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Se questo è amore

Dramma

La spiaggia era bellissima, sabbia bianca e fine, il mare un'esplosione di colori che viravano dall'azzurro al turchese, il cielo terso, limpido senza una nuvola...

camminava con i piedi nell'acqua beandosi ai caldi raggi del sole mentre la sua bambina giocava con le onde poco più avanti.

Si sentiva leggera, libera, immensamente felice in quel silenzio rotto solo dalla risata argentina di sua figlia.

Improvvisamente un latrato feroce, un dolore lancinante al gomito, un cane la stava azzannando...

Si svegliò di soprassalto, il viso ed il corpo coperti da un velo di sudore, il cuore che le scoppiava nel petto. Lentamente prese coscienza del luogo nel quale si trovava, il comò dozzinale, l'armadio con lo sportello che si chiudeva a fatica, il cuscino accanto a lei vuoto, solo una rosa ed un biglietto: “Perdonami, ti amo tanto. R .”

Trattenne a stento le lacrime, si tastò il braccio tumefatto, il gomito gonfio che non riusciva a stendere, le ecchimosi sparse sulle braccia e sul torace.

Alzarsi le costò una fatica immane, ogni respiro una fitta acuta al costato.

Raccolse la rosa e l'aggiunse alle altre, innumerevoli, che facevano bella mostra di sé in un vaso del salotto. Quante erano?

Dodici? Quindici?

“Le rose del giorno dopo” le aveva tristemente battezzate.

Cosa aveva scatenato la bestia la sera prima? Ah si, la cena con i colleghi, lei che aveva riso troppo forte ad una battuta...

il ritorno a casa si era svolto in un silenzio glaciale, lui aveva il colorito terreo e quella vena che gli pulsava sulla tempia quando stava per scoppiare la tempesta.

Eppure fino a qualche minuto prima era sorridente e rilassato, le aveva cinto i fianchi con un braccio al momento dei saluti, le aveva posato un bacio lieve sulla guancia, nulla faceva presagire quello che sarebbe accaduto di lì a poco!

Aveva cercato di sfuggirgli quando l'auto si era fermata nel garage della loro casetta di periferia, l'aveva afferrata per i capelli strappandone alcune ciocche, le aveva torto il braccio fino a farla urlare e l'aveva trascinata così nella loro camera da letto.

“Ti piaceva ,eh? Ti piaceva fare la civetta con lui! E come ridevi! Mi hai fatto fare la figura dell'imbecille davanti a tutti i miei colleghi! Ridi, ridi ora con me!” e l'aveva ripetutamente colpita, sulle braccia, sul petto, sul ventre, mai sul viso, sul viso i segni erano visibili!

E quando la furia si era placata le aveva chiesto scusa, in lacrime l'aveva abbracciata ed accarezzata, baciata sulla bocca ed aveva fatto l'amore con lei.

Un conato di vomito la fece piegare in due, corse in bagno e restò abbracciata alla tazza fino a quando non ebbe vomitato anche l'anima.

Dopo, molto dopo, si guardò allo specchio, l'immagine che le rimandava la fece rabbrividire, aveva trentadue anni ma ne dimostrava il doppio, del suo antico splendore erano rimasti solo gli occhi, grandi, scuri, bellissimi ma senza luce, erano circondati dall'alone scuro di profonde occhiaie, nessun colore sul suo viso pallido ed emaciato, i capelli erano spenti e striati da innumerevoli e precoci fili grigi.

La volta che li aveva tinti di un bel colore mogano... una rosa.

La volta che gli aveva mostrato con orgoglio il suo ultimo acquisto:un paio di scarpe con il tacco alto... un'altra rosa.

La cena etnica alla quale si era dedicata per un intero pomeriggio... l'ennesima rosa.

Aveva tentato di fuggire quando ancora ne aveva la forza ed il coraggio ma l'aveva ritrovata subito, in fondo era un poliziotto!

L'aveva pregata, aveva giurato che non sarebbe più capitato, che l'amava come non aveva mai amato nella sua vita, che aveva bisogno di lei per respirare.

Si era fatta convincere ed era tornata con lui.

Per qualche mese era andato tutto così bene, una sorta di luna di miele continua, l'aveva coperta di regali, l'aveva portata fuori a cena ed al mare e quel viaggio a Venezia, un week end indimenticabile.

“Facciamo un figlio?” “Sì, sì, sì, sì, si!”

Ma non era rimasta incinta, ogni mese la grande delusione di scoprire che il suo seme non aveva attecchito nel suo ventre. L'amore che all'inizio era stato tenero, condiviso, passionale era diventato una forzatura rabbiosa fatto all'unico scopo di fecondarla.

Ed una sera la domanda fatidica: “Si, mi sono tornate le mestruazioni, ma la ginecologa mi ha detto che non c'è nulla che non va, sono a posto...”

“Mi vuoi dire che io non sono capace??”

Si era avventato su di lei come una furia, l'aveva presa a calci, l'aveva lasciata solo molto tempo dopo in un angolo, tremante, terrorizzata, bagnata della sua urina.

Era finita la fiaba, era finito definitivamente il sogno e lei non aveva la forza di reagire.

Sapeva che l'avrebbe scovata ovunque, se lo avesse denunciato sarebbe stato coperto dai suoi colleghi, e forse lo meritava, meritava tutto quell'odio e quella rabbia, non valeva nulla e questa era l'unica vita che avrebbe vissuto per sempre.

Si riscosse, si lavò il viso e con fatica si dedicò alla sua casa: la polvere dai mobili, i libri da allineare, i panni da lavare e stendere, un bottone da riattaccare. Teneva la televisione accesa ma senza audio, giusto per vedere qualcuno che si muoveva accanto a lei.

Le mancava il suo lavoro, le sfide, i colleghi, le lunghe ore fuori da quella casa impregnata di dolore.

Lo aveva lasciato dopo molte insistenze di lui, quando avevano il progetto di un bambino, quando credeva ancora che la sua vita sarebbe stata un sentiero luminoso: la casa, i figli, la scuola, le amiche, i compiti, le feste di compleanno.

Si guardò in giro: era tutto a posto, lindo ed impeccabile come lui pretendeva.

L'insalata era nell'acquaio, le costolette d'agnello ad insaporire, la frutta lavata per quando sarebbe rientrato.

Aveva il tempo di farsi un bagno, riempì la vasca fino all'orlo e si immerse beandosi del calore e del profumo, sentì che il suo corpo immerso nell'acqua perdeva di pesantezza, scivolò giù lentamente, piano immerse il mento, le labbra, il naso, i capelli, e se fosse rimasta così fino all'oblio?

Trenta secondi, trentacinque, cinquanta... emerse di colpo, i polmoni che le scoppiavano, il respiro quasi un urlo, il bisogno d'aria la sua unica ragione di vita!

Non era capace nemmeno di morire.

Quella sera lui era eccitato, le raccontava con un fiume di parole della sua incredibile giornata, l'inseguimento ed infine l'arresto di un pusher, i complimenti dei colleghi, l'encomio del suo capo.

La sua bocca sorrideva, la sua lingua pronunciava le parole giuste, le sue espressioni erano di attenzione ed ammirazione, il suo cuore morto, i suoi occhi una pozza scura e senza fondo nella quale si poteva l'inferno.

Quella notte fece l'amore con lei con la tenerezza di un tempo, la baciò a lungo si addormentò abbracciato a lei.

Non osava muoversi, ma avrebbe voluto essere in qualsiasi altro posto, anche all'inferno, ovunque ma non lì, dalla sua gola usciva un lamento muto, quel braccio intorno alla sua vita pesava come un macigno. Stava male ma non osava nemmeno respirare, si concentrò sul respiro per non urlare. Voleva alzarsi, spalancare la finestra e respirare, voleva lavarsi per cancellare tutte le tracce del suo passaggio dentro di lei, finalmente si girò e lei poté scivolare silenziosa fuori dal letto.

Le aveva detto che presto sarebbe partito per una missione che lo avrebbe tenuto lontano per diversi giorni, gioiva al pensiero, ma per ora era sempre lì, lo sentiva respirare rumorosamente nella camera vicina.

“Dove sei stata?” sussultò. “ A bere un bicchiere d'acqua”. “Vieni qui, ho ancora voglia di te”.

Le camicie stirate sul letto, ben ripiegate, la biancheria divisa in sacchettini, un paio di calze, un boxer, una maglia.

“E la camicia celeste con le righine?”

Panico, probabilmente era rimasta in fondo alla cesta dei panni sporchi, aprì con mani tremanti i cassetti, rovistò negli armadi mentre sentiva che si stava spazientendo.

“Non la trovo, forse l'ho lasciata...” un ceffone ed il sapore del sangue nella sua bocca.

“Ne riparleremo al ritorno, ora non ho tempo! Sei un'incapace!” il rumore di tuono della porta che sbatteva alle sue spalle.

Rimase ferma per qualche minuto, ancora stordita, l'eco dello schiaffo che le ronzava nell'orecchio.

Era andato via, era andato via!

Avrebbe goduto di qualche giorno di pace, senza paura, senza l'attesa di quei colpi che oramai facevano più male all'anima che al corpo.

Cominciò con il riassettare, pulire, lavare, le vecchie abitudini dure a morire.

Quel pomeriggio si mise sul divano, indossando una comoda tuta, fumò una sigaretta che le diede una grande nausea, mangiò il gelato direttamente dalla vaschetta, lasciando il cucchiaio sporco sul tavolino del salotto.

Spalancò le finestre ed attese il buio, senza paura questa volta, vide ritirarsi il giorno lentamente ed il cielo accendersi di stelle, vide la luce argentea della luna entrare nella sua stanza fino a lambire i suoi piedi.

Quella notte non andò nel suo letto, rimase sdraiata sul divano, gli occhi sbarrati a fissare il soffitto, un pensiero tenace e terrorizzante che non voleva abbandonarla: quel mese aveva un ritardo di dieci giorni. Non voleva pensare alle implicazioni, ora quel figlio generato dalla violenza e dalla paura non lo voleva. Non voleva un figlio da lui!

Sperò e pregò che fosse solo un terribile sbaglio, ci avrebbe pensato l'indomani.

Il test di gravidanza davanti a lei, aprì la scatola e seguì tutte le istruzioni con le mani tremanti, un misto di speranza e terrore: si... no... si... no...Sì!

No, non era possibile! Perché proprio ora? Ripeté il test: positivo.

Doveva liberarsene, non avrebbe fatto crescere un bambino in quella casa, con quell'uomo, con la sua follia, con la sua violenza.

Fece alcune telefonate e prese appuntamento per la mattina dopo all'ospedale del paese vicino.

Sarebbe durato tutto solo poche ore e sarebbe tornata a casa, liberata, e soprattutto lui non lo avrebbe mai saputo.

Il giorno trascorse senza che nemmeno si accorgesse di quello che le girava intorno.

Sdraiata sul divano non mangiò e non bevve, in attesa.

La mattina dopo si truccò con cura per coprire il labbro gonfio, infilò un paio di occhiali da sole ed uscì in una grigia mattinata che minacciava pioggia.

Guardò come stupita la vita che le vorticava intorno, mamme che accompagnavano i loro bambini a scuola,impiegati frettolosi,ragazzi che si spintonavano con le immancabili .cuffiette dalle quali usciva una musica assordante, una marea di persone in attesa alla fermata del bus.

Si sedette in fondo, rannicchiandosi accanto al finestrino, seguendo con gli occhi, ma senza vedere, il paesaggio che scorreva veloce.

La sala d'aspetto, donne con il ventre enorme, le gambe leggermente divaricate, le mani appoggiate sulla pancia in senso di protezione, le loro chiacchiere, i racconti, le arrivavano ovattati, come da un altro universo.

“Signora Blasi, prego, tocca a lei”.

Era tornata a casa che era già buio. Aveva pianto tutta la notte, non era riuscita nemmeno a sdraiarsi sul divano, non aveva aperto le finestre né acceso la luce, non si era tolta le scarpe.

Si riscosse solo alle prime luci dell'alba, prese una borsa e la riempì con un po' di biancheria e qualche abito, si sfilò la fede nuziale e la lasciò sul comò. Aveva l'aria distrutta, ma per la prima volta dopo molto tempo i suoi occhi brillavano.

Prese i soldi che nel tempo aveva accumulato in un vaso, e senza rivolgere nemmeno uno sguardo a quello che si lasciava dietro uscì di casa chiudendosi per sempre la porta alle spalle. Non portava quasi nulla con sé se non il peso di quegli anni che gravava sull'anima come un macigno.

Nelle orecchie l'eco della conversazione della mattina prima, avevano compreso la sua situazione al primo sguardo.

“.. volevamo farle sapere che esistono strutture dove rifugiarsi nei primi tempi, c'è personale qualificato che l'assisterà in ogni ambito, medico, legale, psicologico. Se desidera tenere il bambino l'aiuteranno a farlo nascere e se vuole a fare denuncia ad espletare tutte le pratiche di divorzio. Seguiamo molte donne e le abbiamo viste rinascere, lavorare, tornare a sorridere, crescere i loro figli con autonomia psicologica ed economica, scegliere un nuovo compagno , ritrovare l'amore.

La proteggeremo e l'aiuteremo a trovare la forza di proteggersi da sola...”

Era rimasta in quella stanza per ore, aveva pianto e raccontato tutto senza vergogna per una volta, si era sentita accolta, ascoltata, non giudicata, nessun rimprovero per la sua incapacità di reagire, nessuno sguardo di delusione o di riprovazione.

Era uscita da lì senza dire nulla, aveva pensato per tutta la notte, aveva valutato i pro ed i contro, aveva combattuto con la sua sorda paura e dipendenza, ma la risposta l'aveva avuta sempre lì.

Si toccò il ventre che presto si sarebbe arrotondato, si immerse nel traffico di persone inghiottita dal flusso della folla che sciamava verso la metropolitana, non sarebbe mai più tornata indietro,ora più che mai aveva desiderio di vivere.

Ancora un guizzo, la massa dei suoi capelli illuminata da un raggio di sole e poi più nulla.


Annamaria Barone 21/12/2010 08:47 1 1391

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Per non dimenticare che esiste, purtroppo, anche questa realtà, per non dimenticare che se ne può uscire, con forza ed immane coraggio»

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«Me gusta mucho. Avvincente, doloroso. Una descrizione minuziosa della sudditanza femminile e dell'aggressività maschile, che è forte anche quando non raggiunge certi culmini
Complimenti. E' sicuramente il più bel racconto che ho letto sul sito.»
Asso di picche

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Libro di poesieSe tu mi dimentichi
Autori Vari
Le poesie che hanno partecipato al Premio di Poesia Scrivere 2011, con tutte le opere partecipanti ed i vincitori

Pagine: 208 - € 11
Anno: 2012 - ISBN: 9781471686214


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Il primo racconto pubblicato:
 
La Donna del Lago (14/12/2010)

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