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Discussioni in corso => Discussioni fra autori => Topic aperto da: Antonio Terracciano - Domenica 20 Dicembre 2015, 23:54:48
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Sto leggendo, con un ritardo di 18 anni rispetto alla sua uscita, "Microcosmi" di Claudio Magris, "uno dei più grandi scrittori del nostro tempo" secondo Mario Vargas Llosa ad esempio (fu soprattutto lui che, con "Danubio" , mi aiutò a capire Vienna e anche la sua Trieste) , e nel primo capitolo ( "Caffè San Marco" ) trovo due meditazioni che possono esserci utili, invitandoci a un doveroso esamino di coscienza.
Una riguarda la letteratura in generale: "Forse scrivere è coprire, una sapiente mano di vernice data alla propria vita, sino a farla apparire nobile grazie ai suoi errori messi abilmente in vista mentre si finge di occultarli, con un tono di sincera autoaccusa che li rende magnanimi, mentre la sozzura resta sotto.Tutti santi, gli scrittori; sì, scavezzacolli, figlioli prodighi, pieni di vigorosi peccati ostentati con falsa vergogna, ma anime belle e grandi. Possibile che non ci sia fra noi nessun porco, nessun vero porco gretto e malvagio? "
L'altra riguarda più specificatamente la poesia: "La poesia dice l'assenza, qualcosa o qualcuno che non c'è più. Poca cosa, una poesia, un cartellino messo su un posto vuoto. Un poeta lo sa e non le dà troppo credito, ma ne dà ancora meno al mondo che lo celebra o lo ignora. "
Penso che ognuno di noi potrà trarre (come ho fatto io per me) qualche elemento di verità da questi schietti pensieri di Magris.
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mah.. non è che concordi molto, soprattutto sulla prima affermazione
credo che sia più il lettore a santificare, trovando in una storia i mezzi per giustificare qualche propria mancanza.
uno scrittore, se veramente tale, si separa dallo scritto, dove non trapela alcuna autocelebrazione con aureola, produce un'opera, che ciascuno legge con le proprie esperienze, anche perché spesso racconta storie lontanissime dal proprio vissuto
solo una volta, in un libro regalatomi di cui ometto il titolo, ho riscontrato tutto, ma tutto, quello che contiene la frase
sulla poesia sono più concorde, anche se mi pare un po' semplificativa come descrizione
vero, è spesso assenza, ma non solo e anche quando è assenza può esserlo di un concetto, di una sensazione, di un 'senso' comune a molti
sul credito dato invece, gli do ragione, anche se è una perdita di peso progressiva e non immediata, quello datogli dal mondo poi, è del tutto opzionale..
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L'altra riguarda più specificatamente la poesia: "La poesia dice l'assenza, qualcosa o qualcuno che non c'è più. Poca cosa, una poesia, un cartellino messo su un posto vuoto. Un poeta lo sa e non le dà troppo credito, ma ne dà ancora meno al mondo che lo celebra o lo ignora."
Penso che ognuno di noi potrà trarre (come ho fatto io per me) qualche elemento di verità da questi schietti pensieri di Magris.
:) ciao, Antonio.
Concordo, in linea di massima, sulla prima osservazione di Claudio Magris, in quanto, anche nella vita di relazione, tendiamo a
presentarci al meglio e a non ammettere le nostre debolezze e mancanze, per timore dei giudizi altrui.
Sulla seconda, che cito sopra, condivido meno la frase in grassetto.
I poeti, in generale, cercano l'altrui approvazione, e contano gli applausi, dando lo stesso valore a qualunque coppia di mani
dalla quale provengano.
Cito due versi da "Nessun dolore" del grande Battisti (e Mogol):
L'applauso per sentirsi importante
senza domandarsi per quale gente...
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Ho trovato questo articolo che mi sembra calzare abbastanza con il secondo argomento di Magris. Che ne pensate?
https://vibrisse.wordpress.com/2015/12/20/non-se-ne-puo-piu-delle-lamentazioni-sulla-marginalita-della-poesia-e-anche-del-loro-contrario/
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mi pare sia un approfondimento che la vede un po' diversamente sulla semplificazione della natura, similmente sul modo di viverla, molto interessante, grazie..