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Dialogo con un venditore di frutta ambulante sulle rotatorie

Dialettali

Le rotatorie hanno sostituito i semafori, ormai, su tutte le strade dell’ occidente. E vengono riconvertite, nei centri urbani, con architettoniche vasche e getti d’ acqua illuminate; fontane in marmo, raffiguranti divinità marine bronzee, e qua e là sirene distese, alberi a scacchiera e prati verdi curati, piante ornamentali formanti dune, canneti di piume sapientemente affilati, più lontano, tassi potati a scalare, e su tutto si staglia la luna disegnando la cornice diafana d’ un mondo incantato, dentro una cornice di cemento armato.

Altre rotatorie in periferia, propongono temi meno architettonici ma non meno complessi.

Qua e là,attecchiscono siepi a ombrello di rose canine e il giallo fiore invernale del topinambur che favoriscono, nel gioco visivo dei colori spontanei, il flusso quotidiano degli automobilisti per raggiungere il posto di lavoro.

Sospesi tra l’ incuria del tempo e la negligenza totale degli amministratori locali, finiscono per ospitare improvvisati ambulanti di frutta verdura e altre delizie a chilometro mille, che espongono descrizioni alla bene e meglio con il carboncino su cartone bianco.

Uno di questi aveva parcheggiato il suo camioncino nello spiazzo sterrato di una rotatoria, vicino il comune di Zeta Filosa.

Sul cofano motore, riportava le varie iconografie con i simboli più noti delle carte di tressette.

l’ Asso di Bastoni e il Re di Denari erano i simboli più ricorrenti che portavano scritto la frase in grassetto: vacci liscio!

Attaccato in precario equilibrio, su un tre piedi improvvisato di canne, c’ era un cartello scritto a mano che reclamava: prodotti siciliani non trattati.

Il suo proprietario era un sessantino brizzolato di bassa statura, aveva parcheggiato sotto il ponte che collega la tangenziale con la terra di nessuno, e assisteva al transito ininterrotto, delle automobili ipnotizzato dai suoi malinconici pensieri.

Ed io, gli leggevo nella mente le storie consuete delle difficoltà economiche che attanagliano il sud, e che avevano spinto il piccolo siciliano a percorrere mille chilometri di continente e parcheggiare il suo mezzo, tra il cemento e la fame, nascosta tra le casse di fragole da vendere ai passanti.

Aveva l’ età sulla quale sarebbe stato più logico leggere sul viso l’ ozio di colui che si gioca una bottiglia di chinotto, seduto al tavolo del tressette al bar della piazza del paese.

Invece, doveva pensare a sbarcare il lunario per sé e per la moglie anziana, ch’ era rimasta assieme ai piccoli nipotini, nelle due ristrette camere delle case popolari d’ una anonima periferia catanese.

E per giunta, in obbligata compagnia della nuora bambina, e di quel suo figlio, quel disgraziato! ch’ era rimasto disoccupato, perche s’ era mangiato il lavoro e il cervello, con la cocaina.

Una droga subdola, la cocaina, che, dicevano i rampolli della città benestante, non dava assuefazione! Tanto, puoi smettere quando vuoi! Forse per loro si, perche sono ricchi, e vanno a disintossicarsi nelle cliniche private!

Suo figlio e la sua compagna, invece, erano diventati due larve, e s’ erano mangiati pure i soldi per i pannolini dei bambini. Uscivano di casa col buio per far ritorno al mattino, senza una speranza, costretti ad affrontare la giornata come parassiti nella sua casa, e come se non bastasse, in attesa di un terzo bambino!

Questo discuteva, il piccolo siciliano, quando mi fermai attratto dal cartello, e gli chiesi se aveva qualche sfiziosità da propormi.

Che ne so? Un formaggio, un ortaggio, una pà mpina di lumia, una pala di ficodindia, un bocciolo di cappero cresciuto nello stupore delle sciare nere; un mazzo d’ origano profumato dei torrenti secchi etnei, per riscoprire da un furgone pittato, i profumi della mia terra adolescenza.

Il piccolo siciliano, elastico nei movimenti, era già salito, servendosi di una scala formata dalle cassette vuote, ed era sparito dentro il ventre del carro, per accendere la sua bilancina moderna digitale.

Mentre prepara i suoi attrezzi per la pesa, rispondeva alle mie richieste, con tono canzonatorio, come sanno fare solo i siciliani, quando si trovano di fronte un interlocutore troppo pedante, lasciando cantilenare la voce che risuona all’ interlocutore, come il tormento di un bambino deluso.

– “ Ma lei chi cosa va circannu? chissu chi è tempu?” chissi su cosi fora tempu- e io-

- Ce l’ ha qualche formaggio di Enna o un salame di Sant’ angelo?-

” – Si, infatti, m’ arristau giustu giustu qualche salamino di Sant’ angelo, e un po’ di olive cunzate.

e io- Scusasse, ma le olive sono condite, come?

Lui – no, no. Sunu alivi cunzate, sulu, cu acqua e sale.-

“ Ah, meno male che non sono “ cunzate”, avevo capito che erano condite – risposi, sarcastico-

Chiusi lo sportello e mi avvicinai all’ autocarro che a prima vista, rappresentava casa e bottega del venditore brizzolato. Cioè, a occhio e croce, l’ ha dentro ci viveva tutto il tempo che rimaneva prima di aver finito di vendere il suo carico di agricoltura biologica.

A quel punto, calandomi nella parte dell’ intenditore incuriosito, gli chiesi quale procedimento avessero usato per la conserva delle olive. Ad esempio, se prima di metterle in acqua e sale, fossero state sbollentate o fossero state messe a mollo crude etc…

Non l’ avessi mai chiesto.

-“ Sbollentate, in che senso’?. Ma lei chi vuoli diri”.-

Io – Niente, niente, non volevo offendere. Volevo sapere se, prima di essere messe nella damigiana, con acqua e sale e venissero sbollentate per togliere il caratteristico sapore amarognolo.-

E lui – “ Ma quale caratteristico e amarognolo. Queste sono duci comu u meli. Vengono prese e scartati direttamente dall’ albiro, a secondo della calibratura, e poi vengono subito messe a bagno nella salamoja.

– “ Ho capito, ma da quale zona vengono”?

Lui - Ma in che senso da quale zona? Queste vengono dalla Sicilia! -

Ed io- “ Ho capito, ma la Sicilia è grande. Volevo sapere se sono di Palermo o Caltanissetta piuttosto che di Enna, insomma: di unni su?

E lui-“ Assai voli sapiri lei! E comunque, chissi vengono da Catania. Chiù precisamente, di Paternò”

Ed io- “ Ah va bene, mi basta cosi! Mi deve scusari si fici qualche dumannna di superchiu (qualche domanda in più. A nustalgia! Vossia mi capisce!

Comunque, - vorrei che me pesasse circa mezzo chilo!

E dopo, se mi pesa un salamino, di qualsiasi postu veni veni non m’ interessa, abbasta ca è bonu.”!

E lui-“ Ma certu ca è bonu! ma chi è sta schirzannu? Chistu veni prodotto direttamente a Santangelo: proprio originale jè”

Io- “ Ah, ho capito, Santangelo di Brolo”. –

Ma, tastandolo con le dita, m’ ero accorto ch’ era piuttosto tenero, e glielo fatto notare – Sarà di Sant’ angelo, che non c’ ho dubbi, va bene, ma è tenero, fresco: è carne viva! Come mai?

E lui-“ E’ così, perché qua, a nord, gli piace in questo modo. Lei, se lo vuole cchiù duru, lo deve appendere pi quattru jorna, fora dalla plastica, e addiventa cchiù duru do ferru.

Io – “ Ah, va beni”-. Non volevo contraddirlo sui “ gusti nordici” del salamino, che non mi sembravano rispondenti al vero, anzi, e avevo deciso di evitare la sua facile suscettibilità, rispondendo, anch’ io per monosillabi.

Mentre stavo ormai per scendere dal furgone per andarmene col mio carico di prodotti biologici a “ chilometri mille”, mi porge un sacchetto di plastica trasparente e dice - “ Li vuole questo pacco di friselle? Sunu speci ali. – aggiunse, spezzando la parola a metà, per enfatizzare il termine.

Io – “ No grazie”- pago, e sto per ripartire. Ma lui insiste- “ Avanti, sii pigghiassi, sti friselle, ca oggi ci fa na bella figura supira a tavula.

Ora ci dugnu na ricetta semplice semplice,- continuò- abbasta ca ci dù na na semplice bagnata veloce sutta u rubinettu, poi ci mette dui fettine di pomodoru, ‘ nfilu d’ oliu e ‘ npizzicu di rijanu e di sale, e ci fa alliccare i baffi e soi invitati.

Invitati? Già! Ma come aveva fatto a sapere che avevo degli ospiti a pranzo? E cosi, per ripagarlo della profezia, mi sono sentito in dovere di comprargli anche le friselle-

Mentre mi mettevo in macchina per partire, aggiunse che dovevo stare attento e maneggiare con cura le friselle,-“ Ca sunu croccanti e friabili. Devi fari attenzioni, ca si ci cà dunu nterra si fannu fringuli fringuli”

(si polverizzano in mille pezzi”.) – “ Allora vedrò di non farle cadere – ho risposto sarcasticamente.

E cosi con la modica spesa di diciotto euro, mi sono portato a casa il profumo delle olive marinate di Paternò, un salamino (troppo fresco!) di Santangelo, e un sacchetto di friselle friabili, di cui non volli domandare la provenienza, perché s’ era fatto tardi, e non avevo più tempo per aprire un dibattito su questioni di arbitraria importanza e soprattutto perche non volevo rimanere ancora in quella rotonda, in ostaggio del piccolo siciliano operoso e suscettibile, che già voleva propormi di acquistare una cassetta delle sue fragole, che raccontavano nel sole di mezzogiorno, la stanchezza lasciata sulla pelle di chi le aveva raccolte sulle valli riarse del fiume Simeto, sopravvissuti ad un viaggio di mille chilometri, per sfidare le fragole continentali.


mario conti 19/03/2016 23:39 1738

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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