre gambe a stento reggevano il peso della meraviglia. La Sibilla Cumana fece cenno di sederci su cuscini a terra, mentre fumo d'incenso esalava da un braciere ardente. Dalla grotta cadevano come coriandoli petali di fiori profumati. Si alzò dal triclinio e ci disse con voce chiara e forte:"Che cercate voi due nella mia casa, che desiderate ascoltare da me, spirito vagante e sposa di Apollo?" poi, ci fu silenzio. Non avevamo il coraggio di chiedere del nostro futuro, avevamo paura, e quest'ultima si era impossessata di noi come non mai. Ma un gufo ci venne in aiuto e proferì per noi le nostre richieste. Le disse cantando del nostro desiderio di pace e amore, e se quest'ultimo sarebbe stato possibile nel futuro breve. La Sibilla si raccolse, si curvò sul proprio corpo e pianse. Ci invase una paura enorme, tutto lasciava presagire cose non buone, ma Lei ci tranquillizzò dicendoci: "Quello che vuoi due cercate c'è, appare e scompare, come tutte le cose della terra che sono fugaci come le stagioni, ma se vi immergerete nel lago dei sogni prosciugando le lacrime del non possibile, ciò avverrà”. Poi, disegnò strani simboli su foglie di palma, facendo volare le foglie nel soffiante vento dell'antro. Alcuni sacerdoti urlarono qualcosa, e le vergine si spaventano. Uscimmo dal cunicolo quasi storditi, e quando aprimmo gli occhi, la realtà vissuta un attimo prima si era smaterializzata. Il tempio era ridotto a piccoli frammenti di massi, non vi era più nulla di vivo, anche l'antro della Sibilla ero buio e senza sacerdoti. A stento si udivano colombi che, impauriti dai nostri passi, volano via lasciando cadere qualche piuma dal loro corpo. Sorridemmo, ma dentro di noi sapevamo che presto ci saremmo ritrovati soli come tutte le cose del mondo. Abbandonati alla speranza di una vita migliore, come quella di essere due in un unico corpo. Ma questo richiedeva sforzo continuo, e certamente la Sibilla ci entrava poco. Percorremmo così di corsa la strada che portava sul lago d'Averno o meglio all'ingresso degli inferi, senza paura alcuna, mano nella mano per accedere a quello che degli inferi nascosti nemmeno sapevamo, ma prima ci soffermammo a leggere una lapide che stava proprio all' ingresso dell'Ade, sulla quale c'era inciso a caratteri grandi e leggibili a tutti, un monito dettato da un buon Dio, monito che diceva: " O figlia degli dei, l'abisso ha dei terrori e dei fremiti che il cielo non conosce; ma non comprende il cielo chi non ha ha attraversato la terra e l'inferno. " Era il mese di Agosto e l'odore dello zolfo che proveniva dalla Solfatara si sentiva anche a lunga distanza da essa. Ci affrettammo con ansia per andare verso il nostro cammino.


Pasqui 31/01/2011 22:09 1480

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