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La triste storia del signor Trivulzio Terlizzi docente e poeta crepuscolare

Comicità e Satira

Prima di tutto voglio precisare che il signor Trivulzio Terlizzi, docente e poeta crepuscolare, è una brava persona.

“E’”-o per meglio dire “era”- visto che si è tolto la vita dodici mesi fa in prigione.

Si è impiccato con le lenzuola del suo letto, questa è stata almeno la versione ufficiale.

Lui era uno dei miei più cari amici e poiché sono stato proprio io a farlo catturare dalla polizia, mi sento ora in dovere di spendere due righe per raccontare la sua storia.

Il signor Trivulzio Terlizzi docente e poeta crepuscolare era dunque una brava persona, ma brava e onesta per davvero: d’estrazione borghese (suo padre e sua madre erano stati due insegnanti prima di andare in pensione), aveva frequentato tutte le scuole canoniche e si era quindi laureato in Lettere Moderne con 110 e lode.

A questo punto aveva deciso di seguire la via dei suoi genitori e dopo aver superato brillantemente almeno una venticinquina di concorsi pubblici, era divenuto anche lui un vero insegnante (questa era perlomeno la sua opinione all’inizio).

In seguito aveva conseguito le sue belle posizioni nelle sue venticinque graduatorie, e stava attendendo pazientemente il suo turno per arrivare al fatidico ruolo.

Nel frattempo erano trascorsi quindici anni, e Terlizzi si era ormai completamente calato nei panni del docente di lettere precario.

Il docente precario, o in maniera più elegante si potrebbe dire, il professore con incarichi di lavoro a tempo determinato, come mi spiegava spesso, è una specie d’insegnante di serie B; in altre parole è sì un docente ma non ha esattamente gli stessi diritti di un vero professionista dell’educazione.

“Chi è il vero professore allora ?”-gli chiedevo io.

“L’insegnante vero e proprio”-mi spiegava paziente- “ è quello di ruolo, è quello che ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è solamente lui il vero docente. E’ soltanto questo fortunato, infatti, che si prende sempre le classi migliori, che rimane in maniera continuativa in una scuola, che gode di tutti i diritti, che percepisce lo stipendio perfino nei mesi estivi!”

Io non capivo bene, insegnante di serie B e docente di serie A, boh?

“Ma non siete tutti professori? Non avete forse superato gli stessi esami? Non insegnate agli stessi ragazzi?”

Allora lui ricominciava a spiegarmi ogni cosa e così non la finivamo mai.

Terlizzi era in ogni caso ugualmente contento del suo lavoro, anche se ogni anno doveva cambiare istituto e ricominciare tutto daccapo.

“Il mio lavoro mi rende felice, ma mi piacerebbe vedere aumentare il mio stipendio ogni tanto” -mi fece un giorno.

“Perché non ti danno l’aumento?”

“Perché sono precario.”

“E allora? Cosa significa questo? Il costo della vita non sale nel tempo pure per te? E’ vero che ti nutri soltanto di libri”- insistetti io- “ma questo francamente mi sembra un po’ assurdo.”

“Per noi la retribuzione resta sempre al minimo, non possiamo farci niente ”- mi sentenziò cupo.

In questo modo alla non più tenera età di quarantacinque anni, il mio amico era ancora ai margini della sua carriera lavorativa, da qualsiasi punto di vista la si volesse considerare.

Aveva studiato tanto Terlizzi e ogni giorno si dannava l’anima e si dava da fare per portare a casa milletrecento, millequattrocento euro al mese (se aveva un incarico di cattedra completo per tutto l’anno, ci teneva a precisare, altrimenti i soldi erano anche meno).

Io non riuscivo a credere che guadagnasse così poco, non era possibile.

Questo non poteva essere vero -pensavo- Trivulzio si è laureato con il massimo dei voti, è pluriabilitato, straspecializzato, ha sgobbato incredibilmente sui libri, insegna ai nostri ragazzi e percepisce uno stipendio tanto misero? Ma non è in fondo un dottore anche lui ?

Per non parlare dell’estate, periodo nel quale, come lui stesso mi aveva riferito, non percepiva alcun’entrata se non quella che gli davano attraverso il sussidio di disoccupazione.

Però se lo voleva doveva restare nella nostra cara e bella nazione, mi aveva spiegato, non poteva andare in vacanza all’estero (i precari non hanno diritti mi ricordava sempre), all’interno del nostro Stato in compenso sì. Poteva andare a respirare l’aria buona delle montagne del Nord oppure poteva crogiolarsi al sole sulle splendide spiagge del Sud, ma all’estero no, lì proprio non ci poteva andare.

Una volta mi raccontò di un tale precario come lui, che si era visto togliere il misero sussidio di disoccupazione che lo Stato gli elargiva, soltanto perché si era recato per due ore al di là della nostra frontiera.

“Ma come è possibile?” -chiese quello esterrefatto al funzionario che rivendicava indietro quei quattro spiccioli.

“La normativa parla chiaro signor Paonacci. Lei si è recato in vacanza all’estero per cui deve ridare indietro quello che ha percepito.”

“Le ripeto che mi trovavo in vacanza vicino alla frontiera ma in ogni modo sempre all’interno del nostro Stato!”

“Insomma lei mi ha appena detto di essersi recato per due ore il 15 agosto al di là dei nostri confini, è esatto?”

“Beh, sì, ma era soltanto per fare una capatina, capirà mia moglie desiderava tanto vedere un altro Paese, perciò abbiamo deciso…”

“Ecco vede, ha confessato di nuovo”-lo interruppe bruscamente quello- “ lei è andato all’estero e quindi non ha più diritto ad alcun sussidio di disoccupazione.”

“Ma, ma….” -iniziò a balbettare il poveretto.

“Niente “MA” e niente “SE”, e poi si vergogni. Chiede i soldi allo Stato, va in vacanza e per giunta si reca addirittura all’estero!! Questo è davvero troppo“ -sentenziò il funzionario spazientito.

“Perché se invece rimanevo in vacanza qui da noi, cosa mi poteva accadere?” -provò allora a chiedere il Paonacci più per disperazione che per altro.

“Nulla”-gli fece l’altro con un ghigno beffardo stampato sul viso.

“Mi prende in giro per caso? Vuole realmente farmi credere che posso recarmi in villeggiatura nel nostro Stato ma all’estero no?”

“Esattamente.”

“Ma se dalle nostre parti i costi per le vacanze estive sono perfino più alti?! Suvvia mi faccia il piacere….”

“E’ così e basta, glielo ripeto per l’ultima volta: è la normativa che lo prevede. Adesso se ne vada e compili i moduli necessari per restituire il maltolto.”

Fu così che il povero signor Paonacci fu costretto a ridare indietro quei pochi soldi, e fu visto da quel giorno in cagnesco da tutti i funzionari, ogni volta che si ripresentava da loro per chiedere il sussidio di disoccupazione per i mesi estivi.

Voi ci capite qualcosa?

Secondo me tutta questa assurda situazione, tutto questo mondo alla rovescia in cui viveva il mio amico, dipendeva dal fatto che era un po’ strano: leggeva molto, non guardava mai la tv e preferiva i libri e la cultura a qualsiasi altra forma d’intrattenimento; sì era realmente un tipo particolare.

Io gestisco un bar, guadagno bene e ho la terza media. Non possiedo una vasta cultura questo è vero, però sono un tipo sveglio anche se devo ammettere che tanti suoi discorsi mi apparivano inverosimili.

Non sarò un intellettuale, questo l’ho appena detto, però sono una persona alla moda: curo puntigliosamente il mio fisico, non leggo mai, ho sempre il cellulare di grido e soprattutto non mi perdo nessuno dei vari reality e quiz show che danno in tv.

Tutti mi stimano e mi ritengono in gamba.

Parlo poco io, ma lavoro molto, non sono mica strano come Terlizzi che a forza di studiare si era quasi ingobbito!

Nondimeno ero affezionato al mio amico, eravamo diversi questo è vero, ma gli voglio -o meglio gli volevo- un gran bene. Sicuramente avrei affidato a lui l’istruzione dei miei figli, se soltanto ne avessi avuti.

E’ proprio il gran bene che ancora provo nei suoi confronti che mi ha spinto a scrivere questa storia, naturalmente io non sono uno scrittore per cui vogliate perdonarmi le mie espressioni rozze e i miei modi di dire dialettali; del resto non siamo mica tutti laureati!

In un’altra circostanza invece, mi raccontò di una sua giovane collega precaria divorziata con due figli a carico, che aveva conosciuto tempo addietro e che proveniva da un’altra regione.

Questa poveretta con il misero stipendio che percepiva non riusciva ad arrivare a fine mese, ed era veramente disperata.

Così per arrotondare aveva deciso di rispondere a un particolare annuncio di lavoro: il locale sexy shop cercava una commessa possibilmente di bella presenza, per un lavoro part-time da svolgersi durante il pomeriggio.

Lei aveva accettato subito quell’impiego; in questo modo al mattino svolgeva la nobile attività d’insegnante, mentre nelle ore pomeridiane vestiva gli insoliti panni di commessa di un negozio di articoli hard. La voce in ogni caso si era immediatamente sparsa nella cittadina e l’insegnante era stata costretta a lasciare questo suo lavoretto. Tuttavia non si era scoraggiata e non avendo trovato niente di meglio, si era messa ad arrotondare lavorando nelle chat erotiche. In questa maniera alternava le equazioni e la geometria con concetti sicuramente meno nobili ma in ogni caso efficaci: “Sì, sono la tua coniglietta rosa”, oppure “Mettiti a cuccia schiavo” o ancora “Sbattimi, sbattimi ti prego. Avanti, bravo, scopami, scopami” e così via.

Si era dimostrata talmente brava in questo suo nuovo impiego, che le avevano perfino proposto di lavorare come doppiatrice nei film a luci rosse.

“Lei ha molto talento al telefono e penso proprio che farebbe al caso nostro” -le disse un pomeriggio tardi l’agente che le proponeva il contratto di assunzione- “ci pensi. Questo può essere un inizio poi se vuole, visto che è anche molto graziosa, potrebbe perfino passare dall’altra parte della telecamera e diventare una vera e propria stella del cinema porno. Ha mai fatto l’amore in pubblico? Le piacerebbe farlo con tanti uomini e con tante donne diverse? Ci pensi intanto.”

Lei era diventata rossa, verde, gialla, blu e poi di nuovo rossa, verde, gialla e blu, ma dopo un attimo di smarrimento si era prontamente ripresa e aveva rifiutato tutte quelle proposte.

Disse all’agente di essere una persona perbene, gli ribadì che lei aveva una grande moralità, dei valori, che aveva studiato tanto e che voleva fare l’insegnante.

L’uomo la ascoltò pazientemente e prima di andarsene giocò il suo asso nella manica: “Naturalmente tutti i contratti che firmerà saranno a tempo indeterminato e ben pagati mi creda. Noi facciamo le cose in maniera seria, non siamo mica il Ministero della Pubblica Istruzione!! Arrivederci e mi faccia sapere.”

La professoressa in verità un pochino ci aveva riflettuto, e in seguito aveva raccontato tutto a Trivulzio.

Nel venire a conoscenza di cotanto lavoro pomeridiano da parte della sua gentile collega e soprattutto dei suoi possibili sviluppi, lui era quasi svenuto ma dopo alcuni minuti di confusione e di mancamento era riuscito a riprendersi.

Da quel giorno Trivulzio aveva fatto di tutto per dissuaderla e alla fine c’era riuscito.

“Non pensare più a quella proposta. Noi facciamo il mestiere più bello del mondo e dobbiamo dedicarci soltanto a questo, non siamo noi a sbagliare rammentalo sempre”- le aveva sentenziato serio lui, un bel giorno in cui c’erano pochi alunni a scuola a causa della neve.

“L’unica cosa che mi sfugge del tuo discorso” -gli feci io quando mi raccontò questa storia- “è come possa firmare un contratto di lavoro a tempo indeterminato un’ attrice hard. Quando invecchia cosa fa? Continua lo stesso a girare film porno nuda sul set? Non credo che sarebbe un bello spettacolo.”

Lui mi guardò perplesso e scrollò le spalle.

“Lo vedi” -continuai- “evidentemente non si trattava di una proposta seria.”

“Già”-mi fece, e stava quasi per andarsene quando gli chiesi una ultima cosa: “Come ha fatto questa tua collega a perdere il suo primo impiego pomeridiano, puoi dirmelo?”

Confesso di essere stato molto curioso in quel frangente.

“E’ stata scoperta un bel giorno da uno dei suoi stessi alunni” -mi rispose lui, e mi raccontò che era entrato una volta per caso in quel negozio proprio il più somaro della classe, quello che lei maltrattava spesso perché non studiava mai. A lui non era sembrato vero di vedere lì la sua professoressa.

Sto sognando -pensò quello nascondendosi dietro a una fila di grossi peni di gomma.

No, era proprio lei, bella e impeccabile come al solito, anche quando si trattava di smarcare e di imbustare peni e preservativi, bambole gonfiabili e frustini.

Il ragazzo filmò allora la sua insegnante per pochi istanti con il telefonino, quindi, facendo sempre in modo di non essere visto, uscì e andò a spifferare tutto.

“Lei promise di rinunciare a questo impiego e lo fece, ma quando in seguito si scoprì che si era messa a lavorare nelle chat erotiche il preside la licenziò in tronco” -concluse Trivulzio.

“Chi la scoprì in questo secondo caso?”

“Beh, non si sa come, ma fu lo stesso dirigente scolastico che lo venne a sapere, non ho mai saputo come abbia fatto”-mi rispose imbarazzato.

“Vuoi vedere che…”-insinuai malizioso.

“Non lo so te lo ripeto. Adesso basta però di parlare di queste cose, ho da fare, ci vediamo domani, ciao” -mi disse brusco, lasciandomi lì da solo come uno scemo.

Lui non la vide più, probabilmente lei era tornata nel suo bel paese d’origine a meditare sul suo futuro lavorativo: pornostar ricca e affermata o insegnante sottopagata, svalutata, umiliata, precaria, per giunta addirittura di matematica??

Io non avrei avuto dubbi su cosa scegliere, ma questi docenti precari assolutamente non li capisco. Si danno tanto da fare, percepiscono uno stipendio miserevole, spesso devono fare i pendolari e ogni anno cambiano posto di lavoro.

Chi glielo fa fare?

Il signor Trivulzio docente e poeta crepuscolare mi ha spiegato che si tratta di passione, di amore nonostante tutto verso questo lavoro, di attenzione verso il prossimo. E’ una specie di missione. E’ un po’ come fare il prete, te lo devi sentire.

In ogni modo le cose procedevano nella norma, finché un bel giorno il signor Terlizzi iniziò a cambiare.

Il primo colpo che ricevette la sua salute mentale fu quando si mise in testa di comprarsi uno scooter nuovo.

Fino a quel momento era stato sempre allegro, gioioso e la sua condizione di precarietà non gli era mai pesata. Dopo quell’ episodio invece tutto cambiò.

Mi raccontò più tardi, infatti, che era stato trattato da autentico pezzente in quel negozio dove si erano rifiutati categoricamente di concedergli un finanziamento, poiché lui aveva un contratto di lavoro a tempo determinato. Era in poche parole un autentico straccione ai loro occhi, non degno neppure di avere un minimo credito per acquistare un piccolo motorino.

Trivulzio aveva lasciato perdere ma questo lo aveva profondamente turbato.

Il suo vecchio padre intanto lo invitava continuamente alla calma, lo incitava alla pazienza: “Stai qui con noi. Lo vedi che non ti manca nulla. Abbi pazienza figlio mio e le cose si sistemeranno.”

Soltanto che il tempo trascorreva e le cose non si sistemavano mai. Per la verità Terlizzi docente e poeta crepuscolare non se la passava tanto male, visto che viveva appunto con i suoi e questo faceva lievitare, in una qualche maniera, il misero stipendio mensile che lo Stato gli elargiva per le sue fatiche educative.

In questo modo a quarantacinque anni suonati non era ancora padrone di niente, e viveva nella sua bella cameretta dalle pareti rosa. Essa era molto accogliente certo, inoltre Trivulzio l’aveva ulteriormente nobilitata appendendo alle pareti tutti i titoli di studio che aveva accumulato nel tempo. C’erano le sue venticinque abilitazioni, le sue trenta specializzazioni, le sue mastodontiche ricerche premiate in ogni angolo del mondo, c’era quella poesia crepuscolare con cui aveva vinto il primo premio in un concorso letterario di tanti anni fa, dal titolo significativo: “Il tempo passa la sfiga invece no”, c’era infine anche la foto del suo amato pappagallo Clodoveo.

Era proprio una bella cameretta, non si poteva dire nulla, calda e accogliente nei suoi quattro metri e mezzo per due.

A dire il vero un timido tentativo di lasciar la sua casa natale c’era stato qualche mese dopo l’episodio dello scooter, ma di fronte comunque all’impossibilità di avere un qualsiasi tipo di mutuo da parte di una qualunque banca, poiché lui era e restava nel frattempo un insegnante precario, la mancanza inoltre di qualsiasi certezza nei confronti del suo futuro lavorativo, tutto questo, come detto, aveva fatto sì che lui decidesse di restare a casa dei suoi.

Questa scelta obbligata lo aveva reso a ogni buon conto un autentico nullatenente: non aveva un lavoro stabile, non aveva una famiglia sua, non aveva dei figli, non aveva una casa di proprietà.

I libri e il nulla erano le due sole realtà che conosceva bene e che poteva dire di possedere veramente.

L’episodio dello scooter tuttavia era servito ad aprigli un pochino gli occhi sulla sua condizione e a prepararlo, quando si trovò, come ho già detto, a cercare di ottenere un mutuo per comprarsi un monolocale in centro. La risposta fu negativa, ma lui ormai era già pronto: lo scooter lo aveva investito così duramente che il crollo della sua ipotetica piccola casa gli fu quasi indifferente.

Però aveva continuato a studiare lui, infatti mi aveva spiegato una volta che erano cambiate delle regole per assegnare le supplenze agli insegnanti precari.

Adesso occorreva di nuovo iscriversi all’università e per stare tranquilli, mi diceva, fare dei master o dei corsi di perfezionamento, oppure volendo, riabilitarsi di nuovo nell’ insegnamento delle stesse materie che già insegnava da circa quindici anni.

Del resto questi master e questi corsi di perfezionamento erano gli unici che non figuravano nella sua collezione esposta sulle pareti rosa della sua cameretta altrettanto rosa.

Io fingevo di assecondarlo ovviamente, ma in cuor mio mi perdevo di nuovo e tutto mi sembrava inverosimile. Dopo un po’ di tempo tuttavia non ce la feci più e decisi di esternargli le mie perplessità, pur sapendo di rischiare di finire in una delle nostre interminabili conversazioni sulla scuola.

“Perfezionamento di che? Ma a cosa ti servono questi nuovi titoli? Sei laureato con il massimo dei voti, pluriabilitato, straspecializzato, sono tanti anni che insegni e ora devi tornare di nuovo all’università?”

Allora lui si metteva paziente e guardandomi con i suoi occhi tristi mi spiegava che le regole erano cambiate, che ci si doveva adeguare, che ci si doveva formare in maniera opportuna. A un certo punto però del suo infervorato discorso, gli sfuggì pure che questi corsi a pagamento permettevano di avere più punti e davano quindi la possibilità di avere un lavoro più sicuro.

Le sue ultime parole mi avevano chiarito l’intera questione.

“E’ la formazione continua, il cooperative learning, la piattaforma on-line, la lavagna digitale, la teoria di Gardner, il software didattico, gli ipertesti, il brain storming e quanto altro. Sono cose necessarie queste, come fai a non capire?”

“Brain che???” -gli risposi perplesso.

Io che non ho studiato tanto avevo compreso perfettamente, possibile che lui non se ne rendesse conto?

Gli dissi quello che pensavo: “Tu continui a studiare molto, a spendere tanti soldi ma non hai ancora il posto fisso dopo tanti anni di insegnamento. Ti pare corretto questo?”

Per tutta risposta lui si fece silenzioso, si curvò ancora di più e salutandomi se ne andò via, lasciandomi ancora una volta da solo come uno scemo.

“Lascialo perdere” -mi ripeteva fino allo sfinimento Peppe il salumiere - “lasciali perdere questi insegnanti. Cosa vogliono di più? Lavorano poco e si lamentano! Gli farei tagliare i salumi tutto il giorno io, altro che storie! Cosa ci vuole a raccontare quattro storie a dei mocciosi?”

Di fronte a quelle parole tanto forti mi domandai se non avesse davvero ragione lui: Peppe, soprannominato da tutti “Flash”, l’affetta salami, lonze, mortadelle, pancette più veloce che ci fosse sulla faccia della terra.

No, non era così, non poteva essere così. E quell’orrendo viso butterato fatto salumiere aveva torto. Che pensasse pure ai suoi salumi!

Torniamo in ogni caso al nostro Terlizzi.

Ci furono in seguito altri tre episodi, secondo me decisivi, che influirono sulla sua successiva scelta di vita, se così la vogliamo chiamare.

Il primo fu quando venne a sapere, tramite un quotidiano nazionale, che in un altro Stato vicino al nostro i suoi stessi colleghi guadagnavano molto di più e non erano precari.

Ci rimase male e mi chiedeva continuamente cosa ne pensassi e io che non ho studiato, gli rispondevo che secondo me la cosa era strana. Era perlomeno curioso, infatti, che in un altro Paese per lo stesso identico lavoro si percepissero stipendi così differenti, era bizzarro che perfino la stessa considerazione sociale, come la chiamava lui, fosse talmente diversa.

Finché si stava qui la sua professione non valeva niente, ma appena ci si spostava un po’ e si superava la frontiera ecco che tutto cambiava: più soldi, più considerazione, più risorse per fare il suo lavoro.

Peccato per lui e per me che lo ascoltavo che non facesse parte di quello Stato; Terlizzi docente e poeta crepuscolare era nato qua e qua poteva insegnare. Non c’erano alternative.

Il secondo evento spiacevole si verificò l’anno dopo alla riapertura delle graduatorie per gli insegnanti precari, quando di colpo si ritrovò scavalcato da venti suoi colleghi che provenivano da una provincia vicina, e che si presentarono tutti nelle nuove graduatorie con punteggi altissimi.

Mi ricordo bene quel giorno poiché in tv c’era il campionato nazionale delle pulci lottatrici.

A voler essere precisi, rammento che c’era la finale fra la pulce nera del Bengala e quella rosa-marrone del Corno d’Africa. Che spettacolo ragazzi!!

Lui chiese lumi ai funzionari amministrativi, sicuro com’era che ci fosse un errore.

Invece era tutto in regola, poiché quegli insegnanti avevano lavorato, così almeno gli fu detto e così mi riferì poi, in delle scuole cosiddette di montagna che erano poste a seicento metri sopra il livello del mare. Questo fatto aveva dato loro il diritto di vedersi raddoppiato il punteggio di servizio per gli anni in cui avevano lavorato in quegli istituti.

Terlizzi docente e poeta crepuscolare a questo punto, armato di metro e di scala andò a misurare l’altezza della sua scuola, per vedere se anche lui poteva usufruire di quel doppio punteggio.

Gli andò però male poiché, metro, scala sgangherata e carte alla mano, non riuscì a raggiungere una simile altezza, ma si fermò a cinquecentonovantacinque metri e due centimetri sopra il livello del mare (il tetto della scuola posto sopra un ridicolo promontorio arrivava esattamente a quell’ altitudine).

Per poco meno di cinque metri perse quei quattro ruoli che fecero quell’anno, e poco ci mancò che a settembre si ritrovasse disoccupato.

La legge è la legge mi ripeteva spesso allora, sicuramente più per rinfrancare se stesso che gli altri. Quando io intervenivo e gli facevo notare che secondo me si trattava di una boiata assurda, lui mi tirava fuori prima il concetto della suprema maestà della legge, quindi sparava a zero sulla sua condizione di precario.

“Noi siamo gli schiavi moderni, gli attuali servi della gleba, non possiamo nulla e nulla contiamo. Siamo in balia delle leggi e degli eventi” -mi ripeteva diventando completamente paonazzo- “non siamo niente. Ecco perché con noi la maestà della legge ha ogni volta buon gioco.”

Io avevo capito bene. Benissimo. Non sapevo cosa fosse la maestà della legge, non conoscevo i servi della gleba ma avevo capito perfettamente e più stavo con il mio amico, più comprendevo la tragica realtà rappresentata nel nostro bel Paese da questi lavoratori della scuola con contratti di lavoro a tempo determinato.

Tutti noi eravamo molto preoccupati per lui e tutti quanti cercavamo in ogni modo di consolarlo, di fargli forza. Io gli avevo addirittura proposto di venire a lavorare nel mio bar, ma lui non ci voleva sentire. Testardo come un mulo continuava a impegnarsi e a riversare tutto se stesso in una professione che almeno qui da noi non aveva più alcun valore e alcuna importanza.

Ma era appunto una missione e le missioni, si sa, vanno portate a termine.

E il signor Trivulzio Terlizzi docente e poeta crepuscolare, mio caro compagno fin dall’infanzia era una brava persona.

L’ultimo fatto decisivo nella sua trasformazione avvenne l’anno successivo all’episodio della montagna, quando seppe che un suo caro collega precario aveva avuto dei seri problemi di salute e non poteva più insegnare.

Il poveretto cercò di tornare al lavoro diverse volte ma non c’era realmente niente da fare, visto che non riusciva più a usare le sue corde vocali come prima.

Certamente un insegnante che non sia in grado di parlare non è più un vero insegnante non si può dir nulla, e lo avevano capito talmente bene i suoi superiori che infatti non hanno perso tempo e lo hanno immediatamente licenziato. Se fosse stato di ruolo sarebbe stato spostato in un altro ramo della pubblica amministrazione, ma lui aveva il grave torto di essere precario per cui via, fuori. E’ stato messo alla porta e tanti saluti. Il problema in ogni caso era che questo disgraziato aveva una famiglia da mantenere, composta da una moglie casalinga e da due figli piccoli.

Come se la sarebbe cavata ora?

Nessuno lo vide più, né lui né la sua famiglia. Scomparsi, svaniti, mi raccontò in seguito Trivulzio. Forse inghiottiti da quella stessa malattia e povertà che li avevano colpiti.

Qualcuno disse che erano partiti per la Cina alla ricerca di fortuna, altri invece sostenevano che si fossero tolti la vita buttandosi da una montagna. Non si sa, certo è che quest’ ennesima brutta vicenda aveva ulteriormente minato la salute mentale del mio caro Trivulzio docente e poeta crepuscolare, brava persona in un mondo disonesto.

Giunto perciò al limite della sua sopportazione venne da me e mi annunciò i suoi nuovi propositi.

Mi prese da parte e mi chiese da bere.

“Bevi con me amico mio” -mi disse -“oggi voglio annunciarti una novità veramente interessante.”

“Hai smesso di fare l’insegnante?” -gli chiesi scherzosamente.

“No, no, bada che è una cosa seria questa.”

“Hai vinto alla lotteria?” -continuai- “no, non avresti questa faccia. Aspetta, aspetta, fammi pensare un attimo… ecco ci sono: sei entrato in ruolo!”

“Smettila di prendermi in giro, la vuoi conoscere questa novità oppure no?” -mi rispose spazientito.

“Certamente, sono tutto orecchi, avanti, spara.”

Fu così che in un bel giorno di primavera, mentre fuori le cicale iniziavano a frinire, le rose germogliavano rigogliose, le api ronzavano e in tv stavano dando uno dei miei quiz - show preferiti “Rispondi o Trapassa”, in cui i concorrenti venivano uccisi se non rispondevano correttamente a tutte le domande, che io venni a sapere di questo suo nuovo progetto, se lo possiamo definire in questo modo.

Tranquillo come non mai, Terlizzi aveva deciso da quel giorno di iniziare a fare una piccola cosa, una cosa da nulla, quasi una sciocchezza se non fosse stata vera. Ammazzare le persone. Già,

ammazzare le persone. Uccidere, eliminare la gente in carne e ossa. Come se fosse niente. Come se fosse un gioco.

Voleva forse diventare un killer? No, non un killer vero e proprio almeno. Trivulzio non voleva uccidere chiunque per denaro no, voleva far fuori soltanto una precisa categoria di individui.

Quella che da sempre aveva invidiato, quella a cui aspirava da tutta una vita, quella che gli appariva irraggiungibile.

Il mio amico, docente e poeta crepuscolare voleva uccidere gli insegnanti di ruolo.

Soltanto loro. Loro e basta.

Il signor Terlizzi, infatti, si era convinto da tempo di appartenere a una classe sociale inferiore, marchiata a fuoco dall’ emblema della precarietà, disuguale per diritti, infame di fronte all’intera società e forse perfino agli occhi di Dio, sottopagata, sfruttata, umiliata in questi ultimi anni come mai era accaduto prima.

Ecco che ridiventava paonazzo e mi riparlava della schiavitù antica e dei servi della gleba medioevali: “Quelli almeno una famiglia potevano farsela, noi oggi, moderno sottoproletariato intellettuale non possiamo neppure sognarcela” e giù coi paroloni e con le imprecazioni.

Questa era la sua vendetta, ci aveva pensato a lungo, ci aveva meditato su e poi aveva preso la sua decisione. Più gente di ruolo faceva fuori e più posti di lavoro c’erano per tutti i precari come lui, più posti liberava e più aumentavano le possibilità di avere un giorno il lavoro fisso.

Tuttavia Trivulzio da brav’ uomo qual era non voleva pensare soltanto a se stesso; per questa ragione aveva deciso di eliminare qualsiasi docente purché di ruolo. Non importava se apparteneva alla sua stessa classe di concorso o ordine di scuola, lui non avrebbe fatto distinzione e sarebbe diventato l’eroe di tutti i docenti precari del Paese. Si auspicava quindi che altri, nei loro rispettivi settori di precarietà, seguissero il suo esempio; in questo modo diceva, le cose alla fine si sarebbero messe a posto da sole e tutti i precari del mondo si sarebbero sistemati.

Per la verità io non lo presi molto sul serio e non diedi quindi alcun peso alle sue parole. Dopo tutto questo buon spilungone dall’aria perennemente triste era un tipo particolare, e io mi ero ormai da tempo abituato alle sue stranezze. Lasciai morire lì il discorso e lo invitai a bere un’ altra birra e a parlare di sport. Lui d’altro canto non ci fece troppo caso.

Nei giorni successivi venni a sapere però dai quotidiani locali che si erano verificati nella nostra provincia diversi strani omicidi, e più il tempo trascorreva più le morti aumentavano; erano tutti docenti di ruolo quelli e morivano nelle più svariate maniere.

In due mesi furono ammazzati quaranta insegnanti con incarichi di lavoro a tempo indeterminato, appartenenti alle più varie discipline e a ogni ordine di scuola; fra di loro non si conoscevano, non si riusciva a scovare un movente e perciò la polizia brancolava nel buio.

Il signor Trivulzio appariva invece molto più raggiante, ora veniva più spesso nel mio bar ed era sempre di buon umore visto che il suo lavoro di professore -mi raccontava- era molto aumentato negli ultimi tempi, e che le scuole adesso lo chiamavano più frequentemente. D’incanto sembrava davvero che qui ci fosse più lavoro per tutti.

Aveva perfino ricominciato a scrivere delle poesie e forse me ne avrebbe fatto leggere qualcuna prima o poi.

“Ho in mente di scrivere il seguito di quella famosa lirica con cui vinsi quel concorso tanti anni fa, ti ricordi?” -mi fece un pomeriggio di giugno.

“Come no” -gli risposi- “non è quella che parla del tempo che passa e della sfiga che resta?”

“Sì, sì, esattamente quella. Ho intenzione di scrivere la sua continuazione che avrà come titolo: “la sfiga rimane ma la giustizia trionfa.” ”

Non ci feci ancora una volta troppo caso e commisi un altro grave errore. Nel frattempo mi ero completamente dimenticato della sua precedente intenzione di ammazzare gli insegnanti di ruolo. Colpa del viagra forse, o della droga che ogni tanto mi sniffo.

Una sera gli chiesi cosa ne pensasse di tutte quelle morti che angustiavano da tempo la nostra provincia.

La sua risposta fu vaga e piena di parole astruse come al solito, parlò di giustizia sociale, di lotta a favore degli ultimi, di provvidenza divina, insomma non ci capii molto.

I mesi nel frattempo erano diventati anni e le morti si erano diradate un poco, ma ogni tanto se ne verificava qualcuna e si trattava sempre di docenti di ruolo.

La notizia della cittadina in cui morivano misteriosamente gli insegnanti aveva fatto il giro dell’intera nazione, erano arrivate squadre speciali dalla capitale e a questo punto si parlava apertamente di omicidi seriali.

Il bello era che perfino i docenti precari della nostra provincia erano terrorizzati, per cui molti se ne erano andati oppure avevano cambiato lavoro.

Fra i primi ad andarsene c’erano stati proprio quegli insegnanti montanari di cui vi ho parlato prima, quelli con i superpunteggi, per cui ora il signor Trivulzio docente e poeta crepuscolare aveva ripreso il suo antico posto nelle sue venticinque graduatorie, ed era quasi a un passo dal fatidico ruolo.

Tutto insomma andava a gonfie vele per lui. Le chiamate dalle scuole non mancavano mai e il posto fisso era finalmente dietro l’angolo.

Ma il signor Terlizzi era una brava persona, e un giorno proprio mentre mi parlava del significato dell’aggettivo “seriale” non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione che lo tradì, facendomi tornare in mente all’improvviso la nostra vecchia conversazione.

Lo presi da parte, lo misi alle strette e lo minacciai di dire subito tutto alla polizia.

Il signor Trivulzio da brava persona qual era mi confessò ogni cosa, e mi disse di aver ucciso duecentocinquanta insegnanti di ruolo negli ultimi tre anni nei modi più svariati: con il fucile, con il pugnale, con il veleno, con il malocchio, strangolandoli, investendoli, mordendoli, picchiandoli, insomma in tutti i modi possibili che una mente umana potesse concepire. Lui era una persona istruita e che sapeva studiare, e mi spiegò che prima di intraprendere questo suo nuovo compito si era preparato adeguatamente.

“Su internet oggi si può trovare qualsiasi cosa” -mi ripeteva spesso, e soltanto in quel frangente riuscivo a cogliere appieno il significato della sue parole.

Non era affatto pentito di fronte a me di ciò che aveva fatto, aveva eliminato tanta gente sì, ma in compenso aveva migliorato (e spesso sistemato) la vita non solo lavorativa di tanti suoi colleghi precari.

Ora c’era maggior lavoro per loro, e nessuno veniva più da fuori provincia a togliere il posto a lui e ai suoi colleghi di sventura.

Mi spiegò che all’inizio, nonostante la sua risolutezza, non era stato per niente facile. E quel gioco che aveva sperato di giocare si era subito rivelato invece per quello che era: un’autentica tragedia. Allora aveva avuto dei problemi, aveva esitato, aveva perso tempo ma comunque alla fine c’era riuscito.

L’arma che prediligeva per far fuori quelli di ruolo era rappresentata dal fucile.

Aveva acquistato sul web non si sa come, un vecchio fucile di precisione sovietico di qualche anno fa con tanto di silenziatore, lo aveva montato, si era pazientemente esercitato di notte sparando ai topi e ai pipistrelli e dopo pochi mesi era diventato un ottimo tiratore.

Credo che il suo periodo di preparazione coincidesse grosso modo con la messa in onda di un reality televisivo sui fagiani.

Il gioco funzionava in questo modo: c’erano dieci concorrenti che dovevano vivere per tre mesi in un pollaio insieme con trenta fagiani, e vinceva chi riusciva a farsi amiche tutte le bestiole; sì, sono sicuro che il periodo fosse quello. Mi ricordo che questo era stato un format davvero stupendo, peccato soltanto che i concorrenti non fossero così telegenici come i fagiani.

Una volta individuata la vittima e studiatone i movimenti, lui non faceva altro che appostarsi in un punto nascosto situato a una certa distanza di sicurezza, si metteva lì con il suo bel fucile e aspettava, aspettava, finché non arrivava il povero sfortunato.

Allora Trivulzio mirava e “Bang”, faceva fuori il poveretto o la poveretta di turno.

All’inizio veramente aveva pensato di ferirli gravemente e di non ammazzarli, in seguito nondimeno aveva cambiato idea.

“Non si sa mai” -mi stava dicendo, non voleva correre alcun rischio che questi poi si ripresentassero un domani sul loro posto di lavoro.

No, meglio essere sicuri, occorreva toglierli di mezzo senza mezze misure.

Una volta rinunciò, poiché riconobbe dal mirino del suo fucile di precisione che quello che stava per ammazzare era sì adesso un docente di ruolo, ma fino a pochi mesi prima era stato un docente precario di lungo corso come lui; da pochissimo dunque faceva parte della categoria privilegiata, da pochissimo era diventato un lavoratore di serie A.

Non lo uccise e quella fu l’unica volta in cui risparmiò qualcuno.

Io ero allibito, non sapevo cosa dire ma intanto il mio amico continuava a parlare e mi raccontava di quell’altra occasione in cui aveva usato un pugnale, e c’era mancato poco che lo scoprissero.

Era stato in una fredda mattina d’ottobre di un anno prima. Terlizzi si trovava nel parco pubblico della nostra cittadina e attendeva pazientemente la sua vittima: si trattava di un borioso docente di ruolo delle superiori che percorreva abitualmente quella strada per andare al lavoro.

Tutto stava procedendo normalmente quando di colpo accadde un fatto inaspettato: il borioso non avanzava da solo ma era bensì accompagnato da un’altra persona; accanto a lui camminava infatti un enorme uomo obeso di circa cinquanta anni.

Con un lungo e affilatissimo pugnale stile “Rambo” fra le mani, Trivulzio pensò anche di poter rinunciare. Poi ci ripensò.

Presa dunque l’ennesima decisione omicida, si avvicinò prima al borioso e lo colpì alla gola con un secco fendente che gli recise la carotide, quindi si occupò dell’altra persona che fortunatamente essendo obesa, non poté fare molta strada. Il poveraccio tentò di fuggire ma fu inutile, Terlizzi fu su di lui e lo colpì secco al cuore, dal basso verso l’alto, in pratica non gli diede scampo.

“Poco ci mancò che quella volta qualcuno mi vedesse” -continuava a dirmi- “ah, se avessi avuto il mio bel fucile quel giorno, non avrei corso tutti quei rischi.”

“Hai maledettamente ragione” -fingevo di assecondarlo- “ma perché non lo avevi?”

“Dovevo variare le mie armi per depistare il più possibile le indagini, e per cogliere sempre di sorpresa le mie vittime.”

Le sue bizzarre osservazioni potevano perfino essere giuste, del resto aveva studiato in continuazione lui e doveva perciò ben sapere come andavano le cose.

Mi ricordai immediatamente di quel duplice omicidio, perché quel giorno era coinciso con la prima puntata in tv del “Grande Tranello Dieci”, un quiz dove vinceva chi era più disonesto, un programma davvero fantastico.

Non dovevo tradirlo, Trivulzio aveva fatto tutto questo perché era stato costretto, perché aveva patito per tanti anni troppe umiliazioni, e come lui centinaia di migliaia di persone che avevano avuto l’unico torto di intraprendere la sua stessa professione.

Mi confessò inoltre di avere in mente un’ultima azione eclatante, se questa fosse riuscita si sarebbe ritirato. Aveva saputo che ci sarebbe stata una conferenza sulla scuola di lì a pochi giorni, a cui avrebbero partecipato tanti docenti di ruolo della nostra provincia.

La tematica in questione interessava esclusivamente questi professori, e già lo slogan presente sul volantino dell’incontro che mi mostrò era significativo: “Più diritti e più tutele per gli insegnanti di ruolo. Noi” - proseguiva lo slogan - “non siamo precari.”

Questa circostanza era dal suo punto di vista imperdibile e lui non era stato certamente con le mani in mano, visto che aveva già riempito la sala del convegno con numerosissimi ordigni a tempo, che sarebbero esplosi esattamente nel momento in cui la conferenza avrebbe avuto inizio.

Sarebbero morte sicuramente almeno cinquecento, seicento persone, tutti insegnanti di ruolo.

Ebbene ci lasciammo con la promessa che io avrei taciuto e che questa sarebbe stata la sua ultima azione di lotta.

Non lo denunciai subito e ci pensai per ben tre giorni. In fondo il signor Trivulzio non aveva mica tutti i torti. Soltanto che a mio modesto parere non era giusto prendersela con gli insegnanti di ruolo, e lui avrebbe dovuto invece protestare presso le nostre autorità competenti.

Per la verità il signor Terlizzi docente e poeta crepuscolare, mi aveva detto che c’era stato un periodo in cui aveva tentato di percorrere questa strada insieme a pochi altri suoi colleghi, c’erano state tante promesse, tante parole, addirittura era stato messo nero su bianco: “La carta canta ora, state tranquilli cari docenti precari, state tranquilli” -gli avevano più volte garantito.

Poi non se n’era fatto nulla, la carta aveva cantato per tutti meno che per loro da quello che avevo intuito.

“Capirete cari precari non ci sono i soldi….” -gli avevano detto un bel giorno d’estate davanti al Parlamento (forse era il giorno, non lo ricordo bene, dell’ultima puntata in tv del programma “Alla ricerca dell’oca giuliva”, riservato alle aspiranti soubrette del mondo dello spettacolo, straordinario programma naturalmente).

Insomma alla fine dopo tanti dubbi decisi di denunciarlo, ma non fu facile credetemi, in fondo ritengo proprio, e qui desidero ribadirlo, che dal suo particolare punto di vista Trivulzio non avesse completamente torto.

Decisiva fu mia moglie Teresina che mi convinse a farlo, ne parlammo per ben due notti intere.

“Non vorrai mica far morire tutti quei disgraziati” -mi ammonì-“che colpa hanno loro se viviamo in un mondo balordo? Pensa alle loro famiglie, ai loro figli.”

“Ma tu cosa faresti al suo posto? Trivulzio ha patito tanto e per che cosa poi? Non ha diritto ad avere un lavoro e una vita normale? Cosa penseresti se mi affidassero la gestione del bar soltanto per dieci mesi all’anno, senza avere inoltre la benché minima certezza di ritornarci? Come vivremmo?” -le feci serio.

“Non ammazzerei per questo tutti gli altri gestori o proprietari di un bar, se è questo che intendi. Protesterei con forza di fronte al nostro governo, mi incavolerei per bene, ecco cosa farei, ma non ammazzerei nessuno, ci mancherebbe!”

“Però lui e i suoi colleghi hanno protestato più volte” -le risposi.

“Sì, bella protesta. Ma se mi hai detto che non erano più di mille quella volta, che cosa potevano ottenere? E poi andare a lamentarsi quando le scuole sono chiuse dico io, ma perché non protestano d’inverno, non scioperano a oltranza, non bloccano gli scrutini, non si rifiutano di accompagnare i loro studenti in gita e via di seguito. Vuoi scommettere che se si comportassero in questa maniera qualche cosa otterrebbero? No caro mio, le forme di protesta efficaci ci sono, non c’è assolutamente bisogno di ammazzare nessuno, credimi”-e si girò dall’altra parte del letto.

“Loro non riescono in ogni caso a organizzarle, non capisco il perché.”

“Perché ognuno di loro pensa solamente a se stesso, ecco perché, nessuno di questi docenti precari è disposto a darsi da fare in prima persona, nessuno di loro è disposto a rischiare per gli altri. Non me lo hai detto proprio tu che per organizzare il pullman per andare a protestare quella volta, Trivulzio dovette fare cinquecento telefonate per scovare alla fine la miseria di cinquanta persone?”

“Era d’estate, faceva caldo, molti erano fuori…” -obiettai timidamente.

“Secondo me ti devi muovere appena ti fregano, ma gli istituti scolastici devono essere aperti e funzionanti naturalmente; quando è necessario occorre darsi da fare e combattere per i propri sacrosanti diritti e per quelli dei propri figli. Non è giusto prendersela con chi ce l’ha fatta. Trivulzio se la dovrebbe prendere innanzi tutto con lo Stato e poi con i suoi compagni di sventura, che continuano ad accontentarsi delle briciole che piovono dal cielo. Vai dalla polizia e denuncialo, non vorrai veramente avere tutte quelle persone sulla coscienza, spero” -e si rigirò di nuovo guardandomi negli occhi.

Le nostre discussioni proseguivano fin verso le cinque di mattina ma poi si interrompevano, poiché a quell’ora c’era il collegamento via satellite in tv con “Il regno della scarogna”, ennesimo reality meraviglioso, dove i concorrenti facevano di tutto per essere il più scarognato e vincere quindi il premio da due milioni di euro.

Di solito a quell’ora dormivo, ma già che c’ero approfittavo della situazione. Alle cinque e zero cinque, infatti, venivano spifferate dal conduttore di turno le ultime novità, e le prove che avrebbero dovuto affrontare i partecipanti durante il giorno che stava nascendo.

La mattina del terzo giorno raccontai la mia storia agli inquirenti che non vollero prendermi sul serio. Soltanto dopo che il signor Terlizzi fu arrestato, e soprattutto dopo la sua confessione mi credettero veramente, e ricevetti addirittura una bella ricompensa in denaro.

Tuttavia quei soldi ottenuti da me per aver tradito il mio amico non li ho mica tenuti, li ho devoluti al Ministero della Pubblica Istruzione con tanto di richiesta scritta, affinché vengano utilizzati per immettere in ruolo gli insegnanti precari.

Terminiamo a ogni buon conto questo racconto, so di avervi annoiato.

Il signor Trivulzio Terlizzi docente e poeta crepuscolare fu arrestato e confessò poco dopo ogni sua colpa; dato il clamore del caso si fece immediatamente il processo e la condanna fu adeguata al reato: “Ergastolo” recitò impietosamente il giudice che lesse la sentenza.

Sono andato spesso trovarlo in carcere ma Trivulzio non mi ha mai voluto vedere. Perché si è sentito profondamente tradito, questa è la verità.

Il mio povero amico ha resistito in prigione appena pochi mesi e oggi è un anno che si è impiccato.

Quando gli addetti alle pulizie hanno portato via i suoi effetti personali hanno trovato una lettera indirizzata a me, e soltanto oggi ho avuto il coraggio di aprirla, esattamente nel giorno del primo anniversario della sua morte.

Dentro c’erano due fogli, ho pianto tanto.

In uno c’era scritta una sola frase: “Ce l’ho fatta.”

L’altro foglio, infatti, era il telegramma del Provveditorato che lo invitava a presentarsi per la nomina in ruolo.

“La S.V. è invitata a presentarsi il giorno 21/07/05 in questa sede, per il conferimento di un incarico a tempo indeterminato per la classe di concorso A051.”

Il 21/07/05, un anno fa appunto.

Il suo funerale l’ho pagato io perché i suoi genitori sono nel frattempo impazziti dal dolore; il padre soprattutto è andato fuori di testa e ha dato la colpa di tutto ciò alla società in cui viviamo e ai politici; per questo lo hanno internato.

Poveretto, alla fine perfino lui ha perso quella santa pazienza che tanto a lungo aveva invocato per il figlio.

Ma che colpa hanno -mi chiedo- le nostre illustri autorità se i soldi non ci sono?

Era giusto protestare ma se ti dicono che i soldi non ci sono, non ci sono punto e basta.

Il denaro pubblico va speso con cura che diamine, come dice fino allo sfinimento Peppe il salumiere ci sono i soldati da mantenere all’estero, i premi per i format televisivi, le consulenze varie che si debbono pur pagare, le auto blu per i nostri politici, le numerose opere urbanistiche iniziate e mai terminate, i diritti televisivi da acquistare per il campionato mondiale delle pulci, i capi di Stato stranieri da risarcire………. se non ci sono i soldi non ci sono no?

Mia moglie la pensa invece diversamente, sostiene che Peppe è un imbecille e che il denaro c’è, soltanto che quelli che comandano lo spendono per altre cose, tanto i precari non protestano mai.

La carta in fondo ha cantato per tutti, perfino per Trivulzio, il problema è che ha cantato troppo tardi.

Comunque tutta questa incredibile vicenda non è stata inutile, anzi ha contribuito, e addirittura in maniera decisiva, a far cadere il precedente governo che è stato chiaramente accusato di non aver fatto nulla in questi anni per risolvere questa vergognosa piaga del precariato.

Il nuovo esecutivo che si è insediato da circa un mese e mezzo si è immediatamente preoccupato di fornire delle precise garanzie agli insegnanti precari, e ha perfino varato un piano di assunzioni pluriennale che dovrebbe portare nel giro di tre anni all’ingresso in ruolo della maggior parte di questi poveri disgraziati.

“Da oggi tutto è cambiato. Ci siamo noi. Siate ottimisti e fiduciosi cari precari” -ha detto alcune settimane fa in televisione il nuovo Presidente del Consiglio - “fra pochi mesi il vostro problema sarà risolto e avrete tutti il posto fisso.”

Perciò in questi ultimi giorni è tutto un gran parlare e un gran dire che ogni cosa è mutata, che si respira un’aria nuova, che il vento è cambiato per loro, sarà…. ma io comunque continuo a essere un po’ diffidente e non cambierò idea finché non vedrò mutare realmente le cose con i miei occhi.

Mi torna in mente in questa circostanza, quella famosa frase di quel personaggio di quell’unico libro che ho letto in vita mia e che recita: ”Tutto deve cambiare affinché le cose restino sempre uguali”. Ecco, non vorrei che ora capitasse esattamente questo, in fin dei conti non sarebbe la prima volta.

In ogni caso il mio amico non è morto invano e tutta la sua lotta non è stata infruttuosa.

E’ diventato famoso Trivulzio, basti pensare che poche ore dopo la notizia della sua morte si sono immediatamente formati in tutta la nostra nazione dei gruppi spontanei di precari che hanno sfilato per le vie delle città, che hanno riempito le strade, le piazze, che hanno scandito il suo nome, che lo hanno insomma ringraziato: da Nord a Sud, da Est a Ovest, nelle metropoli così come nei più piccoli paesini di provincia.

Lui che aveva trascorso l’intera esistenza a raccontare le vite degli altri, in pochi istanti era divenuto l’eroe e il punto di riferimento per migliaia di persone. Lui che una vita dignitosa non ce l’aveva mai avuta e che era stato sempre preso a calci dal mondo, rappresentava ora per quello stesso mondo un simbolo di forza e di coraggio da tener presente, da seguire, forse addirittura da imitare.

Lui che era stato perennemente tagliato fuori da tutto, con il suo sacrificio era entrato da protagonista nella Storia e si era conquistato uno spazio solamente suo, come precedentemente avevano fatto i grandi personaggi di ogni tempo.

Si diceva in giro, infatti, che gli avrebbero intestato ben presto qualche strada o qualche piazza, e i giornali e le televisioni poi, hanno continuato a raccontare la sua vicenda a qualsiasi ora del giorno e della notte per diverso tempo.

Si vociferava addirittura di una statua in suo onore, che sarebbe stata eretta nel giro di uno o due anni al massimo nella nostra capitale.

Naturalmente questa gloria improvvisa e meritata aveva anche il suo lato negativo, che era rappresentato ovviamente dai quei duecentocinquanta disgraziati che Trivulzio aveva ammazzato negli ultimi tre anni, tuttavia nessuno si preoccupava di loro.

La verità era che queste persone uccise erano state considerate dall’intera opinione pubblica come vittime sacrificali necessarie per portare alla ribalta in tutta la sua drammaticità questo annoso problema.

Del resto anche Cesare e Napoleone, come mi diceva spesso lui, non avevano forse procurato con le loro guerre migliaia, se non addirittura milioni di morti?

I potenti della Storia facevano anche danni, li avevano sempre fatti e questo valeva naturalmente anche per il mio amico.

Trivulzio sarebbe stato contento ne sono sicuro, la notorietà lo avrebbe infastidito questo è certo, ma sarebbe stato felice e soddisfatto per quello che aveva ottenuto.

Lui che aveva sempre perso, era uscito di scena da autentico trionfatore: aveva ottenuto il ruolo, aveva risolto il problema dei docenti precari ed era perfino entrato nella Storia.

Che altro poteva volere di più?

Trivulzio Terlizzi docente e poeta crepuscolare aveva vinto, alla fine di tutto aveva vinto.

Per far ricordare a imperitura memoria questa sua impresa titanica, gli farò preparare una bella lapide che farò inserire nei prossimi giorni di fronte alla sua tomba.

Essa reciterà: “A Trivuzio Terlizzi, nato a Rocca Ciuffa il 05/05/1960, morto il 21/07/05. Docente di ruolo e Poeta Crepuscolare, che ha speso l’intera sua esistenza fino al sacrificio nell’impari lotta contro la precarietà.”

Questo almeno glielo devo.

Ora però vi devo salutare, scappo perché danno in tv la trentesima puntata di “W l’ignoranza”, gioco a premi in cui vince chi mostra di saperne di meno su qualsiasi argomento.

Capirete certo che non posso perdermelo.

P.S.: alcuni giorni fa il Ministro dell’Istruzione ha annunciato in tv visibilmente soddisfatto, che il suo collega dell’Economia ha firmato il decreto per l’assunzione della prima trance di insegnanti precari (cinquantamila in tutto).

Io continuo in ogni caso a essere scettico, non so perché, ma il mio naso mi dice di non fidarmi, mi suggerisce di attendere, di vedere, di verificare. E’ che mi sembra troppo bello per essere vero: centocinquantamila insegnanti precari assunti in tre anni e fine (o quasi) del precariato.

Sarà davvero così?

Evviva Trivulzio.

Mio Miao 03/07/2011 17:39 926

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Il dramma della precarietà nel mondo della scuola.»

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