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A' Uerra (La Guerra)

Dramma

Era il mille novecento quaranta-cinque, la città era ridotta a un pugno di polvere. Si respirava miseria dappertutto, per le strade di Napoli non si vedevano altro che macerie. Si attendeva con ansia l'alleato Americano, con le proprie truppe. Si aspettava che qualcosa accadesse nel bene o nel male, andando avanti mangiando polvere di fagioli o ,alla meglio, cercando carità a qualcuno che ancora possedeva qualcosa. I contadini nel frattempo imbracciavano fucili, pronti a difendere quel poco che la loro terra produceva e che a stento bastava a sfamare le loro bocche. Nanninella allora era una bambina piccola, nata in una famiglia numerosa di sette figli, lei unica femminuccia. Aveva dodici anni appena, e tutti la chiamavano Bambulella. Un po’ perché giocava sempre con le bambole, un po’ perché era bella come le stesse. La famiglia era molto povera e il padre per quanti sforzi facesse per portare a casa quel poco per sfamare la truppa familiare, un cattivo giorno non tornò più a casa, la famiglia lo cercò ovunque c'era da cercare , ma nulla, si era volatilizzato nella polvere della città. Qualcuno disse che i tedeschi lo avevano preso e portato via picchiandolo a sangue per aver rubato dodici molliche di pane. Non si seppe più nulla di lui.
La famiglia andò avanti con sacrifici e rinunce di cibo. Alcuni membri del nucleo familiare se ne andarono a cercare fortuna altrove, altri attendevano, l'unica scelta che avevano.
Una mattina la madre di Bambulella cominciò ad osservare la figlia con altri occhi , forse quelli della fame chissà ! E ad un certo punto la chiamò a sé e abbracciandola le disse:" Cara mia, non abbiamo niente da mangiare, niente da perdere che le nostre vite, tu sola sei la nostra speranza per poter andare avanti nell'attesa che il tutto passi presto.

La bambina continuò a giocare ancora con la sua bambola preferita che chiamava Caterina facendo finta di niente. Nel frattempo i giorni passavano e dell'alleato americano niente, nessun segno.
Le sirene della città continuavano a suonare, si correva nei rifugi, nelle grotte, nei sotterranei per sfuggire a quelle bombe che uccelli di ferro maledetti sganciavano dal cielo. Quanti morti, quanti pianti e angosce attanagliavano le anime di tutti che pregavano affinché questa guerra, voluta da nessuno di loro, finisse presto. Una mattina la madre si procurò non so dove, della cipria e delle calze a rete, chiamò strillando Bambulella e con dolore le pitturò il viso, le fece indossare le calze a rete e senza dirgli nulla le disse poche parole piangendo: " Va figlia mia, porta pane e la spinse fuori dalla casa”.
Bambulella dapprima rimase scioccata, poi capì... capì che doveva vendere il suo corpo ai bramosi lupi della guerra, anche se sperava che tutto si sarebbe risolto con l'arrivo degli alleati. Cominciò a girare senza una meta, senza una direzione precisa. Voleva morire, voleva sparire, e nemmeno più le sirene che annunciavano l'uccellaccio le incutevano paura. Si ritrovò così, senza saperlo in mezzo a tante altre ragazzine truccate a dovere, lei che ancora non sapeva dei lupi della loro ferocia e del loro possesso. Gli uomini sono animali ben più feroci degli stessi lupi.
Infatti, accadde l' irreparabile.
Un lupo vecchio e bavoso la prese per mano e se la portò nella sua tana, la spogliò e gli divorò in un solo colpo anima e corpo. Lei pianse, e più piangeva e più il lupo rideva, stanco, poi, il lupo del pasto, sputò lei fuori di casa dandogli appena un tozzo di pane.
Si aprì il cielo e l'inferno, si aprì lo sconforto più grande del mare. Bambulella aveva perso se stessa! La guerra andò avanti incurante di anime e di corpi, corpi di tanti che salivano al cielo anche fumanti. Gli americani arrivarono, dopo tante morti, giunsero a Napoli con tavolette di cioccolato e calze a rete da donare. Tutta Napoli li acclamò chissà per cosa, forse attratti dal miraggio che questi li potevano sfamare e forse donargli felicità. Bambulella anche Lei acclamava, ma non ero più la bambina delle bambole, era oramai adulta, anche se aveva tredici anni. La vita era stata dura con Lei, ma tutto sembrava procedere per il verso naturale degli accadimenti. Morì la madre di polmonite e Lei si fece carico della famiglia. Divenne madre e puttana per circostanze non volute da lei. Rideva con tutti, era dolce e accogliente con gli uomini. E quando alcuni uomini gli parlavano d'amore, rideva di un riso amaro, e urlava cantando con voce alta, così:"So Bambulella e n'copp e quartier, vengo ò ddoce, e vengo pure a vui signò”. Napoli da allora non è che si è ripresa del tutto! Ancora guerre ci sono, in un susseguirsi di ignobili realtà. Guerre di potere, guerre di Camorra, guerra di bande, guerre di fame. Ancora oggi senza guerra apparente qualche Bambulella perde il corpo e l'anima, smettendo presto di giocare con le bambole e inizia a giocare con lo sporco danaro. Spero tanto che questo finisca presto, ma non mi illudo, il guaio è che ci sono lupi, uomini affamati che divorano anime e corpi, ancora più di quanto incombeva la guerra. Allora era guerra, ora è una diversa guerra, più sottile, più sconosciuta.


Pasqui 01/02/2011 20:49 911

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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