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Laboratorio => Gruppo di lettura => Topic aperto da: Simona Scudeller - Mercoledì 10 Ottobre 2007, 19:23:41
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L'albero a cui tendevi
la pargoletta mano,
il verde melograno
da' bei vermigli fior,
5 nel muto orto solingo
rinverdì tutto or ora,
e giugno lo ristora
di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
10 percossa e inaridita,
tu de l'inutil vita
estremo unico fior,
sei ne la terra fredda,
sei ne la terra negra
15 né il sol più ti rallegra
né ti risveglia amor.
[da Rime nuove, 1887]
METRO: breve ode in quartine di settenari, secondo lo schema ABBC (il quarto verso sempre C, e sempre tronco).
Poesia facente parte della raccolta Rime nuove, periodo in cui i toni dell'impegno civile e della propaganda lasciano spazio a riflessioni di più intima natura.
estratto di un'analisi-In questa breve ed intensa poesia, scritta nel 1871, Carducci esprime il dolore per la morte del figlioletto Dante, avvenuta l'anno precedente. L'aggettivo "antico" del titolo sta a significare che lo strazio del poeta è lo stesso provato dagli uomini d'ogni tempo di fronte alla morte.
Nonostante il coinvolgimento emotivo, e senza tuttavia sottrarvisi, il poeta riflette sul rapporto antitetico fra la vita e la morte, associando la prima ad immagini chiare e luminose ("luce", "calor") e connotando la seconda con motivi oscuri e dolorosi ("pianta... inaridita", "terra fredda", "terra negra").
Nelle prime due strofe prevale l'aspetto vitale, rappresentato dalla "pargoletta mano" e da colori primaverili e solari; ma già l'espressione "muto orto solingo" fa presentire lo sviluppo negativo della lirica, come effettivamente avviene nelle due strofe successive, dove l'immagine della terra "fredda e negra" evidenzia una concezione decisamente materialistica della morte.
L'andamento ritmico è quello di una nenia struggente e malinconica, in linea col contenuto-
Mi sono innamorata sin dal primo momento in cui l'ho letta, tanti anni fa, è musicale e rivela nella drammatica sofferenza la contrapposizione profonda che nella vita ogni uomo è costertto ad affrontare.
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Componimento classicheggiante, preciso e curato.
Similitudini marcate:
la pianta inaridita è il poeta stesso
fiore di questa pianta è il figlio
l'orto è il luogo del dolore interiore e diventa muto e solingo, solitario nonostante l'estate prosegua inesorabile il proprio cammino.
In ultima battuta il movimento che inizialmente descrive -la vita che vive-diventa fermo, surreale nella chiusa: il freddo, oscurità, mancanza di calore umano. Morte interiore dell'amore viscerale.
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Chi è Carducci-
Un docente nasce in provincia di Lucca e consegue il diploma di magistero alla Normale di Pisa.
Una vita segnate da grandi lutti, prima del padre e del fratello, poi del figlio.
Grande studioso del classicismo e della sperimentazione all'interno di questo, impegnato politicamente sostenitore della monarchia diventa poeta ufficiale di casa Savoia.
Il riconoscimento al suo valore poetico verrà con il premio Nobel che riceve nel 1906 a Bologna
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Interessarci su ciò che amiamo fa parte di noi ;)
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Visto che qui viene trattato Carducci, ed in particolare la sua classicità, vorrei proporre un testo tratto dalle "Odi barbare". Qualche parola di premessa: in esse il poeta ripropone la metrica classica quantitativa secondo i modi di quella moderna, accentuativa e sillabica. Il Carducci individua versi italiani ritmicamente equivalenti a quelli classici, dopo aver letto questi ultimi secondo l'accento. Dopodichè riunisce i versi in strofe. Ecco il risultato: strofe alcaica= 2 endecasillabi formati da 1 quinario piano e uno sdrucciolo, 1 novenario e un decasillabo;
elegiaca= distici formati da settenario+ ottonario ( o ottonario+ novenario) e doppio quinario;
saffica= 3 endecasillabi+ 1 quinario;
asclepiadea= 3 asclepiadei minori, formati cioè da 2 quinari sdruccioli, + 1 quinario sdrucciolo;
nella raccolta v'è prevalenza di alcaiche.
Nota: la raccolta segna il passaggio dalla passione civile per l'attualità al mondo del mito.
Ecco un breve poesia che dovrebbe ( spero) esemplificare quanto detto. Il titolo è "Egle". Si tratta di un'ode in distici elegiaci.
Stanno nel grigio verno pur d'edra e di lauro vestite
Ne l'Appia trista le ruinose tombe.
Passan pe 'l ciel turchino che stilla ancor da pioggia
Avanti al sole lucide nubi bianche.
Egle, levato il capo vèr quella serena promessa
Di primavera, guarda le nubi e il sole.
Guarda: e innanzi a la bella sua fronte più ancora che al sole
Ridon le nubi sopra le tombe antiche.
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Vorrei presentare un altro esempio del classicismo carducciano: si tratta di un'ode saffica resa in strofe di 3 endecasillabi e un quinario che traducono il modello greco di tre endecasillabi e un adonio.
Preludio
Odio l'usata poesia: concede
Comoda al volgo i flosci fianchi e senza
Palpiti sotto i consueti amplessi
Stendesi e dorme.
A me la strofe vigile, balzante
Co 'l plauso e 'l piede ritmico ne' cori:
Per l'ala a volo io colgola, si volge
Ella e repugna.
Tali fra le strette d'amator silvano
Torcesi un evia su 'l nevoso Edone:
Più belli i vezzi del fiorente petto
Saltan compressi.
E baci e strilli su l'accesa bocca
Mesconsi: ride la marmorea fronte
Al sole: effuse in lunga onda le chiome
Fremono a' venti.
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a me piace tantix carducci!
il mitico scudiero di classici!
lui ke tutta la vita diede per difendere la classicità e poi si vide innalzato come precursore del verso libero!
infatti se analizzate bene quelle strofe ke vengono definite strofe alcaiche o i distici elegiaci noterete ke sono versi strani molto più corti o lunghi (di cui fa uso nelle "odi barbare") rispetto al canonico endecasillabo che egli utilizza nelle "Rime"
nulla toglie che carducci, vate della terza italia, resta e sempre sarà un grandissimo classicista, male interpretato dai moderni!