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Discussioni in corso => Discussioni fra autori => Topic aperto da: cipreacalend - Sabato 9 Maggio 2009, 19:17:22
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Che vuol dire "un sit in tra le rime"? E' un'idea che ho avuto parlando con Zima, quella di prendere un testo che ci piaceva di un autore e poi "occuparlo", farlo diventare un poco nostro, navigare insieme tra le rime, tra le parole, sviscerandolo, assaporandolo, e poi farci permeare dalla sua voce.
Un "sit in" in questo caso è quindi un'appropriazione di uno spazio poetico e da qui il titolo del topic.
L' autore scelto si chiama Claudio Chianese, nasce nel settembre 1984 a Siderno (RC). Conseguita la maturità classica, finge di studiare Lettere a Roma e nel frattempo si dedica alla lettura e al consumo di bevande alcoliche. Trova irrinunciabili Eliot, Montale, Borges e Dostoevskij, di recente suppone che la scrittura di Gombrowicz sia la migliore del Novecento. Ha anche Milosz e Brodskij sul comodino. Sue cose sono apparse su Atelier e Niederngasse. Ama gli insetti sopra tutto il resto.
DALLE CATTEDRALI DEL SONNO
in balance with this life, this death
Avvelena lo spazio complesso, le direzioni
quel grido infantile (ognuno lo sente
forse cento volte, partendo e restando
coi silenziosi affissi oculari). E il bambino è uno,
sessile e primevo, dalle acque.
La strada da un lato
la chiude la macelleria, dall’altro i cifrari
del ritorno: mai che uno straccio,
qui e sui balconi, distrugga il vento.
Pochi si accorgono
di portare cattedrali sulla schiena
- dacché è nato, dacché
egli è nato…
Tu lasciami la sensorietà ottusa
del sonno anche nei quadrivi meridiani
che ancora
l’ombra – l’ora – visitano
e stancamente
gli spettri amicali dall’infanzia
(stanotte all’ultima scena di un film casuale Paolo Villaggio mi è parso Walt Whitman, il poeta)
http://liberinversi.splinder.com/tag/claudio+chianese
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sì sì sì... io ora mi siedo qua, tra i versi di questa poesia e non mi schiodo! ;D
la verità è che non sappiamo cosa faremo, sarebbe bello inventarci tutti insieme un modo nostro per leggere ed entrare nei versi.
ho scelto questo autore perchè appena l'ho letto mi ha affascinato, quello che mi stupisce non è solo la padronanza dialettica, la capacità di mescolare le lingue, ma anche quella di utilizzare tutti i campi dal sapere in ciascuno dei suoi scritti, dalla letteratura, al cinema, alla filosofia, alla storia, alla biologia! :o (al link che ha postato mirella troverete, se vi interessa, altri suoi scritti).
il fascino di questa poesia è ancestrale, mistico, indescrivibile, a partire dal titolo "dalle cattedrali del sonno (in equilibrio tra questa vita e questa morte)" come a dare per scontato che ognuno di noi attraverserà ed ha già attraversato più vite e più morti...
le cattedrali, già immagino queste enormi strutture, impalcature che ci pesano sulle spalle, che gravano inconsapevoli... cosa sono? forse sono tutte quelle impalcature culturali che ci imbrigliano senza che noi ce ne accorgiamo, insieme di pregiudizi, di regole che senzienti accettiamo senza chiedercene il perchè... oppure sono quelle voci interne a noi che scalpitano, portando memoria della storia e che riemergono dalle acque del sonno per renderci consapevoli... chissà!
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La poesia che proponete è davvero interessante, ci tornerò su.
Ma visto che la dobbiamo occupare occupiamola!
Io la occupo così:
:)
Dalla cattedrale del sogno
Unità immaginaria:
primeva cattedrale.
Occupare! Occupare!
Sit-in sulle scale.
-It’s a dance in balance-
tra la morte e la vita
tra gli occulti cifrari
tra il ritorno e l’uscita.
Dell’infanzia, del grido:
la latenza dell’acqua!
Contro il vento, lo sfido,
sonnolenza mi fiacca.
(Poi nel sogno mi sveglio
e incomincio a nuotare
tra la vita e la morte
e non c’è cattedrale).
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...uhm...
L'aver scelto un autore che ha usato e/o usa altri due nick o eteronimi (Andrea Ruffo Spini e Stefano Flenti) oltre all'attuale nome e cognome (?) mi lascia un momento perplesso e mi inquieta. Che abbia da nascondere la sua vera natura o che si senta ( almeno nel passato) costretto a "fingere" strumentalizzando l'uso dell'arte?
Ma dato che dobbiamo analizzare la poesia e renderla nostra senza preoccuparci dell'autore (dicono che dovrebbe essere sempre così...) provo a scrivere cosa mi ha trasmesso:
per entrare in un testo credo basti chiudere gli occhi e lasciarsi andare alle sensazioni che la lettura ci regala.
Perchè ci sono testi che si fanno leggere, altri che lasciano spazio per insinuarsi, altri ancora che non fanno nessuna di queste due cose.
Solitamente le poesie o qualsiasi lettura in genere a cui mi approccio ha una mia reazione istintiva, perchè credo nella sua immediatezza come in quella della scrittura e dell'arte in genere, la spontaneità e l'istintività che diventa sinonimo di genuinità e purezza.
Ora, questo testo ho dovuto leggerlo più volte.
Qualcosa rallenta la percezione, forse quel senso di un discorso non molto chiaro, come se nemmeno all'autore fosse chiaro di cosa voleva parlare (naturalmente questa è un'opinione)
e non mi pare che dietro alle parole, tra i versi, ci siano chissà quali simbologie introspettive o riflessive che spingono a misurarsi con folosofie più ampie.
Mi sembra piuttosto qualcosa di articolato, costruito, senza un intento preciso.
...e arrivando al termine dello scritto mi chiedo: cosa mi ha lasciato? Nulla, se non la consapevolezza che ci siano autori che altro non fanno che ricercare quanti più termini possibili lontani dalla comunicazione. Questo, secondo me, non è ermetismo. Questo è semplicemente cercare il modo di attirare l'attenzione.
Sbaglierò, ma ripeto, in fondo è una visione personale....leggere grandi autori e riempire scaffali di loro opere non ci fa autori, ma semplicemente lettori.
Suscitare sensazioni non è poi così semplice...e scusate, ma questo testo non me le ha trasmesse....
o forse sono io un ignorante in materia poetica :-[ ;D
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Ritorno alla poesia di Claudio Chianese per darne la mia interpretazione.
Il sottotitolo evoca, mi sembra, l’idea della vita come momento di equilibrio instabile sul nulla, sulla morte, ma al tempo stesso esprime esplicitamente l’ambiguità di “questa vita” che è “morte”.
L’immagine che deduco da tutta la prima strofa è, infatti, quella della nascita come morte. Il grido infantile testimonia e denuncia l’orrore del bambino appena nato di fronte al mondo, il lamento per la perdita del “paradiso”.
Da allora la sua crescita, la sua educazione tenderanno a fargli perdere l’infantile “sensualità”, la primeva comunione-unione con il tutto a favore dell’individuazione, dell’assunzione di responsabilità; da allora sarà gettato per “la strada” tra “la macelleria” della vita e l’impossibilità del ritorno, sarà sbattuto dal vento delle avversità senza possibilità di riparo; da quando è nato enormi “cattedrali” di convenzioni, di doveri, di bisogni graveranno sulla sua schiena.
La conclusione mi sembra individuare nella “sensorietà ottusa del sonno”, capace di trasfigurare il mondo nel sogno (vedi Villaggio che diventa Whitman), una possibilità di fuga, un luogo in cui ancora tornano gli “spettri amicali dell’infanzia”.
Ma il finale necessita di essere approfondito rispetto al senso della collocazione “nei quadrivi meridiani” e dell’inciso –l’ora- ottenuto (probabilmente suggerito per associazione fonetica) per sottrazione di “mb” dalla locuzione immediatamente precedente “l’ombra”.
Sulla forma, magari, ci tornerò più avanti.
:)
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;D bene, è arrivato anche Stefano ad occupare lo spazio, serve ogni contributo, lasciatevi ispirare, fatevi permeare dalla poesia...
intanto mi accomodo anch'io... ;D
Avvelena lo spazio complesso, le direzioni
quel grido infantile (ognuno lo sente
forse cento volte, partendo e restando
coi silenziosi affissi oculari).
Sembra un annuncio (o un annunciazione) quel grido infantile, uno squillo di tromba, tutti lo sentono, da ogni direzione, dai quattro punti cardinali, del pianeta, ovunque è avvertito come un richiamo, chissà forse alle coscienze. Potrebbe anche essere un dolore, un avvertimento, in ogni caso è la nascita di qualcosa che irrompe. Ha un che di tragedia, di pathos questo annuncio, si veste di inquietudine. Inoltre, lo "spazio complesso", mi fa venire in mente qualcosa che ha a che fare con la creazione, la sua complessità, e le direzioni hanno a che fare anche con degli spazi non solo territoriali, ma anche temporali...
E il bambino è uno,
sessile e primevo, dalle acque.
Uno come la divinità, primigenio e, nello stesso tempo, sessile, come le creature che vivono nelle acque, ancorate allo stesso modo dei coralli, che crescono e si riproducono una sull'altra...
mi soffermo e mi fermo al momento su questi primi versi, perchè credo che siano loro a fornirci alcune chiavi di interpretazione...
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E' interessante come una lettura di un testo possa far sorgere idee e contenuti, a seconda di chi la legge. C'è il senso della vita e della morte, della costruzione e della distruzione, del sorgere, tra l'altro il nascere dalle acque è qualcosa che mi riporta non solo alle acque materne, ma anche a quelle della memoria collettiva, universale dell'Uomo.
Certo, l'analisi di Stefano calza molto bene alla poesia e questo è quasi certamente il suo significato sociale, ma Chianese è un autore senza dubbio complesso, nonostante la giovane età. Vi invito ad andare a leggere le sue poesie e anche alcune delle risposte che da alle persone che lasciano commenti.
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Avvelena lo spazio complesso, le direzioni
quel grido infantile (ognuno lo sente
forse cento volte, partendo e restando
coi silenziosi affissi oculari).
E’ curiosa l’immagine dei “silenziosi affissi oculari”, indica forse la presenza di lenti tra l’individuo e la realtà, quasi uno schermo che permette pur udendo il grido di ignorarlo? ???
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E’ curiosa l’immagine dei “silenziosi affissi oculari”, indica forse la presenza di lenti tra l’individuo e la realtà, quasi uno schermo che permette pur udendo il grido di ignorarlo? ???
Gli affissi sono, nel linguaggio della comunicazione visiva, i cartelloni pubblicitari.
Una comunicazione persistente e in qualche modo invasiva, e per questo forse "silenziosa", ma non perché occulta, anzi, siamo sempre noi che decidiamo fino a che punto lasciarci permeare da questa. Mi fa venire in mente come, a seconda della nostra sensibilità, ci lasciamo o meno condizionare da una realtà esteriore e, quindi, anche sentendo un "grido" sappiamo svegliarci oppure continuare a sognare.
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sono tornata: cibo e bevande per tuttiiiii!!! ;D
ma a chi non occupa niente biscotto! :P
sale l'uomo d'acqua
dal cratere torbido del ventre
(il frastuono dello scroscio
s'interpone tra l'orecchio
e lo specchio)
le meridiane conficcate
nelle costole segnano sempre
la stessa ora
e il vento tra i quadrivi
fa scacco sui pedoni
assopisce il cielo
in un velo di piombo
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La cattedrale, il mito del bambino originale che dacchè è nato, come Cristo. da adorare nelle cattedrali del sogno. Unica uscita il conservare il bambino "sessile", unito all'acqua, all'elemento primordiale, ma ad esso collegato, adagiato, nella quale si sguazza e ci si lava (dal peccato del vivere il giorno).
La meridiana che quando segna le ore del giorno (mezzana la sua ombra) dovrebbe invece lasciarci ancora dormire, sognare: anche al centro della nostra vita, quando siamo di mezza età, unica uscita appunto da una via chiusa dalla "macelleria", che uccide, ma ci nutre... come si può conciliare il raziocinio con il sogno? Come? quando il bambino sembra essere stanco, "affaticato"?
E qui mi siedo... per ricominciare a sognare... ed il vento che mi importuna... ho fatto uno striscione con un lenzuolo... qui il vento soffia lo stesso! speriamo sia un vento di cambiamento! Con tutti 'sti quadrivi della vita... c'è da perdersi!
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La strada da un lato
la chiude la macelleria, dall’altro i cifrari
del ritorno: mai che uno straccio,
qui e sui balconi, distrugga il vento.
Pochi si accorgono
di portare cattedrali sulla schiena
- dacché è nato, dacché
egli è nato…
proseguo con la mia interpretazione, personalissima, certo, per quello che questa poesia mi evoca...
Se la strada è la proiezione di un mondo esteriore ristretto, chiuso, tra la macelleria e i cifrari del ritorno, cioè i codici che permetterebbero un altro tipo di ingresso, o di uscita da un mondo così banale, ecco che allora emerge la rabbia, quel senso di frustrazione di essere portatori di qualcosa che non può essere cambiato, non tanto per l'ineluttabilità della vita, quanto, invece, per l'assenza di una coscienza: "mai che uno straccio... distrugga il vento", di una visione nuova, innovativa... "dacchè è nato"...
Quando parlo di divinità, mi riferisco a quella coscienza cosmica, universale di cui l'uomo è portatore e non ad una particolare religione, ed è questo senso che
mi evoca il riferimento al bambino primevo e al suo grido, la sua nascita.
Tu lasciami la sensorietà ottusa
del sonno anche nei quadrivi meridiani
che ancora
l’ombra – l’ora – visitano
e stancamente
gli spettri amicali dall’infanzia
(stanotte all’ultima scena di un film casuale Paolo Villaggio mi è parso Walt Whitman, il poeta)
C'è sicuramente un ritorno alle origini, al sonno del dormiente, e anche qui mi vengono in mente, per associazione, riferimenti a divinità "in sonno", i Dormienti, o alle favole dove il "dormire" diventa una condizione necessaria ad una trasformazione, non solo intima del personaggio, ma soprattutto legata a un nuovo tempo che deve arrivare, deve compiersi, come una profezia.
E questo tempo che è spaziale, i "quadrivi meridiani", è anche un tempo legato alle ombre, ai rifugi dell'infanzia, del sogno, della fantasia, così come degli incubi. Ed è un tempo dove ogni cosa può essere reinventata, può diventare altro e non solo la fuga dalla realtà ristretta, dalle cattedrali delle convenzioni,, forse anche della storia, del passato.
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sono tornata: cibo e bevande per tuttiiiii!!! ;D
ma a chi non occupa niente biscotto! :P
;D ehmm... si potrebbe avere una crostata di mele?... un tiramisù?... hihihihi
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Indubbiamente testo di grande fascino. Non conoscevo questo autore (e come si possono conoscere tutti?) che definire contemporaneo è alquanto riduttivo visto che stiamo parlando di un ragazzo di 24 anni.
Lo leggo per la prima volta ed ho l’impressione di una padronanza non usuale della parola unita ad una osservazione personale e cruda (anche se mitigata dall'uso di metafore difficilissime) della realtà. Si ha l’impressione, leggendolo, di passare attraverso veri e propri stadi di conoscenza, a partire da quello spazio complesso come fosse un brodo primordiale un’amnios dal quale si innerva un grido infantile.
Cosa leggo in questo testo?
Beh! voglio forzarlo, ma non troppo. Mi piace dargli un significato meno filosofico, forse più terra terra, ma ineluttabilmente più drammatico ed attuale. Penso alla storia personale dell’autore. Una sorta di biografia geografico-sociale.
Dalla nascita; da quel “sessile e primevo” che potrebbe incarnare il primo figlio maschio (in alcuni strati sociali nella cultura meridionali è ancora radicata l’importanza del concepimento del primo figlio maschio) sul quale poggia il peso (cattedrali sulla schiena) di quelle impalcature culturali (cui accenna Zima), e dunque sociali, quali possono essere le aspettative e le aspirazioni familiari che si trovano a gravare sulle sue spalle.
Ecco i ripetersi non casuale del concetto:
“- dacché è nato, dacché
egli è nato…”
E’ una condizione di impotenza. Quella di vivere una situazione senza sbocco, di ritrovarsi in luoghi dove dove tutto è immutabile" mai che uno straccio, qui e sui balconi, distrugga il vento" (dove il vento è soggetto ed i panni complemento) e la voglia perenne di scappare (in contrapposizione al sessile), di riuscire a sconfiggere il desiderio del ritorno, resta confinato in quella macelleria (intesa in senso letterale come un luogo familiare?) che ti “impala” (immobilizza il desideri di spaziare con la mente e con il corpo) sempre sul lato chiuso (lett. senza via d'uscita) della strada e ti lascia “in balance with this life, this death” in una sospensione animata molto simile allo stato di trance.
Per la strofa finale avrei i riferimenti a ricordi d’infanzia. I quadrivi meridiani : forse ricordi del luogo di incontro fra amici di infanzia che restano relegati alla “sensori età ottusa” del sonno dove caparbiamente anche se ”stancamente” cercano di sopravvivere.
Unica nota: mi spiazza il “Tu” all’inizio dell’ultima strofa non saprei attribuirne l’utilizzo.
Mentre, per il riferimento a Whitman e a Villaggio, mi convince l’interpretazione di Stefano Toschi: una sorta di bizzarro accostamento per indicare la capacità di trasfigurare il mondo reale nel sogno.
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crostata di mele, naturalmente! ;)
ma tu quella bella pasta per il pranzo potevi prepararla!!!! ;D
la cosa meravigliosamente strana di questo testo è che più lo rileggo e più mi confondo. di primo impatto una marea di emozioni mi ha pervaso, probabilmente mi ero ancorata solo alle immagini, ora, dopo molte letture e dopo aver ascoltato le varie interpretazioni, ritrovo che alcuni passi possano essere interpretati in molti, moltissimi modi.
Avvelena lo spazio complesso, le direzioni
quel grido infantile (ognuno lo sente
forse cento volte, partendo e restando
coi silenziosi affissi oculari). E il bambino è uno,
sessile e primevo, dalle acque.
...
Pochi si accorgono
di portare cattedrali sulla schiena
- dacché è nato, dacché
egli è nato…
perchè l'urlo del bambino avvelena lo spazio "complesso" ad esempio? e cosa intende l'autore con tale aggettivo?
chi è quel bambino, cosa rappresenta? sembra arrivato a distruggere la pacatezza cieca dell'uomo, a portare scompigio e dalla sua nascita ognuno si è caricato inconsapevolmente di un peso, di una zavorra.
sembra la profezia avverata di un avvento, una profezia di caos, di morte che l'uomo percepisce, senza vedere davvero. penso anche io, infatti, che gli affissi siano come schermi tra la percezione e la consapevolezza. i manifesti pubblicitari, ad esempio, contengono spesso messaggi subliminali che raggiungono in nostro inconscio senza palesarsi.
Un vento (foriero della fine) urla come un bambino appena nato invadendo ogni spazio e ogni direzione. tutti lo sentiamo, sempre, come una voce intima ma molesta.
La strada da un lato
la chiude la macelleria, dall’altro i cifrari
del ritorno: mai che uno straccio,
qui e sui balconi, distrugga il vento.
la seconda parte è quella che mi piace di più, che mi affascina... questa strada senza via d'uscita in cui il vento continua ad urlare tra l'orrore del sangue (la guerra, la morte?) e la possibilità di evadere, criptata però, tra mille codici, nei cifrari.
che strana sensazione poi mi fanno quegli stracci appesi ai balconi, a sventolare come bandiere bianche... simulano un'arresa, nessuna via di scampo.
è per questo che l'autore chiede, nell'ultima parte, di ritornare nell'incoscienza, ottusa, ma paliativa, ristoratrice.
Tu lasciami la sensorietà ottusa
del sonno anche nei quadrivi meridiani
che ancora
l’ombra – l’ora – visitano
e stancamente
gli spettri amicali dall’infanzia
questa ultima parte mi riporta ad un paesaggio afoso, estivo e torrido, una città semideserta di strade fatte tutte perpendicolari e parallele tra loro (quadrivi meridiani) dove però, a seconda dell'ora, l'ombra che porta ristoro arriva.
e anche i ricordi, seppur spettrali, diventano amici perchè ci riportano a quell'ingenuità infantile che l'uomo perde crescendo.
uhhhh!!! ho bisogno di bere!!! ;D
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mi piace l'interpretazione del conte, sì sì, terra terra e plausibilissima, anche se, il Tu dell'ultima strofa, in relazione alla sua interpretazione, perde di senso.
il Tu è riferito al "bambino", ma se il bambino è egli stesso, la seconda persona è inadeguata.
mi sono chiesta anche io l'accostamento a Withman, ma, onestamente, non sono riuscita a decifrarlo... i giri mentali di ciascuno di noi, nel momento in cui scrive, non sono quasi mai interpretabili, sono "fuori" dalla possibile comprensione di ciascun lettore esterno, a volte addirittura dell'autore stesso.
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Camminare tra i marmi
e gli echi, i tacchi
-le mani giunte-
è come ritornare in cima
alle guglie
(una T rossa gronda
abbagli d'orrore)
Filtrami tra i colori del rosone
scomponimi primitivo
caleidoscopico, radiale
Richiamami il sonno
(il pavimento è freddo
sotto la schiena)
-zima-
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Camminare tra i marmi
e gli echi, i tacchi
-le mani giunte-
è come ritornare in cima
alle guglie
(una T rossa gronda
abbagli d'orrore)
Filtrami tra i colori del rosone
scomponimi primitivo
caleidoscopico, radiale
Richiamami il sonno
(il pavimento è freddo
sotto la schiena)
-zima-
lasciami occhi e mani
se sono le tue a graffiarmi
(cento volte affissi ai cortili quei giorni)
ritornano orbite e cupole
incubi meridiani disseppelliti
bambini a spalancare sipari
orli di cattedrali
invisibili
e fra gesti e caos
noi
corrugati come acque
smarriti come tesori
(siamo destinati al silenzio)
- avvicinati
non sentirai più freddo -
neroscarlatto ;D
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;D eh beh, mica posso essere da meno, scusate... ehehehehe ;D
a parte che sono finite le bevande e le torte ...quindi non mi resta altro che...
così m'intrufolo senza tacchi
li ho lasciati all'ingresso dei cortili
oltre le volte di cemento
non ci sono più rosoni
li hanno demoliti
forse per questo i bambini
urlano io preferisco dormire
e cancellare questo balcone
si affaccia proprio davanti alla cattedrale
e io lo sai ho in orrore
le T che grondano sangue!
meglio che non mi firmo io...hihihihi ;D
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Camminare tra i marmi
e gli echi, i tacchi
-le mani giunte-
è come ritornare in cima
alle guglie
...
(il pavimento è freddo
sotto la schiena)
-zima-
muore infante quel grido tra le mura riarse
orma di tagli, sputi e balaustre lise
coi preti che chiamano al cospetto
di un dio da latitanti il vento,
unico indizio, sotto i porticati
anime antiche, le corde di
panni stesi sopra i ballatoi,
e voci inascoltate, dense
che ti ritrovi a mille paralleli
e poi il ritorno che ti piscia dentro
come un nugolo di vespe
e quelle gambe nude
del giorno in cui partisti
adesso però taci, è mezzogiorno
portami sotto l’ombra del cipresso
dentro le nuove mura il sonno
inceppa agli angoli degli occhi
è la mia terra
è fredda sotto la schiena
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muore infante quel grido tra le mura riarse
orma di tagli, sputi e balaustre lise
coi preti che chiamano al cospetto
di un dio da latitanti il vento,
unico indizio, sotto i porticati
anime antiche, le corde di
panni stesi sopra i ballatoi,
e voci inascoltate, dense
che ti ritrovi a mille paralleli
e poi il ritorno che ti piscia dentro
come un nugolo di vespe
e quelle gambe nude
del giorno in cui partisti
adesso però taci, è mezzogiorno
portami sotto l’ombra del cipresso
dentro le nuove mura il sonno
inceppa agli angoli degli occhi
è la mia terra
è fredda sotto la schiena
;) un inchino al conte!! Gran bel testo.
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ma che braviiiii!!!!!!!!! :o ;D (qui nn c'è l'omino che batte le mani! :( )
sìssìssì... bravissimissimi!!! :D
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;) un inchino al conte!! Gran bel testo.
Grazie nero il tuo non è da meno ;)
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Stamattina voglio passare dal macabro al... meno macabro! ;D
abbiamo scovato (Mirella ed io che ormai facciamo coppia fissa! ;) ) un'altra autrice che ci ha letteralmente "catturato" tra le sue parole! sono stata tutta la serata a leggerla, ieri, e stamattina non sapevo quale poesia proporre! forse è il prossimo gradino che aspiro di salire, non so...
Anila Resuli, 28 anni, nata in Albania vive in Italia da un po'. Ha all'attivo diverse pubblicazioni in antologie poetiche e non.
ha il suo sito web (http://www.anilaresuli.com/) nel quale abbiamo scovato le poesie che riporto dalla raccolta "Parodia a scale" edizioni Foglia
forma a scatola mnemonica
odi l'urlo, il silenzio dei passi,
l'urna tormentata della bocca
spalancata a udire
dimenticanze e scarti;
l'uscio qui, sorveglia già gli occhi,
l'onda spessa che sulle finestre
prende vita e chiama:
dove odi suoni, dove? – dimmi.
Singolo e stretto i l c i g l i o
- ti dirò -sorveglia la pupilla
e stenta a credere che l'orizzonte
abbia più chiavi di lettura - s'inebria
il fiato
e mendica due parole sole
nel ventre; il grembo
distingue il colore della pelle
e sembra partire su strade ferme
col dimenticare
Color ginepro
il ramo al collo pare un cappio
sorretto dal cielo per pietà – fossimo
ancora ebbri e distesi sui nostri corpi
a tramandare la memoria
così così ancora
a patire – il limbo è la vita stessa delle cose
l’essenza del perdere ciò che dato
inguaiato al labbro si ridà
sottoforma di suono –
e qui è qui – come lo stesso colore
sul muro delle case – in fila lo sguardo
incrocio di uno e un altro e un’altra forma
da spargere per dirsi pensiero
riesco a leggere estrema sensualità nei suoi versi, un bisogno di rendere tutto tattile, fisico che regala alle parole immediata percezione sulla pelle e negli occhi, nelle orecchie...
quelle che ho scelto, l'ultima in particolare, si riaggancia al tema di Chianese, anche se un po' alla lontana e anche se con uno stile completamente diverso.
insomma!!!... basta parlare...
OCCUPIAMO!!!! ;D
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Una scrittura femminile, questa volta, da "occupare" lasciando che siano tutti i sensi a vibrare... ;) e come potrebbe essere diversamente?
Di primo acchitto, quello che mi colpisce di quest'autrice, oltre alla meravigliosa capacità evocativa, alla fluidità del verso, è questo - spazio - dove la parola diventa "memoria", scandita in ritmi differenti: ricordi che sembrano quotidiani danno il pretesto alle sensazioni di scandire tempi, pause, voci e suoni ancestrali per poi tornare ad essere dimensioni fisiche, tattili.
sisisisi.. un bel posto dove sedersi e gustare la bellezza! :D
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Ciao a tutti,
mi permetto di contribuire a questo forum che sto seguendo con attenzione. Premetto, che personalmente trovo complicato " occupare " la poesia altrui; però posso dire che la poesia riportata da Zima , quella di Anila e precisamente " Color ginepro " , mi ha ispirato qualcosa che però ho deciso di non postare qui altrimenti non avrei potuto pubblicarla. Però ci tengo a dirvi che vi seguo e che le sensazioni ricevute dalla poesia su detta mi hanno emozionato e che ritenevo doveroso rendere fruibile a tutti e non solo qui nel forum che, forse, seguono in pochi. Il risultato l'ho appena pubblicato ma non è ancora in prima pagina perchè sono in training . Il titolo è " Del non pensiero ".
Grazie. Buona giornata. Stefano.
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... personalmente trovo complicato " occupare " la poesia altrui; posso dire che la poesia riportata da Zima , quella di Anila e precisamente " Color ginepro " , mi ha ispirato qualcosa che però ho deciso di non postare qui altrimenti non avrei potuto pubblicarla. Però ci tengo a dirvi che vi seguo e che le sensazioni ricevute dalla poesia su detta mi hanno emozionato e che ritenevo doveroso rendere fruibile a tutti e non solo qui nel forum che, forse, seguono in pochi. Il risultato l'ho appena pubblicato ma non è ancora in prima pagina perchè sono in training . Il titolo è " Del non pensiero ".
Caro Stefano, io credo che invece tu l'abbia proprio "occupata" la poesia di Anila, in quanto entrandoci ha fatto scaturire in te delle emozioni, tanto da ispirarti altri versi... e questo, per noi, è un gran bel modo di farla propria, che ne dici? E poi il nostro intento è far sì che dal confronto nasca qualcosa di bello, sississi, è un bel modo di farla propria, ci si avvicina con tutti i sensi, la si respira e poi la si lascia andare... la poesia, come un respiro, come una boccata di ossigeno che nutre di bellezza e armonia.
A me ha ispirato queste parole...
un passo e un urlo
spalancato all'uscio
senza rumore
- non ancora - silenzio ai polsi
e il suono che rimbalza
ha margini di globi rossi
altre chiavi
senza soglie da cui affacciarsi
lo sguardo cade
nei disegni della mano
prologo al verbo spogliarmi di parole
e lasciare
che la forma delle labbra
muti al resto
di quello che ho da dire
solo luce attesa battito
respiro
-
caro Stefano, il tuo contributo è prezioso! :)
ho letto la tua poesia e bhe... è stato un bellissimo modo per occupare, ma soprattutto per farsi occupare dalla poesia di Anila... infondo non è tutto qui? la magia, la meraviglia di ciò che un accostamento di parole riesce a provocare dentro di noi?
qualcuno ha detto che i poeti sono solo i classici... bhe, mi sto rendendo conto che ci sono tanti di quei poeti contempoanei che non si smetterebbe mai di leggere e rimanere estasiati! :)
Mire, anche la tua è molto molto bella, riassume quella necessità assoluta di denudarsi del verbo che abbiamo dentro, che da pensiero diventa parola e quindi suono... :)
e invece le mie sono queste, che però, oltre ad occupare le precedenti, si donano ad una persona... che sa! ;)
Le chiavi perforano distanze
e la pupilla accostata alla porta
s p a l a n c a l’abisso
spia il letto – i capelli
coperte sugli occhi-
seta che traspare
da una gioia
guarda le mani, le braccia
stese come orizzonti
in attesa
e il ticchettio è fermo – incastrato
nelle gerle d’acqua, di fiori
di peschi.
-
"Singolo e stretto i l c i g l i o
- ti dirò -sorveglia la pupilla
e stenta a credere che l'orizzonte
abbia più chiavi di lettura - s'inebria
il fiato
e mendica due parole sole
nel ventre; il grembo
distingue il colore della pelle
e sembra partire su strade ferme
col dimenticare
In questa testo davvero molto interessante, come gli altri di questa autrice, trovo che ci sia una volontà di andare oltre le apparenze, ricercando logiche diverse, nuovi modi di essere, nuove strade, ripartendo dal centro di se stessa e qui ritorna la memoria, ancestrale, della vita, delle possibili nuove nascite, intese come una trasformazione.
Gli ultimi versi mi fanno pensare al ritorno all'intuizione, come se dal grembo potessimo distinguere ogni cosa, partecipare a futuri possibili, partendo da capo, col dimenticare, appunto, come quando "rinasciamo" e tutto ricomincia senza il peso di ciò che è stato, avvenuto, senza il fardello dell'esistenza passata.
-
Bellissima interpretazione, Nero! ;) oltretutto è quello che ho percepito anche io nella seconda parte del testo.
la prima invece, ha un'immagine che cattura, il ciglio stretto a sorvegliare la pupilla, come se questa fosse in procinto di evadere, per sconfinare in universi paralleli. l'idea che mi è venuta in mente è stato associare al ciglio il ruolo di sentinella limitatrice, razionale e difatti questa "stenta a credere che l'orizzonte abbia più chiavi di lettura" è solo una linea di confine, sembrerebbe, tra cielo e mare, mentre la pupilla si allarga e si restringe a seconda della luce, si dilata e perfora gli spazi, vede oltre e immagina, nel ruolo del sentimento. l'orizzonte è una porta oltre la quale moltissimo si nasconde ai nostri occhi.
non so... mi viene in mente L'Infinito leopardiano
"Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo;..."
interminati spazi ed infinite chiavi... :)
-
non ho dimenticato le "due parole" che il fiato chiede, solo mi prendo il tempo di pensare...
potrebbero essere proprio quelle finali "col dimenticare"... o chissà quali altre, che il lettore potrà immaginare a proprio piacimento e che invece per l'autrice rimangono intimamente private, tanto da non dare loro un nome. chissà! :angel: :D
-
ora una comunicazione di servizio, una richiesta alla redazione:
poichè da questo topic sono nati alcuni componimenti pregevoli, ispirati alle poesie proposte, chiedo uno strappo alla regola.
sarebbe possibile, a discrezione e buon gusto dell'autore, inserire i suddetti componimenti e quelli che eventualmente ne nasceranno nel sito?
d'altra parte non si tratta di poesia sperimentale, nè di gioco poetico, nè tantomeno di plagio, ma di semplice ispirazione dalla bellezza, come da un quadro o da una musica, cosa che spessissimo avviene di fare. inoltre, la possibilità di pubblicare nel sito questi componimenti, ne tutelerebbe il diritto d'autore, credo legittimo. ;)
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ora una comunicazione di servizio, una richiesta alla redazione:
poichè da questo topic sono nati alcuni componimenti pregevoli, ispirati alle poesie proposte, chiedo uno strappo alla regola.
sarebbe possibile, a discrezione e buon gusto dell'autore, inserire i suddetti componimenti e quelli che eventualmente ne nasceranno nel sito?
d'altra parte non si tratta di poesia sperimentale, nè di gioco poetico, nè tantomeno di plagio, ma di semplice ispirazione dalla bellezza, come da un quadro o da una musica, cosa che spessissimo avviene di fare. inoltre, la possibilità di pubblicare nel sito questi componimenti, ne tutelerebbe il diritto d'autore, credo legittimo. ;)
Ok, trovo questa iniziativa molto interessante.
Felice giorno a tutti,
Elisabetta
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Permettetemi un commento un po’ controcorrente. Premetto però due osservazioni. La prima è che generalmente non entro nel merito e dettaglio di una poesia ma la colgo piuttosto nel suo complesso. Al di là dell’istintivo mi piace-non mi piace è il suo “significare” che importa. Generalmente trovo più “significanti” le poesie che schiudono e propongono un sentire ampio e profondo (dilatazione dell’immagine e della parola, e-spiro) anche se mi soffermo e apprezzo anche la scrittura prettamente introspettiva (chiusura, in-spiro).
Questa poesia è del genere “non mi piace”. Leggo e avverto una “descrizione d’attimo”. Il riposo dell’autore disturbato dal pianto di un bimbo. Nel torpore del risveglio, che suscita un immaginario sofferto e insofferente, il pianto diviene il simbolo del dolore di vivere e il bambino l’uomo dalle strade chiuse, dalle cattedrali sulle spalle, l’adulto degli affissi oculari che non ha più la sensorialità ottusa (rabbrividisco..) e l’apertura infantile. Non conosco bene Whitman e non comprendo bene l’accostamento con “Fantozzi”. Un confronto tra ideale e reale? Oppure una presa in giro, forse anche in chiave religiosa (di chi porta cattedrali sulle spalle).
In definitiva, un testo (permettemi) sgradevole, troppo pieno di accenni dotti e saputi.
La poesia non ha bisogno, per lo più, di tutto ciò.
-
Salve…ho trovato molto interessante questa iniziativa, e devo ringraziare Neroscarlatto per avermi suggerito questo forum. Partendo dal presupposto che è la prima volta che mi cimento
in quest’arte dell’ “occupare” , ho provato comunque a incanalarmi in questi versi per trarne un qualcosa di mio e condividerlo.
Sulla prima poesia di Chianese, ho trovato molti spunti di riflessione, a partire dall’uomo, che per quanto sogni un libero arbitrio, è soggetto ad un fato anteposto alla nascita, un qualcosa di statico che non da scampo alla libera persona, al suo mutare
(E il bambino è uno,
sessile e primevo, dalle acque.
La strada da un lato
la chiude la macelleria, dall’altro i cifrari
del ritorno: mai che uno straccio,
qui e sui balconi, distrugga il vento.) ;
passando poi per il divenire dell’uomo che cresce in sé il peso di tante aspettative o modelli circostanti
(Pochi si accorgono
di portare cattedrali sulla schiena
- dacché è nato, dacché
egli è nato…magari anche “dove” è nato);
e infine la strofa finale: io quel “Tu” l’ho interpretato come un richiamo all’infante che è dentro ognuno di noi e che richiama gli spettri primevi che il coraggio ancora rifiuta di affrontare
(Tu lasciami la sensorietà ottusa
del sonno anche nei quadrivi meridiani
che ancora
l’ombra – l’ora – visitano
e stancamente
gli spettri amicali(lo saranno davvero?) dall’infanzia).
I primi versi mi hanno appunto questa impressione in quanto vi ho letto di
“un uomo che nella notte resta fisso ad ascoltare quel bambino (chissà lui stesso?) che lo richiama anche cento volte”
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Permettetemi un commento un po’ controcorrente. Premetto però due osservazioni. La prima è che generalmente non entro nel merito e dettaglio di una poesia ma la colgo piuttosto nel suo complesso. Al di là dell’istintivo mi piace-non mi piace è il suo “significare” che importa. Generalmente trovo più “significanti” le poesie che schiudono e propongono un sentire ampio e profondo (dilatazione dell’immagine e della parola, e-spiro) anche se mi soffermo e apprezzo anche la scrittura prettamente introspettiva (chiusura, in-spiro).
Questa poesia è del genere “non mi piace”. Leggo e avverto una “descrizione d’attimo”. Il riposo dell’autore disturbato dal pianto di un bimbo. Nel torpore del risveglio, che suscita un immaginario sofferto e insofferente, il pianto diviene il simbolo del dolore di vivere e il bambino l’uomo dalle strade chiuse, dalle cattedrali sulle spalle, l’adulto degli affissi oculari che non ha più la sensorialità ottusa (rabbrividisco..) e l’apertura infantile. Non conosco bene Whitman e non comprendo bene l’accostamento con “Fantozzi”. Un confronto tra ideale e reale? Oppure una presa in giro, forse anche in chiave religiosa (di chi porta cattedrali sulle spalle).
In definitiva, un testo (permettemi) sgradevole, troppo pieno di accenni dotti e saputi.
La poesia non ha bisogno, per lo più, di tutto ciò.
Al di là della leggera contraddizione (evidenziata) che leggo nel tuo commento (prima dici che non vuoi liquidare con un "mi piace - non mi piace " e poi finisci per fare proprio questo), ben vengano i commenti controcorrente quando sono argomentati bene. Fermo restando che ognuno esprime il proprio parere su un brano e che tu hai espresso il tuo dissenso, non vedo l'ora di leggere qualcosa che mi faccia capire la bellezza intrinseca di un tuo testo scritto senza "accenni dotti e saputi".
Anche qua se mi consenti c'è stata una contraddizione: critichi i brani dotti e poi fai una sbrodolata di saccenteria nel tuo commento.
Mi piace chi porta il suo punto di vista in una discussione, mi piace un po' meno chi liquida la discussione con due frasi pompose frettolosamente e senza nemmeno soffermarsi sui possibili significati del testo in questione.
Per carità, se a me non fosse piaciuto lo avrei detto esattamente come hai fatto tu, ma magari mi sarei risparmiato gli ultimi due periodi.
-
Come prima detto, ho cercato di fare miei questi versi e le riflessioni annesse ricavando questo spunto che con voi condivido.
(chiusi i cancelli dell’essere)
- essere è farsi –
vello originario
svestito della seta
vede il cardine perdersi
là dove il vento
ricuce gli spettri amicali
i brandelli consorti
ancorano stagioni in grembo
gotici infissi nell’aere
puntali cuneiformi
- un grido -
che dall’ombra assaporano
solo il silenzio.
-
benissimo!! ;D
voglio ringraziare Ely per il permesso accordato e per il suo apprezzamento! ;D e Caresse e Relavius per il loro contributo critico e non solo! ;)
i due autori proposti finora hanno stili completamente differenti, uno abbastanza "dotto" come l'ha definito Caresse, l'altra molto meno e credo si avvicini di più al concetto di e-spirazione di cui si è parlato. in entrambi i casi ci troviamo di fronte ad una poesia diversa da quella che possiamo leggere nel nostro sito, e questo vuole essere lo scopo del topic: leggere alt(r)o per aprirci gli occhi, per guardarci intorno e per pensare a possibili nuove forme nelle quali incanalare i nostri sentimenti. per farlo abbiamo scelto e continueremo a scegliere autori contemporanei ma già affermati in qualche modo ed ogni contributo, anche con la proposta di nuovi autori e nuove poesie, è sempre gradito!
poi è naturale che subentra il gusto personale, che qualcosa possa piacere o non piacere, ma il confronto è quello che ci preme.
da quello che ho capito, Caresse, quello che di Chianese non ti è piaciuto è semplicemente il linguaggio dotto, perchè il concetto espresso si amplia da uno scenario introspettivo fino a toccare temi esistenziali e umani con una miriade di possibili interpretazioni.
per me la poesia è questo respiro, che si infonde al lettore, la possibilità di aprire la stessa porta con molte chiavi diverse e questo la poesia in questione e anche le altre proposte, lo fanno eccome! :)
-
Come prima detto, ho cercato di fare miei questi versi e le riflessioni annesse ricavando questo spunto che con voi condivido.
(chiusi i cancelli dell’essere)
- essere è farsi –
vello originario
svestito della seta
vede il cardine perdersi
là dove il vento
ricuce gli spettri amicali
i brandelli consorti
ancorano stagioni in grembo
gotici infissi nell’aere
puntali cuneiformi
- un grido -
che dall’ombra assaporano
solo il silenzio.
Mi piacciono i tuoi versi Relavius, trovo che sei riuscito ad entrare nell'atmosfera dell'autore. E' un contributo interessante il tuo punto di vista e occupare questo spazio, regalandoci una poesia, credo sia per noi uno stimolo a continuare in questa impresa che per noi è fonte di arricchimento e crescita.
Mi rendo conto che alcuni generi possano non piacere, forse perché non immediatamente fruibili, però, credo che possano essere di stimolo, a leggere qualcosa di diverso, appunto come ha già detto Zima. Cimentarsi con qualcosa diverso da noi ci permette di uscire dai cardini del "solito personaggio", in cui tutti ricaschiamo abitualmente. E questo significa allargare le proprie vedute, sprovincializzarsi, entrare in altre logiche e, io credo che faccia solo bene a comprendere non solo noi stessi ma anche gli altri, i cosiddetti diversi (da noi, beninteso).
-
Occupo anche io :)
..raccolgo e disfo
del canto un cielo
fu quello di Berlino
un muro che non c’era
e l’angelo delle tue mani
infanzia
a mescolare voci
inchiodar le braccia al vischio
e poi dimenticare
uno solo dei pensieri
povertà di crescita
che poco stringe nei suoi seni
e tanto lascia al grigio della strada
ma una scala per l’inferno
la caparbietà dell’universo
l’incapacità di stare fermi
e l’uomo così poco ovvio
nel tessere il silenzio
di un solo gradino per la mia casa
che semina via il vento del precedere
vecchiaia
ed una croce..
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Come prima detto, ho cercato di fare miei questi versi e le riflessioni annesse ricavando questo spunto che con voi condivido.
(chiusi i cancelli dell’essere)
- essere è farsi –
vello originario
svestito della seta
vede il cardine perdersi
là dove il vento
ricuce gli spettri amicali
i brandelli consorti
ancorano stagioni in grembo
gotici infissi nell’aere
puntali cuneiformi
- un grido -
che dall’ombra assaporano
solo il silenzio.
Rel..che dire..senza parole :o
-
non mi addentro in un'analisi... per cui non ho competenza...
ho solo qualche parola che mi ha scaturito...
smettete le vostre chiese
che portate a spasso
con volti di compiaciuta sofferenza
confessa!
non sopporti quell'urlo bambino
che penetra la mente
tu vaghi alla ricerca del tuo quarto di giorno
di un punto fra i quattro cardinali
mentre i mercanti ti chiudono la via
e non sai seguirmi
io ho decrittato il sogno
non massacratemi...... io l'ho fatto solo per i biscotti!!!!!!!! ;D
-
smettete le vostre chiese
che portate a spasso
con volti di compiaciuta sofferenza
confessa!
non sopporti quell'urlo bambino
che penetra la mente
tu vaghi alla ricerca del tuo quarto di giorno
di un punto fra i quattro cardinali
mentre i mercanti ti chiudono la via
e non sai seguirmi
io ho decrittato il sogno
!
Io credo che basti l'entusiasmo!! Belli i tuoi versi, Amara e anche quelli di Frammento, brave!! E poi i biscotti e la compagnia non sono male, eh? ;D ;D
-
!
Io credo che basti l'entusiasmo!! Belli i tuoi versi, Amara e anche quelli di Frammento, brave!! E poi i biscotti e la compagnia non sono male, eh? ;D ;D
ahahahaha, bravo Nero! concordo con te ;), c'è posto per tutti e i biscotti li sforniamo tutti i giorni! ;D...
-
Visto che la compagnia si fa sempre più numerosa, oltre alle vettovaglie, voglio portarvi, oggi, una bellissima poesia di un autore che amo molto: Erri De Luca.
Nato a Napoli il 20 maggio del 1950, è giornalista politicamente impegnato, scrittore e traduttore.
http://www.windoweb.it/guida/letteratura/biografia_erri_de_luca.htm
VOLTI
Chi ha steso braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l’aria, chi ha legato
all’albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi: questi sanno
che le acque hanno volti.
E sopra i volti affiorano
burrasche, bonacce, correnti
e il salto dei pesci che sognano il volo.
-
Rieccomi,
scusate, divago un attimo, ma questo forum mi sarebbe molto piaciuto viverlo " in diretta " magari dopo una parca cena . In ogni caso, l'ultima poesia proposta da Mirella, di erri De luca, mi ha evocato le emozioni provate quando scrissi qualcosa tempo fa che ho già pubblicato ma che ora non è più nel sito e che non ripubblico ma posto volentieri in questo forum .
Terramare
E scriver le rughe
su fogli di acqua
limpidi:
onde di sacro
sferzano pensieri infidi.
La notte sinuosa
la notte si veste a sposa
e le mogli mordevano
acerbi attese
e il porto era un bacio,
era il seno dell'acqua e del ritorno.
Brandite le reti dall'immenso
voi che l'affidaste a una carezza,
sollevate le stelle agli occhi!
Tormente di speranza
incontrammo al largo
e l'azzurro era già bacio
dove la poesia intreccia le dita
alle ceneri più cruente
e l'aratro
affonda le dita nella pelle
nell'emozione del grano
slanciato al cielo.
Così scandimmo la pula
e del sorriso se ne fece pane,
solo la menzogna fu terra
e la sua ira morì sussurro
tra le mani dell'azzurro.
Buona giornata. Un sorriso.
-
E' stato difficile scegliere una poesia di Erri De luca da farvi leggere in questo topic, perchè sono tutte talmente belle da non sapere quale proporvi per prima. Ehehehehe... me ne sono innamorata!! ;D, poeticamente parlando, eh? ;D
Alla fine, "Volti", mi è sembrata quella che più naturalmente si lega, per il riferimento al tema della memoria, ai testi che vi abbiamo portato da "occupare".
Come molte delle sue poesie, "Volti" (da Opera sull'acqua e altre poesie, edito da Einaudi) è impregnata di una dolce malinconia, che si assapora, gustandola lentamente, socchiudendo gli occhi... "gli occhi assorti nel buio del respiro", " chi si è immerso nel fondo di pupilla", "il salto dei pesci che sognano il volo", questi versi si percepiscono con tutta la sensorialità di cui siamo capaci.
Per deformazione professionale, tutte le volte che vengo a contatto con una "parola" fortemente evocativa, ecco che si aprono scenari legati al colore, alle forme, ai chiaroscuri, agli spazi e ne ho una sensazione tattile, olfattiva molto intensa. Questa poesia conserva tutto il fascino della Memoria, così legata all'acqua, come elemento, e anche alla storia dell'umanità.
Adesso, però, mi fermo e ve la lascio leggere con calma... ;)
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Terramare
E scriver le rughe
su fogli di acqua
limpidi:
onde di sacro
sferzano pensieri infidi.
La notte sinuosa
la notte si veste a sposa
e le mogli mordevano
acerbi attese
e il porto era un bacio,
era il seno dell'acqua e del ritorno.
Brandite le reti dall'immenso
voi che l'affidaste a una carezza,
sollevate le stelle agli occhi!
Tormente di speranza
incontrammo al largo
e l'azzurro era già bacio
dove la poesia intreccia le dita
alle ceneri più cruente
e l'aratro
affonda le dita nella pelle
nell'emozione del grano
slanciato al cielo.
Così scandimmo la pula
e del sorriso se ne fece pane,
solo la menzogna fu terra
e la sua ira morì sussurro
tra le mani dell'azzurro.
Mi ricordo molto bene di questa tua poesia, l'avevo trovata stupenda e ritrovarla qui mi fa molto piacere. Inoltre è perfetta, in tema con la poesia di Erri De Luca
Un abbraccio.
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Leggendo un pò tra tra le poesie di Alina quella che più mi ha suscitato emozioni è stata “Singolo e stretto il ciglio…” , in essa vi ho letto la ricerca dell’intimo, del viscerale senso dei giorni, oltre gli occhi, che guardano all’esterno occultando l’anima che, innata, raccoglie le orme che lasciamo indietro e, innata, richiama ai passi il futuro.
Scavando un pò nell'introspezione ho cercato di dare un senso a tutto questo!
L’iride fisso s’espande
alla linea separatrice dei due mondi
non guarda dietro
non può
non oltre l’orizzonte
il canale è vecchio
e il viandante vi è già passato
lasciando debole traccia
nell'indistinta polvere
a fari spenti blocco la sembianza
circuitando pelle di anima e sangue
e nel suono ho il risvolto che rispecchia
il cammino dietro stante
l’armonica traccia la nota
nel ventre* di una lunghezza d’onda
e scinde il grembo dalla forma
delineando l’avvenire intrinseco.
(*ventre : punto nel quale l’oscillazione ha la sua massima ampiezza)
Un saluto a tutti!!! ;)
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Al di là della leggera contraddizione (evidenziata) che leggo nel tuo commento (prima dici che non vuoi liquidare con un "mi piace - non mi piace " e poi finisci per fare proprio questo), ben vengano i commenti controcorrente quando sono argomentati bene. Fermo restando che ognuno esprime il proprio parere su un brano e che tu hai espresso il tuo dissenso, non vedo l'ora di leggere qualcosa che mi faccia capire la bellezza intrinseca di un tuo testo scritto senza "accenni dotti e saputi".
Anche qua se mi consenti c'è stata una contraddizione: critichi i brani dotti e poi fai una sbrodolata di saccenteria nel tuo commento.
Mi piace chi porta il suo punto di vista in una discussione, mi piace un po' meno chi liquida la discussione con due frasi pompose frettolosamente e senza nemmeno soffermarsi sui possibili significati del testo in questione.
Per carità, se a me non fosse piaciuto lo avrei detto esattamente come hai fatto tu, ma magari mi sarei risparmiato gli ultimi due periodi.
Mi spiace constatare che, anche qui, ci sono persone pronte a "prenderla sul personale" e partire all'attacco senza soffermarsi a riflettere.
Non ho mai detto di volermi fermare al mi piace-non mi piace. Sicuramente è uno scoglio, e credo non solo per me (evviva la franchezza.... ) In questo caso, trattandosi di un sit-in in questo testo, ho cercato di soffermarmi e trovare una chiave di lettura: Evidentemente sono anni luce dal sentire dell'autore, e anche la rilettura non mi ha detto granchè, continuando a lasciarmi un cero malessere e avversione-
E dove sarebbe, scusa, la sbrodolata di saccenteria? (ah... grazie... sei veramente gentille, evidentemente so più di quello che penso di sapere... ). Quanto a ciò che scrivo, sono ben lontana da raggiungere una bellezza intrinseca ( neanche estrinseca, a dire il vero). Ah... ma mi sforzerò... Non mancherò di scrivere, per farti piacere, qualcosa di ... stupefacente-
Suggerisco alle creatrici dell'iniziativa una moderazione dei commenti.
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porto un po' di vettovaglie varie per Amara e i sui splendidi versi... ;)
e per mia moglie e il suo cielo sopra berlino! :-*
Rel... hai ragione, quella poesia di Anila è molto bella e dà spazio a molissime riflessioni e suggestioni, come molte di quelle che ho letto sue. a me però ha colpito l'ultima che ho riportato, anche se non sono riuscita ad addentrarmi in una analisi... ma spero di riuscire a ritornarci! ;)
Stefano, molto bella la tua poesia, che ricordavo già e che si addice a quella di Erri De Luca! :D
è un autore del quale credo mi innamorerò anche io!! hihihihhi
e tornerò presto ad occupare ;D i suoi versi!
a caresse e conte: il confronto è ben accetto, vi siete scambiati le vostre idee, avete ribattuto e...ok! ognuno ha detto la sua, ma cerchiamo di lasciare a questo spazio la serenità che merita! ;)
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Chi ha steso braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l’aria, chi ha legato
all’albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi: questi sanno
che le acque hanno volti.
E sopra i volti affiorano
burrasche, bonacce, correnti
e il salto dei pesci che sognano il volo.
le acque hanno volti... come dice mirella, ho percepito anche io il gusto della memoria legata all'acqua, ai fiumi e ai mari. i volti di chi è passato prima di noi, e che fluiscono nelle correnti. quelli che ci sentiamo addosso ogni volta che ci immergiamo e che ci scorrono davanti come fotogrammi quando la guardiamo. trovo questo scritto profondamente spirituale, ricco di passato, ma anche di futuro e di speranza (il salto dei pesci che sognano il volo) e nella sua spiritualità lo trovo tutto terreno, legato alla vita di ognuno di noi, nelle burrasche, nelle bonacce da affrontare, nelle correnti da seguire o da risalire controcorrente, nei sogni...
l'ultima immagine è quella che mi dà una certa malinconia e mi trasmette quasi rassegnazione: uno slancio verso il cielo e un ricadere, irrimediabilmente, sotto...
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Chi ha steso braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l’aria, chi ha legato
all’albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi: questi sanno
che le acque hanno volti.
E sopra i volti affiorano
burrasche, bonacce, correnti
e il salto dei pesci che sognano il volo.
L'ho letta e riletta, e concordo già con quanto è stato detto. Vorrei aggiungere, che questi versi mi suggeriscono un vissuto non solo, come è ovvio, legato al mare, ma anche di chi il mare lo attraversa costantemente, chi non ha paura di "stendere braccia al largo" di avventurarsi nell'ignoto della vita, di immergersi profondamente per scoprirla "nel fondo di una pupilla di una cernia intanata dimenticando l'aria"... chi osa e crede ai sogni a costo della vita... "chi ha legato all'albero una tela" ed è salpato.
E allora, forse solo coloro che sanno scegliere, che sanno affrontare ogni pericolo, con fantasia, con poesia, solo loro "sanno" che le acque hanno volti e forse sono quelli di una umanità vera, in cui riconoscersi...
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Nella prefazione alla raccolta di poesie "L'ospite incallito", edito da Einaudi, Erri De Luca scrive:
"E non disse.
E disse: un diluvio di volte nella scrittura sacra si legge della divinità: " E disse". La poesia comincia quando quella smette di dire. Quando l'ascolto, organo celeste e visionario, è arrivato fino alla capacità di Elia di intendere quella voce dentro il fruscio "di silenziosa polvere sottile", la divinità smette di dire. Ha educato l'organo a percepire sillabe di bisbiglio.
C'è un punto nell'orecchio, un ossicino detto labirinto. Lì succede lo scambio tra la divinità che smette e la poesia che inizia come proseguimento. Nel vestibolo dell'osso labirinto le due voci si danno il cambio. Per un po' non si può stabilire quando una finisce e l'altra attacca. Per un po' la poesia è anche lei "voce di silenziosa polvere sottile"... Questa è la sommità da cui proviene la poesia. Stabilita la cima, ognuno può misurare verso il basso la quota raggiunta. Altimetro è il lettore..."
Senza ulteriori commenti, al momento, vi propongo altre due poesie tratte da questa raccolta.
STATUA DI CAINO
Ho acquistato un Caino di bronzo. E' già senz'arma,
sta mezzo girato, si stacca dall'agguato
a suo fratello e alla generazione.
E' più basso di me, la mano larga, stesa,
la urto di sfuggita o gliel'afferro apposta
per arresto. Non so se sia mancino,
se stringo la colpevole o quell'altra. So che è tardi.
C'è pure un Abele, sdraiato sul fianco,
il braccio sul volto a proteggere niente. Non l'ho preso,
il suo corpo chiedeva uno spazio che da me non c'è.
Caino è di passaggio, svelto a togliersi, Abele no, sta
a terra
a vedere la vita seguire come un cane l'assassino.
Abele non sa stare rinchiuso in una stanza,
caino sì, nell'umido dell'ombra, accanto ai libri
chiede il riparo che non è perdono.
CARTA
Da bambina vomitava l'ostia: senz'acqua
le sembrava di inghiottire carta.
Anch'io durante una perquisizione l'ho ficcata in gola
senz'acqua e senza vomito, la carta.
va giù meglio per emergenza che per devozione.
-
credo che ci siano diversi tipi di poesia, alcune dotte, altre complicate ma in un linguaggio semplice, alcune da interpretare, altre da sentire.
le poesie di questo autore, scritte in un linguaggio comprensibilissimo, sono capaci comunque di spiazzare, è come se portassero in sè una rivelazione, qualcosa che tutti sappiamo ma che non avremmo mai pensato di scrivere in quel modo. e allora vanno lette senza bisogno di commento, per quanto belle possano essere! ;D
queste due però, usano un simbolismo spiccato, entrambe religioso, la prima addirittura biblico.
Caino fu il primo assassino tra gli uomini ed è quella figura che funge da capro espiatorio per tutti i nostri "peccati", addirittura esiste l'associazione contro la pena di morte dal nome "non toccate Caino", così come nella bibbia fece dio, che lo esiliò, ma non lo uccise.
la descrizione della scena illustrata di De Luca, mi fa pensare a quanto siamo impotenti, inermi di fronte ai delitti efferati che si compiono ogni giorno, ma non solo agli omicidi nel senso stretto del termine, ma ai tradimenti, ai delitti verso l'umanità...
E' più basso di me, la mano larga, stesa,
la urto di sfuggita o gliel'afferro apposta
per arresto. Non so se sia mancino,
se stringo la colpevole o quell'altra. So che è tardi.
...
Abele no, sta
a terra
a vedere la vita seguire come un cane l'assassino
e poi mi riporta ad altre indescrivibili emozioni, ma in questo momento non saprei parlarne, anche se ci sarebbe tanto da dire.
aspetto che qualcuno mi schiuda la strada... ;)
ah, l'introdizione al libro è formidabile, poesia allo stato puro...;D
-
nasconditi
e lasciami un pezzetto
della tua ombra
dove anch'io
possa fingere cecità
lavati
dovessi vedere quel rosso
che di colpa cola sulle unghie
come potrei dire
'non sapevo'?
profumati
perchè se mai mi raggiungesse
l'afrore del tuo Male
si accorgerebbero tutti
che stringo una molletta sul naso
e tu
pianta vittima
santificati
così che pregandoti
possa assolvere il mio ghigno
che si nasconde
dietro l'occhio disonesto
attonito
in un un incolpevole stupore
la fuga ha il tuo sapore
..la sensazione della nostra indifferenza e mirabile capacità nel condannare, assolvere, guardandoci bene dal non cercare di capire...(forse perchè ci costringerebbe a riflessioni che amiamo ignorare).. è quella che più forte ho sentito leggendo De Luca...
ringrazio mirella per avermelo fatto conoscere.. perchè davvero lo sento molto vicino..
e ora... cibo e bumbaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!! ;D
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Innanzitutto faccio i miei più sinceri complimenti ad Amara 8)...la sua interpretazione l'ho trovata stupenda oltre che fluida nel suo discorrere...e l'ho sentita molto. A parte questa smanceria di poco conto 8) 8)...voglio condividere una mia riflessione!!!
Nella mente di Caino
Caino non dorme di notte, è adirato.
Non vede ragione che il bastone,
scortica le vene, medita l’inganno.
Abele è la sua sventura, il suo disarmo,
del suo sangue chiede acconto.
L’ombra è china a stillare il rancore
a levare l’onta del dissapore, tesa
caccia il demonio e svelta
consuma l’eccidio, né pentimento
né assoluzione. Abele è esanime,
con stupore, senza ardire scontro,
Caino è fermo sul divelto scalpo
con sguardo truce chiosa l’inganno.
Caino è stato il primo assassino della storia e dal mio punto di vista è anche il primo simbolo della natura umana che agisce nel puro istinto; è la matrice del temperamento asservito all’esistenzialismo piuttosto che all’essenzialismo. E’ l’uomo che diventa lupo, che caccia i suoi mostri ad alleviare il suo malessere. E non conta il fatto che appartenga al suo sangue il tributo da versare, la lucida follia lo acclama vincitore e vinto della caduca psiche umana.
In questi miei versi, più che cercare di occupare le tantissime emozione che la poesia di Erri De Luca mi ha offerto, ho cercato di fare mio il soggetto, Caino. E non l’assassino nell’atto di compiere il fratricidio, ma l’uomo che si rode nel petto, che tracima di rabbia, che in lucida follia immagina la strage nella quale egli vede appagato i suoi disturbi.
... ::) ehm ehm...tornando a cose più materiali...se fosse possibile gradirei anche io qualche dolcetto!!! ;D
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Il tema di Caino, ripreso dalla poesia di Erri De Luca è molto interessante. Come faceva notare Zima, Caino è simbolo di una violenza, di un delitto efferato, compiuto ai danni del fratello, ma è anche un esempio di come possano emergere, nell'animo umano, dei sentimenti che sono anti vita. Eppure, nonostante la colpa commenssa, l'assassino non è punito, anzi: " Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l'avesse incontrato". E in questo io trovo che ci sia un senso di giustizia non vendicativa, che persegue la condanna del reato, ma in maniera giusta.
C'è una frase di Alfredo Radiconcini, ripresa da "Nessuno tocchi Caino", l'associazione che si batte contro la pena di morte, che condivido pienamente, dice:
"Non è vero che il fine giustifica i mezzi, è vero il contrario, il fine è prefigurato e pregiudicato dai mezzi che usiamo per conseguirlo, e se il mezzo è violento, il risultato non può essere diverso, altro che violento, cattivo, ingiusto".
Io credo che una società che si costruisce con la violenza, che pone dei valori sul perseguimento dei diversi, che rifiuta l'essere umano e i suoi diritti, che fa uso della tortura negli interrogatori, che discrimina, allontana, scheda le persone, razzista, eccetera eccetera, è una società che non può che decadere e conseguire risultati sempre peggiori. Non è con i divieti, con le imposizioni che si costruisce una società sana, basata su valori equi, giusti, di tolleranza e amore, sulla solidarietà e il reciproco rispetto. Invece di divieti, forse dovremmo fornire soluzioni, aiuto concreto, rispetto, tolleranza e accoglienza...forse dovremmo ispirarci a comportamenti etici, piuttosto che rispondere alle paure con altre paure... forse allora capiremmo davvero il senso di cosa significa costruire ed educare ad un mondo migliore.
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Io credo che una società che si costruisce con la violenza, che pone dei valori sul perseguimento dei diversi, che rifiuta l'essere umano e i suoi diritti, che fa uso della tortura negli interrogatori, che discrimina, allontana, scheda le persone, razzista, eccetera eccetera, è una società che non può che decadere e conseguire risultati sempre peggiori. Non è con i divieti, con le imposizioni che si costruisce una società sana, basata su valori equi, giusti, di tolleranza e amore, sulla solidarietà e il reciproco rispetto. Invece di divieti, forse dovremmo fornire soluzioni, aiuto concreto, rispetto, tolleranza e accoglienza...forse dovremmo ispirarci a comportamenti etici, piuttosto che rispondere alle paure con altre paure... forse allora capiremmo davvero il senso di cosa significa costruire ed educare ad un mondo migliore.
Le considerazioni che Mirella ha fatto sono molto interessanti, dal mio punto di vista. La sincera ricerca dell'umana speranza all'interno del singolo indivuduo è la più grande sfida, intrigante sfida, della nostra esistenza.
Ci sono persone che si agglomerano in gruppi di studio per creare nel piccolo quell'ordine di cose che producono rispetto e crescita interiore, elementi base per dare forma e colori ad un futuro "diverso" (almeno in prospettiva).
A volte mi trovo a parlare con studenti i quali mi trasmettono sfiducia sulla base delle loro riflessioni metodiche alla vista di un mondo senza basamenti morali e che si auspicano un ritorno alle origini, senza troppe regole e tanto istinto di sopravvivenza...
Mi piacciono queste considerazioni, anche un po' fuori tema, ma scaturite da un testo di un autore che è stato un "rivoluzionario" per molti anni (Lotta Continua) e che per sua stessa ammissione ha cercato di cambiare il mondo politico in nome dei suoi "ideali", con la forza delle battaglie armate, con tanto di molotov e armi da sparo. http://www.melba.it/csf/articolo.asp?articolo=110
Nella vita si cambia, accettiamo nuove sfide e proviamo a dare un nuovo impulso al "sentire" l'anima.
Basta solo non dimenticarci chi eravamo...e quello che abbiamo fatto, a noi e stessi... e agli altri...e poi potremmo anche dire di essere pronti per un mondo migliore.
...divagazioni mentali dopo la lettura del testo ::)
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come non essere d'accordo con Mirella... e chi non vorrebbe un mondo nuovo che non faccia uso della violenza, delle torture, delle discriminazioni in nome della giustizia, della pace e dell'umanità... ed è assurdo vedere ogni giorno chi dell'Amore fa manifesto, dimenticare le proprie origini e continuare a discriminare, ad additare, ad emarginare chi è diverso.
ma sarebbe un discorso troppo lungo ed anche un po' retorico, che preferisco evitare.
tornando alla poesia e al proprio autore, certo, si può cambiare e lo si può fare solo tenendo sempre presente la propria storia, senza rinnegarla.
io credo che in ciascuno di noi ci sia un po' di Caino, quell'efferato agonismo che ci spinge ad utilizzare ogni mezzo per raggiungere uno scopo, quel desiderio fratricida che ci mette gli uni contro gli altri, in senso sia reale che figurato.
è la follia che ci scatta dentro di fronte ad un fallimento, l'invidia, la voglia di rivalsa.
nelle parole di questa poesia però, forse per mia indole, leggo una specie di pentimento... lo leggo nella contrapposizione tra la fuga (Caino è di passaggio, svelto a togliersi) e la necessità di un rifugio (chiede il riparo che non è perdono). un delitto ci costringe ad una prigione infinita, quella della nostra coscienza. chi si pente, in qualche modo, non chiede mai perdono... sa che non può averlo davvero.
Caino è di passaggio, svelto a togliersi, Abele no, sta
a terra
a vedere la vita seguire come un cane l'assassino.
Abele non sa stare rinchiuso in una stanza,
caino sì, nell'umido dell'ombra, accanto ai libri
chiede il riparo che non è perdono.
questi ultimi versi mi hanno oltremodo impressionato.
mettono in risalto la pochezza dei violenti e dei meschini che per sopravvivere devono starsene nell'ombra, fuggire dagli spazi aperti, in contrapposizione con il buono.
in questi versi io vedo la sconfitta di entrambe le parti, nella violenza non c'è mai vittoria. l'uno è costretto all'ombra e in quella "muore" metaforicamente, l'altro muore per davvero, guardando la vita seguire chi l'ha condannato, fedele, ancora, come un cane... ::)
vabbè... voglio fare pure io i complimenti a amara e rel... io non ho saputo mettere in versi nulla, riguardo a questa poesia, ma voi... oh sì! voi l'avete fatto egregiamente!
ci vuole una torta!!!! ;D
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Mi piacciono queste considerazioni, anche un po' fuori tema, ma scaturite da un testo di un autore che è stato un "rivoluzionario" per molti anni (Lotta Continua) e che per sua stessa ammissione ha cercato di cambiare il mondo politico in nome dei suoi "ideali", con la forza delle battaglie armate, con tanto di molotov e armi da sparo. http://www.melba.it/csf/articolo.asp?articolo=110
Erri De Luca fu uno degli ultimi dirigenti di Lotta Continua, un movimento dell'estrema sinistra degli anni '70, extraparlamentare e definito rivoluzionario, fondato da Sofri, Mauro Rostagno, ed altri che propugnavano una lotta con quello che veniva definito uno Stato borghese. Erano tempi difficili, si arrivava spesso a scontri con la polizia e con elementi dell'estrema destra.
Dopo lo scioglimento di L.C., avvenuta nel '76, alcuni dei membri aderiranno alla lotta armata, altri entreranno nei partiti dei Verdi e Radicale. De Luca non aderirà a nessuno di questi gruppi, specie quello della lotta armata. Nell'intervista, a cui si fa riferimento lo dichiara, così come non nasconde che nei tafferugli e gli scontri dell'epoca, venivano lanciate bombe molotov da una parte e dall'altra.
Non credo c'entri con la poesia in questione. Fa parte di un passato di uno scrittore che non ha mai nascosto le sue idee e le sue responsabilità, come hanno fatto molti.
Inoltre De Luca è un profondo conoscitore della Bibbia ed è uno dei traduttori maggiori di questo testo in altre lingue.
Per quanto riguarda la poesia in questione, quella su Caino, io vi leggo la consapevolezza di chi si è addentrato nei luoghi del terrore, della paura e della "necessità" (vedi la poesia "Carta") sa che non può tornare più indietro, per questo non chiede perdono, ha valicato quello spazio e già "si stacca dall'agguato" non ne fa più parte - chiede riparo nell'umido dell'ombra - ed è qui, nell'oscurità umida che può respirare, come un eco che non ha più bisogno di spazi e di luoghi fisici, tranne forse quelli della coscienza...
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Davvero interessante come si riesca a nascondersi dietro a tante parole...
in effetti, l'aver nominato il vissuto dell'autore c'entra eccome. Basterebbe non limitarsi alle prime due o tre pagine di internet e alla biografia ma leggere i documenti storici e la spiegazione dell'autore stesso al poesia in questione. Sono sicuro che molti rimarebbero sorpresi da come sono legate le cose...Stavolta non posterò link, chi avrà voglia di scavare potrà trovare tutto il materiale del caso.
Comunque, venendo al sodo e senza entrare nel merito della politica (sono un convinto apolitico) mi paiono palesi e chiarificatrici due cose, che la stessa Mirella sottolinea:
1) in quei tempi si tiravano molotov e si ricorreva alle armi, e il poeta che si continua a osannare ha compiuto gesti di estrema violenza, lui stesso come altri della sua fazione o affiliati,
2) non chiede perdono perchè ha fatto ciò che ha fatto in nome dei suoi ideali.
Essere conoscitore della Bibbia non ha tutto questo significato, significa semplicemente che si è letto il libro più antico del mondo. La cultura e l'intelligenza non provengono certo dalla quantità di libri che si è letto o da dottrine che si è studiato, ma piuttosto da come l'uomo è capace di applicare il proprio sapere con umiltà, buon senso, e rispetto per i suoi simili.
Ora, ognuno è libero di osannare chi crede, ma sarebbe buona regola imparare a guardare le cose da diverse angolazioni.
L'autore che tanto piace in questo topic faceva parte di gruppi che difendevano ideali con la violenza. Ripeto, con la violenza; potrebbe anche non essersi sporcato le mani direttamente, e dico potrebbe, viste le accuse a suo carico e le sue stesse ammissioni, ma ha di certo contribuito a fomentare il culto della violenza.
Continua...
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In fondo studiando un pochino di storia si può notare che questa tecnica politica esisteva fin dalla rivoluzione francese (da qui L'età del terrore), quindi non è pratica poi così strana in nome di "ideali".
Ora, ognuno è libero di cambiare vita, come è libero di commettere errori di cui porta il peso delle conseguenze a vita. Ed il beneficio del dubbio è concesso a chiunque.
Ma la vita non è sempre un foglio bianco dove è possibile sbagliare e basta cancellare con la gomma per riscrivere pensieri nuovi. Certe cose restano, ed è per questo che sono d'accordo con dare una seconda possibilità, ma per una vita privata e non certo che comprenda la socialità come quella che compete ad un poeta ed uno scrittore.
Mi chiedo: per quale motivo tutte "queste brave persone" sono diventati scrittori, poeti, studiosi, professori, e cercano sempre e comunque la prima scena? Che non abbiano scelto un'altra vita, perchè non si sono pentiti di quello che hanno fatto, perchè hanno semplicemente trovato un modo legale di mostrare il loro "pericoloso egocentrismo"?
Altra cosa...tutto questo gran e ben parlare di questo personaggio, e ben venga discutere di poesia, ma ricordiamo che è un mondo virtuale e davanti a tutti questi schermi potrebbe esserci chiunque...in verità, nessuno si è mai chiesto se dietro a uno di questi monitor c'è qualcuno che ha pagato a caro prezzo, e per caro intendo con la vita di un familiare o amici o affini, gli "ideali" di questi personaggi tanto decantati?
Mi dispiacerebbe leggere "esaltazioni" di gruppo per le memorie emotive di Hitler o per le intime emozioni di Jack lo squartatore...
Che nessuno si offenda o la prenda sul personale, sono "solo" opinioni.
Saluti
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mmmm... tutto ciò mi fa sentire molto superficiale..
perchè io.. mi sono fermata alla bellezza di ciò che ho letto....
e sinceramente credo che così dovrebbe essere laddove dietro la poesia non si nascondano apologie a distorti ideali.. e sinceramente.. non mi pare d'averne letto... o forse non so leggerle...
poi dal punto di vista sociale.. il messaggio di Alessio è inappuntabile.. ma.. preferisco fermarmi alla poesia...
forse sono davvero troppo superficiale... perdonatemi....
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jack lo squartatore è il mio idolo! ;D
in realtà, mi sembra assolutamente inopportuno, in questa sede, aprire una discussione sugli anni '70, anni sui quali ancora molto buio resta e i fatti non sono chiari. Le lotte per l'affermazione degli ideali, in un contesto storico come quello italiano e anche globale di quell'epoca, non potevano che sfociare in episodi di violenza, come qualunque rivoluzione ha fatto. fa parte della storia, anche se ancora troppo vicina ai nostri giorni. tuttavia il movimento di lotta continua non faceva della violenza l'unico mezzo di espressione ma, purtroppo, se ne è servita per la sua lotta pubblica. questo non vuol dire che chi abbia partecipato a questi movimenti sia una mostro! sono morte tante persone, da ambo i lati.
si dovrebbe allora parlare del terrorismo legalizzato dello stato e di tutta la parte di storia occultata... ci sarebbe da dire tante cose, ma, come ripeto, non mi pare la sede idonea.
estrapolare un personaggio dalle circostanze e dal contesto storico è privo di senso. le fonti e i documenti che ho cercato, le stesse interviste condotte ad Erri De Luca, mi hanno fatto capire una sola cosa: la coerenza!
ho potuto farmi un quadro della sua personalità, del suo innato senso della giustizia che lo porta a non autocelebrarsi (per i suoi ideali, ma anche per le missioni umanitarie nelle quali è coinvolto, per la beneficenza che fa e per la sua bravura a livello letteraio) , ma nemmeno a giustificarsi come un bambino colto con le mani nella marmellata. non rinnega il suo passato, ma nemmeno se ne fa vanto.
in ogni caso, qui si parla di poesia, della poesia contemporanea e delle emozioni che ci suscita. chi vuole parlare di questo è ben accetto, chi di altro farebbe bene ad aprire un altro topic.
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Dal momento che mi si viene presentata una poesia e il nome dell'autore è mia prerogativa andare a cercare di capire cosa volesse dire chi ha scritto, perchè ha scritto e in quale contesto storico l'ha fatto.
Solo dopo avere un quadro sufficientemente chiaro provo a descriverne le emozioni che mi sono scaturite dalla lettura. Così mi hanno insegnato a scuola, così mi piace fare.
Se l'aver criticato la scelta di questo autore motivandolo con una certa logica, che magari non può essere condivisa da tutti, porta a non godere del gradimento di chi ha aperto il topic...beh, la cosa non mi interessa affatto così come non m'interessa appartenere al club "siamo tutti d'accordo".
E' un diritto altrui scegliere di dare considerazione o ignorare quello che scrivo, così come come è un mio diritto scrivere la mia opinione, se maturata da riflessioni opportune e rispettosa nei confronti della comunità alla quale faccio parte.
Certo, mi sono dilungato. Ma solo dopo l'aver constatato che chi ha presentato la poesia e il poeta ha espresso un pensiero idealizzato per il futuro, dandomi modo di approfondire l'argomento violenza e mondo migliore sulla base dello storico dell'autore in questione.
Se per primo chi ha partecipato ad aprire questo topic non rispetta le "regole" che adesso sembrano voler essere "invalicabili", allargando con visioni personali l'argomento, cosa si pretende dagli altri?
Detto questo e in attesa di un altro testo, auguro un felice pomeriggio a tutti.
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Mi spiace che ci siano sempre motivi di polemica, ma chi lo fa ha i suoi motivi, più o meno palesi, e, francamente, non mi interessa approfondirli.
Detto ciò, vorrei chiarire solamente che le mie considerazioni sulla violenza e sul futuro del mondo nascono proprio dalla lettura della poesia, nel senso di quello che a me ha suscitato, e non solo a me, visto che l'Associazione "Non toccate Caino", che lotta contro la pena di morte, ha preso spunto, a sua volta, dalla poesia di De Luca.
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stamattina...
sono rimasta folgorata! :o
senza aggiungere parole, almeno per ora, alla nota biografica che riporterò in basso, vorrei farvi conoscere una persona ed una sua poesia:
LAMENTO DELLA SPOSA BAROCCA (OCTAPUS)
T'avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
- sentite ruvide come cadono -; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un'impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.
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Piccola nota
a cura di Alessandro Canzian
Claudia Ruggeri (http://www.claudiaruggeri.it/) nasce a Napoli nel 1967 e muore, suicida, a Lecce nel 1996. La sua è una vita all’insegna di una dolente sregolatezza frutto di un amore troppo passionale per la vita. Un amore che era forza vitale e fuoco corrosivo. Contemporaneamente alla sua ricerca della vita, dell’amore, alla sua caduta nell’alcool, alle relazioni amorose complesse e problematiche, ai molti ricoveri in un centro psichiatrico specializzato, Claudia Ruggeri trova nella poesia uno strumento di fuga e in qualche modo di redenzione dal male che la uccide. Perché la storia di Claudia Ruggeri è l’intreccio querelante e magmatico di una vita che si consuma nella voglia di vivere e di una mente geniale che si innalza studiando gli autori del passato, colloquiando con loro, creando una lingua neobarocca composta di commistioni medioevali, neologismi, parole dialettali, utopie. Diventando nei reading salentini in brevissimo tempo una delle migliori promesse per la poesia non solo regionale, ma anche nazionale.
Una poesia visionaria eppure troppo reale, quella di Claudia Ruggeri. Una poesia simbolica ma densa di citazioni che ne denotano l’immensa cultura e capacità d’uso d’essa. Quasi che il possedere tale cultura fosse per lei tentativo della possessione amorosa mancata nelle promesse, seppure presente nella solitudine. Una poesia che si fa substrato del reale sovrapponendo una possibile salvezza alla troppo pregnante consapevolezza della propria fine. Dante il modello per eccellenza, tanto che si intravede nell’Inferno minore la forma e il tentativo dell’Inferno (maggiore) dantesco. Ma anche un “amaro carnevale” in cui tutto è compresente all’insegna di un ridicolo lancinante, doloroso, dove l’amore è un “patto al malto” fallimentare eppure continuamente ricercato, fino alla morte letteraria (in Napoli l’ebbi strana), presagio e annuncio della morte reale.
Chiosata dal Fortini e molto amica del Bellezza, Claudia Ruggeri è considerata una delle più grandi poetesse salentine al pari del Toma e del Bodini, in una fortunatissima stagione letteraria che ha fatto una storia nella non-storia letteraria nazionale.
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Ciao,
ci ho pensato molto prima di scrivere quanto segue ma non sarei me stesso se omettessi di farlo. Mi riferisco alla poesia postata da Zima , quella di Claudia Ruggeri. Premesso che sono davvero sconcertato per la vicenda di questa ragazza ( lo sono ogni volta che sento notizia di un suicidio ) e premesso anche che il mio intervento non è un intervento critico ( non sono di certo all'altezza di farlo ) ma soprattutto emozionale . Desidero parteciparvi la sensazione che ancora tuttora mi prende leggendo questa poesia; riassumo in una parola: CAOS. Probabilmente sono un perfetto incapace nel coglierne il senso , di certo , pur avvertendo tra le righe una forte carica emozionale, mi avviene senza alcun pudore la sensazione di caos. Quasi un voler celare pur scrivendo. O forse proprio scrivendo, voler celar qualcosa. Ripeto è una sensazione che mi disturba perchè raramente avverto questa sensazione in una poesia che pure intuisco, a pelle, come " VISSUTA " . Che ne dite ?! Mi posso permettere di chiedervi numi ? n sorriso.
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caro Stefano, probabilmente hai usato la parola giusta, o forse sarebbe stato meglio dire TORMENTO!
non ho scelto questo scritto con intenti critici, ma mi è saltata naturalmente agli occhi e soprattutto al cuore per la carica emotiva che contiene e che esplode nelle parole. è un tormento che si avviluppa su se stesso, in un vortice folle che pare non avere senso eppure contiene, a mio parere, l'innato senso dell'amore e della vita.
dice, nei primi versi:
T'avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come per dire: tutto avrei fatto per te, qualunque cosa, sarei stata sguattera o regina, infinito o infinitesimo frammento del tutto
poi dice
la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
e ancora
perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un'impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.
proprio per dire tutto e l'opposto di tutto, così come è il sentimento che ci affolla quando amiamo, così come ci prende e ci lascia e ci conduce in un turbine.
in questo vortice, in questo turbinio di pensieri io sono caduta leggendo e ancora ne sto indagando i sensi, per scoprire i vari riferimenti che, come si deduce, sono parte integrante della poesia di questa autrice. ma... la mia cultura non è abbastanza vasta e perciò mi piacerebbe che qualcuno mi aiutasse.
certamente, come tutto il resto, è una poesia e un genere che può piacere o non piacere, e non è un problema, fino a che non si sconfini in diatribe ideologiche, politiche o morali.
tengo poi a ricordarvi che chiunque può proporre poesie e autori a piacimento.
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Canto della mia nudità
Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d'avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra, starò,
quando la morte mi avrà chiamato.
Facendo seguito alla poesia ed alla poetessa citata da Zima, ed alla non-storia della poesia italiana, propongo questa. Chissà se riuscite a scovare, dal dimenticatoio della poesia, il suo nome e trovare qualcosa della sua vita. Dico solo che si tratta di una poetessa, una figura molto interessante, e che l'ha scritta a 17 anni.
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la cosa che mi ha colpita maggiormente, leggendo la poesia di Claudia Ruggeri, è la molteplicità di sensazioni che se ne riacavano: di grande impatto emozionale e al contempo "scenica", teatrale, un linguaggio colto e nello stesso tempo moderno, accattivante, raffinato e poi le immagini che parlano d'amore, ma quale amore, quello verginale di una sposa barocca, quello di Maddalena, o di una donna la cui "sorte", il destino sembra così sfuggente e pieno di tormento. Ci sono parecchi riferimenti biblici, come a ripercorrere un calvario personale, doloroso e intenso e nello stesso tempo ricco di sfaccettature e forza d'amore... è davvero stupenda ed emozionante
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stamattina...
sono rimasta folgorata! :o
senza aggiungere parole, almeno per ora, alla nota biografica che riporterò in basso, vorrei farvi conoscere una persona ed una sua poesia:
LAMENTO DELLA SPOSA BAROCCA (OCTAPUS)
T'avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
- sentite ruvide come cadono -; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un'impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.
Certo leggere questa poesia è veramente un tormento
Si intuisce tutto il lato emotivo che si incanala verso sensazioni di abbandono e di prontezza nel fare come se volesse sdoppiarsi e rendere il suo dare, dire in doppia veste.
L'autrice con sensazionale espressione si esibisce in versi che veramente lasciano sbalorditi per la loro bellezza pur nella loro complessità interiore.
Leggere questi versi sono da stimolo a capire veramente dal di dentro le capacità intuitive dell'autrice che ha dimostrato ( lasciando ai posteri) segni di alto valore poetico.
un saluto
Giovanni
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Canto della mia nudità
Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d'avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra, starò,
quando la morte mi avrà chiamato.
Facendo seguito alla poesia ed alla poetessa citata da Zima, ed alla non-storia della poesia italiana, propongo questa. Chissà se riuscite a scovare, dal dimenticatoio della poesia, il suo nome e trovare qualcosa della sua vita. Dico solo che si tratta di una poetessa, una figura molto interessante, e che l'ha scritta a 17 anni.
C'è da scoprire molto su questa autrice " Antonia Pozzi" una cultura nascosta nei meandri della poesia e questa da te postata Luigi ne è una testimonianza.
Consiglio un'ampia ricerca
un saluto
Giovanni
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uh, giovanni!!! mi hai battuto sul tempo!! ;D
sì, ha anche un sito personale che si può visitare, con tanto di note biografiche, bibliografia e poesie.
http://www.antoniapozzi.it/
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uh, giovanni!!! mi hai battuto sul tempo!! ;D
sì, ha anche un sito personale che si può visitare, con tanto di note biografiche, bibliografia e poesie.
http://www.antoniapozzi.it/
Già, salvo che il sito fatto a suo nome fa diverse omissioni. Ad esempio quello che chiama "epilogo" è un suicidio con barbiturici.
E le poesie sono "selezionate", ad esempio non c'è quella che ho citato.
Ecco come si narra quel "epilogo" nel libro "In riva alla vita" di Alessandra Cenni, che non "omette":
Un rigido dicembre del 1938: c'erano le leggi razziali, c'era il fascismo sempre più colluso col nazismo, c'era la Germania che tra nove mesi avrebbe invaso la Polonia.
Lei era affascinante, ricca, aristocratica, colta, giovane. Ma cercava l'assoluto. Nella poesia, nell'amore, nella vita. Non lo trovò l'assoluto: aveva 26 anni.
Così una mattina fuggì piangendo dall'aula dove insegnava. Prese la bicicletta, si lasciò dietro strade di città, palazzi, automobili, e corse via verso la campagna.
Vide per l'ultima volta le brume lombarde che amava e voleva raccontare in un lungo romanzo storico che non scrisse mai.
La trovarono la mattina seguente in un fosso non lontano dalle rive del Ticino. Assiderata e con una brutta polmonite. Aveva anche ingerito delle pastiglie.
Morì in ospedale.
Nessuna lavanda gastrica la salvò, come l'altra volta, appena adolescente, quando la ricca e austera famiglia le impedì di sposare il "suo" professore, il "suo" amato maestro molto più grande di lei.
Ed ecco alcune parole di questa ragazza dell'inizio secolo, coraggiosa, scandalosa, che amava altre ragazze ed operai "bolscevichi":
"E vivo della poesia come le vene vivono del sangue. Io so che cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l'anima e bere con quelli l'anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore".
Per leggere una biografia meno "ufficiale" (http://www.fuorispazio.net/def_show.php?f=/_archivio/Gennaio,Febbraio,Marzo,Aprile,Maggio,Giugno,Luglio,Agosto,Settembre_2002/a_pozzi.html).
La "storia della poesia" non solo dimentica facilmente, ma anche quando ricorda ecco che muta il ricordo in qualcosa di meno spiacevole. Chi si suicida ha un "epilogo", od una "grave malattia" come disse allora la famiglia, le sue poesie vengono censurate, modificate o del tutto cancellate. Antonia era "fortunata", era ricca, per altri meno "fortunati" di lei, persone come lei "troppo sensibili" per l'epoca, c'è stato il manicomio, il ricovero, o semplicemente la strada e le mense dei poveri, o nemmeno questo, e semplicemente sono scomparse dalla memoria portando con loro un lurido quaderno stracciato con pagine scritte fitte fitte con parole che nessuno mai più riscriverà, perse anch'esse come i loro dimenticati autori.
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una storia tristemente conclusa, una storia che è tutto un romanzo travagliato che si riconosce nei suoi splendidi scritti.
Storie di vita vissuta tra le censure del tempo in un sistema patriarcale che offuscava ogni dire e che trovava solo nella nonna l'unica ancora di salvezza.
Una fine tragica, direi annunciata che concluse una vita incompresa, un'anima nobile ma triste che nella poesia rifugiava ogni pensiero e che come dimostrano i manoscritti a volte manomessi per non turbare le coscienze di chi si poneva alla lettura ma che restavavo nei cassetti della memoria e solo dopo la sua morte sono stati riscoperti e divulgati.
Una poesia molto bella perchè vera, mi ha incantato e sono a rileggerle perchè sono anche insegnamento.
eccone un esempio:
Notturno invernale
Così lieve è il tuo passo, fanciullo,
che quasi non t’odo,
dietro me, sul sentiero.
E così pura è l’ora, così puro
il lume delle grandi stelle
nel cielo viola
che l’anima schiarisce
dentro la notte
come i tetri pini che albeggiano
nel biancore della neve.
Un alto sonno tiene la foresta
ed i monti
e tutta la terra.
Come una grazia cade
dal cielo il silenzio.
Ed io ti sento l’anima battere,
dietro il silenzio,
come un filo vivo di acque
dietro un velo di ghiaccio -
e il cuore mi trema,
come trema il viandante
quando il vento gli porta
attraverso la notte
l’eco d'un altro passo
che segue il suo cammino.
Fanciullo, fanciullo,
sopra il mio cammino,
che va per una landa senza ombre,
sono i tuoi puri occhi
due miracolose corolle
sbocciate a lavarmi lo sguardo.
Fanciullo, noi siamo
in quest’ora divina
due rondini che s’incrociano
nell’infinito cielo,
prima di mettersi in rotta
per plaghe remote.
E domani saremo
soli
col nostro cuore
verso il nostro destino.
Ma ancora, nel profondo, tremerà
il palpito lontano delle ali sorelle
e si convertirà
in nuova ansia di volo.
gennaio 1931