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		Laboratorio => Commenti => Topic aperto da: alfredo - Mercoledì  7 Novembre 2007, 18:49:02
		
			
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				Mai gli occhi conobbero
 il pianto
 Esuli le labbra al primo
 lineamento del canto
 Che rondini in volo
 non ne potrebbero disegnare
 bellezze maestose
 tanto da amare
 Ruggivi di candore
 mio caro nipote
 Nato senza vita
 e rossore alle gote
 Strette le mani al freddo dell’ oblio
 Ma siamo strumenti
 per i misteri di Dio
 Cori di tormento
 alla trascendenza del tuo passaggio
 Se carezze di dolore
 potessero rendere l’uomo più saggio...
 Nell’ ultimo giaciglio
 la pace dimora
 ma nella tensione
 che il corpo divora
 sei spicchi di luce
 e vita in eterno
 creatura defunta nel grembo materno
 Come fasci di rosso al tramonto
 e manti di stelle
 trionfi in alto con gli angeli
 pensando
 alle cose più belle
 
 
 
 
 
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				Vorrei considerare ciò che l’autore ha considerato nel momento in cui ha deciso di scrivere “Mai gli occhi conobbero il pianto”.
 Leggendo e rileggendo questa poesia ci si accorge di come il dolore faccia capolino quando invece doveva festeggiarsi la nascita di un nuovo venuto al mondo, un nuovo venuto ai colori della vita e che quella vita non lo ha visto nascere con il primo vagito, segno della vita sbocciata.
 L’autore, direttamente coinvolto, con un gesto alquanto sincero, sofferto e doloroso ha voluto circostanziare l’evento che nel suo evolversi triste, molto ben evidenziato, lo ha diretto anche alla puerpera.che si è vista rapire il proprio frutto ancor prima che vedesse la luce del cosmo.
 Leonardo  si rivolge pure al suo piccolo congiunto con l’animo ebbro di afflizione smisurata e con occhi di pianto, quel pianto mai conosciuto e che doveva appartenere al piccolo nascituro in salute.
 Lo paragona alla felicità delle rondini in volo, è come lo avesse al suo cospetto, col suo corpicino roseo nel viso di innocente, esultante tra braccia d’amore; tutt’altro ora è preda del freddo, rannicchiato come in grembo, così come ancor prima di vivere.
 Nella sua disperazione comunque inneggia speranza quando dice “ sei spicchi di luce”” e vita eterna”.
 Certo è che fa intendere anche il grande dono della rassegnazione che lenisce il dolore e lo raffredda ma mai lo fa scomparire, in quanto è come infondere che quel corpicino ora è Angelo e che quell’Angelo si è fatto dono in Paradiso, è salito in cielo, veglia, circonda d’amore celestiale ed è vicino.
 segue
 
 
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				L’autore, con le sue emozioni, come tanti grandi pedagogisti e tra i tanti si può citare Steiner, ha capito, intuito ed ha voluto far capire con il suo testo che morire da bambini, ancor prima di nascere, viene deciso proprio deciso in grembo cosicché quell’io che, identificandosi nella coscienza del non sapere, ha comunque deciso di illuminare dal cielo.
 Il lettore man mano che fa scorrere la sua lettura viene trascinato in un vortice emotivo anche sei il testo, penetrante e sofferentesi presenta sviscerato e privo di  accurata tecnica poetica in quanto alcuni passaggi risultano poco sonorizzati e che interrompono il giusto equilibrio ritmico tipo “non ne potrebbero disegnare” oppure “ alle trascendentenze del tuo passaggio” e che ne sminuiscono pure il passo.
 Si evidenziano infine anche alcune maiuscole a capo verso le quali chiudono la coniugazione di un legame col verso superiore, inoltre uno sguardo alla punteggiatura andrebbe fatto.
 
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				 :D Che nostalgia...