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Il racconto del bosco

Sociale e Cronaca

Un giorno d’ agosto, afoso come pochi altri, la vespa borbottava dissenso col suo cilindro ansimante.
La strada era un ricamo di pietre bianche, curve sinuose e dritte improvvise, lambivano campi di girasoli fin verso l’ irte chiome del bosco. Poco più in la, una grigia coltre di fumo animava mestamente il cielo, incordonandolo di artificiali nembi .
E poi una sirena allarmare l’ aere dei suoi richiami, la macchia prendeva fuoco.
Soffermai il passo, improvviso, fulmineo, come se un grido attraesse attenzione.
Era il bosco che piangeva, si, l’ ho sentito con queste orecchie.


L’ ho guardato, ho cercato ogni singola fronda, con le sue braccia irte al cielo, ho visto ali fuggire, lasciare nidi di pigolii affranti, e quelle madri con le lacrime agli occhi volarmi attorno per invocare aiuto.
Mi avviai triste lungo la via, nel sussulto cinereo di faggi nella brezza, fiamme sempre più irte infliggere ulteriori smacchi a quell’ ordito scempio. Ho visto uomini correre, per salvare il salvabile, e Canadair irrorare acque chiare, fondersi in vapori trapelanti speranza.


Come afferrato da quel dolore, non seppi tornare indietro su quella strada, lei aveva invocato i miei occhi, ma niente potei fare per quei figli verdi, disgraziate vittime di un’ insulsa impronta infame.
Tesi la mano a un ramo, ma non volle fuggire, le sue amiche foglie erano la dentro, nel rovo furente, no, quel ramo volle restare per un ultimo abbraccio ai silenzi vissuti, alla pace, quel ramo volle versare le ultime stille di clorofilla, la dove era nato, da secoli cullato.

Il tempo cura le ferite, basta una benda a rimarginare fregi, la dove il sangue ha creato la propria scia di dolore, ho pensato, bene, forse un nuovo seme verrà portato da quel cielo che oggi piange, e un nuovo germoglio ridarà senso a tutto quanto, mi sono detto, un giorno, i miei figli, avranno un nuovo bosco di pace, di silenzi, e di rami colmi di uccelli.

Ma spesso le speranze non sono così verdi, come quelle foglie che furono, spesso le speranze prendono fuoco anch'esse, e vengono divorate da un destino bieco, un destino che noi uomini ricamiamo su quelle strade di pietre bianche.


Oggi son tornato, e un bimbo giocava la, la dove un tempo vidi quei rami urlare, ho visto case, giardini, e un albero che gridava il pianto dei suoi avi, l’ ha provato fin dal nascere, la terra gli ha parlato, le radici hanno ascoltato.

E pur nei miei occhi non resta altro, quel ramo esamine afferrato dal fuoco, e il vento, a porre fine allo strazio, vento che nell’ aria di settembre, la cenere e i suoi morti, nell’ aria inumò.



AlexMen 23/08/2012 22:48 1 1208

Creative Commons LicenseQuesto racconto è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«E' un racconto tratto da una poesia di pochi giorni fa. Lo strazio che si prova nel vedere a fumo boschi interi, e poi dopo anni, vedere al loro case palazzine nuove di zecca.»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«purtroppo una brutta piaga quella degli incendi (spesso dolosi). Veder morire un bosco con le sue creature è una grande tristezza.»
Grazia La Gatta

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