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Una vacanza

Viaggi e Avventura

L’ ultimo giorno di luglio era arrivato dopo una lunga agonia in una torrida estate. Decisi di fuggire dalla noiosa quotidianità, subito, il primo giorno di ferie, lo esigeva la mia salute, fisica e mentale.

Dopo i primi cinquanta chilometri di autostrada mi sembrava lontanissimo il tempo che avevo lasciato.

Ed eccoci in Croazia, mia figlia Sara ed io, a due passi da casa, si fa per dire, e già mi sembrava di provare la serenità che cercavo.

Quella piacevole sensazione, ahimè, era durata il tempo del viaggio, una volta arrivate il caldo inconsueto che avevamo lasciato in Italia lo ritrovammo anche lì.

I primi due giorni credevo di morire. Sudavo e sbuffavo rigirandomi continuamente nel letto alla ricerca di un angolo fresco. Pensavo che l’ inferno dovesse avere quella temperatura ed io cuocevo lentamente. Il ventilatore, che sulla prenotazione on line era previsto, abbiamo dovuto chiederlo... non ne avevano a sufficienza, e comunque non offriva il refrigerio desiderato.

Sara era sofferente quanto me e, nonostante la voglia di mare, mi chiese di non muoverci dalla camera per quel giorno. Io eseguivo solo i movimenti essenziali, maledicendo l’ idea di fare quel viaggio. A casa almeno c’ era l’ aria condizionata.

All’ alba del terzo giorno mi svegliai, con stupore, ritemprata. L’ aria fresca che entrava dalla porta finestra del terrazzino mi fece quasi rabbrividire. Mi misi a sedere sul letto e pensai a come organizzare la giornata. Sia Sara che io decidemmo, per prima cosa, di uscire da quella stanza.

L’ hostel Alexiani, dove alloggiavamo, si trovava a pochi chilometri a sud di Pola in una piccola località, Pjescana Uvala, costituita prevalentemente da edifici moderni edificati per i soggiorni turistici. Il mare, con nostro sollievo, distava 200 metri che significava niente macchina per gli spostamenti quotidiani.

Sdraiata all’ ombra, in riva al mare, ripensavo allo sconforto e alla delusione che avevamo provato il giorno dell’ arrivo alla vista della camera e del bagno. I due ambienti sembravano puliti e questo era l’ aspetto positivo, ma il bagno era uno sgabuzzino piccolissimo e cieco con un box doccia fatiscente. Avevo rivolto a Sara una battuta ironica: “ Qui non hanno modificato nulla dai tempi di Tito”, lei non ne aveva colto il senso, glielo spiegai più tardi. Entrò Sara, per prima, a rinfrescarsi con una doccia e subito mi chiamò a squarciagola. Infilai la testa nello “ sgabuzzino” e vidi mia figlia con un’ espressione incredula e buffa reggere con entrambe le mani un’ anta penzolante. Mi appuntai mentalmente quel “ disastro” per riferirlo alla reception.

L’ armadio della camera era visibilmente scardinato e sembrava dovesse sfasciarsi da un momento all’ altro. Il letto, aveva un lenzuolo di cotone grezzo bianco che copriva il materasso e le federe sui cuscini erano della stessa fattura come pure i due lenzuolini piegati ai piedi, il tutto era coperto da una trapunta leggera macchiata in più punti. Forse il lavaggio non aveva asportato del tutto gli aloni?

Riferii al proprietario lo stato della doccia e lui, molto cortese, si premurò di verificare subito. Constatato che era come sostenevo, mi disse: “ Tu chiudi solo una (anta), altra lascia così (aperta)”.

Okey, compresi al volo, e da quel momento Sara ed io decidemmo di integrarci in quel mondo tanto diverso dal nostro e così intriso di cordialità e di leggerezza.

No problem”, ripeteva Branco, a ogni segnalazione di un disguido, accompagnando le parole col movimento delle mani verso il basso, come ad attenuare l’ ansia di chi gli stava di fronte.

Col trascorrere dei giorni mi sorprendevo a sorridere quando gli sentivo pronunciare quelle parole, magari in risposta alle lamentele dei clienti italiani, ahimè i più esigenti. Com’ era piacevole, invece, vivere senza porsi crucci e con leggerezza, innanzi tutto una vacanza ha questa funzione. Eppure, non sempre ce ne rendiamo conto e continuiamo a fare paragoni col posto dove siamo stati l’ anno precedente anche se poi l’ abbiamo scartato perché troppo costoso, ma senza imparare nulla.

Per giorni, in quell’ Hostel, siamo state persone che incrociavano altre persone sulle scale e nella hall, mondi separati da un muro invisibile, tra sguardi indifferenti che si sfioravano sfuggenti. Sconosciuti che non si incontreranno mai più. Poi, un tardo pomeriggio, non ricordo neppure come, cominciai a scambiare qualche parola con una giovane coppia di italiani e fu subito intesa. Mi mancava poter comunicare con chi mi capiva al volo. Le parole diventavano frasi e argomenti comuni che uscivano come un fiume in piena, e i commenti sulle casualità che ci avevano condotti proprio lì, nello stesso luogo, ci suscitavano ilarità.

D’ un tratto una ragazza si sedette al mio tavolino, senza chiedere. In verità si lasciò cadere pesantemente sulla sedia, era visibilmente seccata per un contrattempo che le aveva impedito di recarsi a visitare Pola quel giorno. Era molto loquace, disse di essere serba, di Belgrado. Non parlava bene l’ italiano, ma lo capiva nel complesso e conosceva molte lingue, un po’ tutte quelle slave oltre all’ inglese e allo spagnolo che, secondo quanto raccontava, aveva imparato guardando le telenovelas in TV. Noi italiani, ci scambiammo uno sguardo complice e con vergogna ammettemmo l’ ignoranza della nostra gente in fatto di lingue. La ragazza era un vulcano di energia e parole e da quel momento diventò l’ animatrice della serata e l’ interprete per tutti quelli che si unirono a noi.

Alcuni erano clienti abituali, lo si capiva dalla confidenza che avevano con Branco, altri si conobbero lì in quel clima di allegria. Il nostro padrone di casa ci offrì del buon vino nero e a noi signore portò anche un liquore di mele. Si dimostrò una persona molto ospitale e generosa e quando qualcuno gliene chiese un altro po’ gli riempì nuovamente il bicchiere.

Su quella terrazza si parlava serbo, croato, bosniaco e anche inglese, italiano, tedesco, polacco e olandese. La conversazione partì dai soliti convenevoli tra persone che si presentavano per la prima volta, fino ad arrivare, col vino in circolo, a discorsi strampalati che ci fecero ridere a crepapelle.

Pensai al giorno del mio arrivo e sussurrai a me stessa: “ no problem” sorridendo divertita e finalmente mi sentii rilassata e con la mente disintossicata.

Era l’ una passata quando Sara, stufa di giocare col tablet nella hall, mi venne a chiamare. Nonostante la stanchezza che mi portavo ancora addosso non mi ero resa conto delle ore scivolate via fluide come il liquore di Branco.

Ad alta voce, per raggiungere tutti, augurammo “ Good night!”.

Poi, prima di andare, chiesi chi ci sarebbe stato anche il giorno seguente e chi invece sarebbe partito. Capii che avrei incrociato solo qualcuno per un saluto, ma che importava, quella serata era stata speciale proprio perché unica, anche senza un seguito.

Marisa Amadio 04/09/2018 05:36 795

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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