destionegiorno
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Giacomo Filippo Precone nasce il 24 Luglio 1962 a Diso, piccola cittadina della provincia di Lecce, dove ancora oggi vive e lavora. Amante della pittura, della musica, del teatro e dell'arte in genere e da sempre attento a non indirizzare la propria esistenza nei complicati meandri del superfluo, ... (continua)
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Sulla mia mano
a mo’ di fiore schiusa,
farfalla leggera
ti posasti a riposare.
Ti accolsi ad occhi chini,
incredulo e tremante
e d’istinto il mio cuor
trattenne il fiato:
estatica visione!
Senza clemenza,
silente e traditore,
venne poi il... leggi...
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Del tuo schietto sorriso
ho colmo il cuore...
di te profuma,
pregna,
l’anima mia...
Rifulge, ognor,
negli occhi miei
lo splendor di... leggi...
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Colò in una notte
quel vivido azzurro
e l’alba rinvenne,
a corale sconforto,
di piombo vestito
un livido cielo,
agli occhi già morto.
Smarrito il vigore
e in bruma celato
il sole s’affonda
distante e fatale,
la luce ormai fioca
e scarso di... leggi...
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Giunsi...
e non da quel binario...
e non col vostro animo
né con la vostra pelle,
ma la suola posai
sull’orma del ricordo
e lacrime sgorgaron
come vive gemme.
Indi varcai la soglia
e, oltre quel cancello,
di filo spinato
il cor mio tutto... leggi...
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Sospesa,
nel bozzolo ovattato,
ti godi ancor la quiete
tenera pupa
ed io, silente, miro,
nell’attesa dell’incanto!
Mi cresce l’ansietà
conscio che, a breve,
ali sbocceranno e,
ebbre di vita,
a volteggiar te condurranno,
per quella... leggi...
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Giacomo Precone
| Non lasciamoli soli,
grinzosi limoni
spremuti dal tempo,
isolati dal mondo,
affogati
nell’aria stantia
di stanze ricolme
d’antichi ricordi,
tra muri ingialliti
da sbiadita memoria
e ormai privi di sogni.
Non lasciamoli soli,
postulanti composti
d’ una carezza,
strenuamente ancorati
a dovuti rosari,
sospesi all’ attesa
d’utopici eventi,
nel tempo che passa
apatico e lento,
davanti a bicchieri
ora vuoti, ora colmi.
Non lasciamoli soli,
orfani del focolare,
coatti inquilini
di ghetti sommersi,
alla fredda tutela
di mani impietose
d’austeri badanti,
in lise vestaglie,
le mani tremanti
su logore carte
segnate dagli anni.
Non lasciamoli soli,
attaccati a una flebo,
in letti rifatti
da camici stanchi,
tra speme e declino,
nel trepido affanno
che porta alla sera,
impotenti, al cospetto
del supremo capestro
che pende alle porte
e, ultimo, detta
la cruda sentenza
che ognun dei viventi,
raggiunto il tramonto,
è all’ albor della morte. |
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Hanno inserito questa poesia nei propri segnalibri: - Giovanni Ghione - Melina Licata
Possiamo elencare solo quelli che hanno reso pubblici i propri segnalibri. |
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