Mi senti?
”Mi senti? ” 
Quando ascolto il tuo respiro 
che ancora chiede comprensione 
Quando passi il tuo sguardo distratto 
tra la folla 
su di me 
”Mi senti? ” 
Quando persa 
mi accorgo di averti smarrito 
nel fondo 
dei miei pensieri. 
E le tue mani 
mi accarezzano 
penetrando angoli nascosti 
tra le pieghe del mio pudore 
”Mi senti? ” 
Quando 
senza pudore 
mi trascini via 
senza sospiri 
e fraintendimenti 
”Mi senti? ” 
Quando pronunci 
mute parole 
ad ogni tuo passo 
Quando ormai 
indifesa 
sciolgo i grani 
delle mie paure 
E non temo 
l'incuria del tempo 
”Mi senti? ” 
E adesso mi guardi 
con parole colme 
di linguaggi 
ormai senza più tempo 
e insieme danziamo... 
la fine di noi due  
(Autore: Mirella Crapanzano) 
 
Prima parte del commento
In questa poesia, scelta tra quelle d’autori di recente introduzione nella grande famiglia di “Scrivere”, ravviso un crescente, graduale, intrigante sapore d’accattivante rassegnazione (non mi è dato di sapere, nella sua forma espressiva, sino a che punto premeditata e fortemente voluta), caratterizzare una storia d’amore dall’epilogo amaro.
Ciò che mi colpisce dell’opera, e di riflesso della sua autrice, è una sorta di equilibrio (precario, ma mai messo in pericolosa discussione) tra definitiva rottura e malcelato rimpianto, quasi evocativo dell’intenzione, non tanto di recuperare il rapporto, quanto di conservarlo nel cuore, sebbene deludente…”senza più tempo”. Una questione di stile, oserei dire, che l’autrice possiede in quantità industriale.
Il titolo stesso (“Mi senti?”), di per se, non è affatto l’emblema di un irreparabile distacco, bensì il reclamo di un’evidente esigenza (ed è qui la sottile distinzione, tra la scelta di un addio denso di rabbia ed un addio pregno di tenerezza e comprensione). L’autrice pretende, in un contesto d’amore che lega due persone, d’essere ascoltata, considerata, soprattutto rispettata.
La chiave di lettura, pertanto, non è il semplice, asettico consuntivo di un momento trascorso, quanto la raffinata rievocazione di ciò che è accaduto, ma non è stato percepito e, quindi, tanto meno gestito dal soggetto amato. Intendo dire: l’autrice non si ferma alla denuncia del suo avvilimento, lo inquadra nitidamente comparandolo all’intero dell’intima sfera che circoscrive le sue attese di donna sensibile ed intelligente.