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La favola di Patatanche

Ragazzi

Gli antenati dell’ orsetto Patatanche non erano nati candidi, come del resto nascono gli orsi della sua specie, ma avevano il pelo marrone o nero come il carbone.

E, forse per uno strano scherzo di madre natura, anche Patatanche alla nascita era tutto nero tanto che, mamma orsa, quando lo confrontò con il cucciolo gemello dal pelo candido come la neve, pensò che fosse malato e seguendo un primordiale istinto, lo abbandonò sulla banchisa al suo destino.

Povero Patatanche, piccolo, indifeso e scacciato dalla tana calda e sicura, come se avesse la rogna.

Ma il destino non volle accanirsi contro l’ orsetto neonato e mandò in soccorso una giovane mamma adottiva, una foca di nome Gelsomina che aveva perso il suo cucciolo da poco.

Quando intravide per la prima volta il piccolo Patatanche, Gelsomina lo scambiò per un grande batuffolo d’ ovatta scuro, ma poi ne sentì il vagito sommesso e, spinta dalla curiosità tipica della sua razza, s’ avvicinò.

Rimasto alcune ore esposto al rigore delle temperature polari, senza cibo e senza il calore materno, il piccolo era già allo stremo e vagiva debolmente.

Quando Gelsomina fu abbastanza vicina, il buffo nasino livido dal gelo del neonato percepì l’ odore caldo e zuccherino del latte e scoppiò in un pianto ancor più disperato.

Mamma foca rimase sconcertata; qualcosa le suggeriva di stare lontana da quella minuscola creatura, mentre la parte materna la spingeva ad accoccolarglisi accanto.

Vinse infine il lato tenero e la foca si distese accogliendo contro il suo ventre caldo e rassicurante, quel mucchio di pelo infreddolito. Il piccolo trovò subito quello che aveva tanto desiderato e cominciò a succhiare come un lupacchiotto vorace e, da quel magico momento, tra i due esemplari di genere diverso s’ instaurò un rapporto d’ amore profondo.

Mamma foca, non ravvisando più alcuna differenza, si prese cura del piccolo e da allora si comportò come se fosse il suo.

Da parte sua, Patatanche, prese a seguire la coda e la strana andatura della sua nuova mamma, sia che lei scivolasse sul ventre, o che avanzasse in modo buffo sulle pinne.

I veri problemi nascevano quando Gelsomina si tuffava nelle acque gelide del mare Artico, attraverso i larghi fori che lei stessa aveva scavato per la pesca. In quel momento, Patatanche non ne voleva sapere di seguire la mamma sott’ acqua e lei era costretta ad abbandonarlo per parecchio tempo sulla banchisa.

L’ orsetto se ne stava buono e tranquillo ad aspettare che mamma tornasse facendo anche lunghe dormite.

Purtroppo, il suo pelo nero spiccava in modo anomalo tra il candore del ghiaccio e un giorno, un gigantesco orso polare avvistatolo da lontano e scambiatolo per una fochetta, si lanciò all’ attacco.

In men che non si dica, le enormi zampe dell’ orso divorarono la distanza che lo separava dall’ inaspettato bocconcino. Patatanche, del tutto ignaro dell’ imminente pericolo, dormiva serenamente e non si accorse nemmeno delle enormi fauci pronte a divorarlo.

Per fortuna, appena un attimo prima che la morsa fatale si chiudesse sull’ orsetto, mamma foca, che aveva visto la rincorsa e l’ arrivo dell’ orso attraverso la trasparenza del ghiaccio, risalì velocemente e, con un balzo improvviso, afferrò il suo cucciolo rituffandosi nelle profondità del mare.

Povero Patatanche: il tuffo nelle acque gelide fu un trauma incredibile. Sul momento, ancora intontito dal sonno, non si rese conto di quanto gli accadeva, ma poi, nonostante il soffice pelo lo proteggesse abbastanza, la temperatura gli causò un brusco e brutto risveglio.

Si ritrovò in un mondo liquido e strano, molto diverso da quello che conosceva e per di più la mamma, lo trascinava sempre più giù, coprendogli il nasino con una pinna.

Mamma foca prese subito coscienza che il suo piccolo correva ancora un rischio mortale: l’ elemento in cui si trovavano non era affatto naturale per l’ orsetto. Gelsomina doveva assolutamente riportarlo in superficie, per permettergli di respirare.

Il musetto di Patatanche era già paonazzo, difatti strabuzzava gli occhi per la mancanza di ossigeno. La foca si disperava e s’ affannava a cercare un foro per emergere il più lontano possibile dall’ orso che immaginava ancora in agguato.

Quando finalmente intravide un cono di luce giungere attraversare il ghiaccio, la speranza di poterlo salvare si riaccese nel suo cuore.

Prima di uscire allo scoperto, Gelsomina doveva verificare che non vi fossero ulteriori pericoli in superficie, quindi si concesse ancora istante e scrutò con attenzione attraverso la trasparenza cristallina del ghiaccio sottile.

Non scorgendo ombre minacciose, si decise e finalmente emerse con il suo piccolo.

Patatanche boccheggiò senza più fiato, poi prese a tossire e a sputacchiare, respirando quanto più aria era possibile. Intirizzito dal gelo e traumatizzato dall’ esperienza, non capiva affatto perché la mamma lo avesse costretto a fare quel bagno così sgradevole.

Povero orsetto! I pericoli per quel giorno non erano ancora finiti! Difatti l’ orso, che aveva previsto la mossa di Gelsomina, ne aveva atteso ben nascosto il ritorno sulla banchisa e nel momento in cui la foca si posò tranquilla sul ghiaccio sfoderò una poderosa zampata.

Gelsomina colpita di striscio, emise un verso di dolore, ma un attimo prima che l’ orso infierisse su lei e il suo cucciolo, una forza misteriosa li tirò entrambi attraverso il foro strappandoli alla morte.

Si fece tutto confuso. Patatanche era ancora troppo piccolo per capire e Gelsomina era ancora traumatizzata dal colpo ricevuto. Così i due si lasciarono trascinare nella corrente, senza nemmeno la forza di reagire.

Ma in realtà cos’ era accaduto?

Era stato per pura fortuna che il tricheco Baruffa, che passeggiava sulla banchisa, aveva scorto da lontano le oscure manovre dell’ orso e si era insospettito.

Si era tuffato giusto in tempo per vedere arrivare Gelsomina che trascinava quel cucciolo e, siccome era molto amico della foca, aveva deciso di aiutarla.

Solo quando si sentì al sicuro, Baruffa decise di riemergere.

Il tricheco sospirò soddisfatto.

La sagoma dell’ orso bianco che annusava in tutti fori della banchisa, si distingueva appena in lontananza, così che tre fuggitivi ebbero modo di riprendere fiato nascondendosi dietro un solido ammasso di neve.

Gelsomina impiegò più tempo a riprendersi dalla fatica e dallo spavento e solo dopo essersi rassicurata sulle condizioni dell’ orsetto si rivolse al suo amico: « Grazie Baruffa! Se non fosse stato per te, avremmo fatto una brutta fine!» esclamò, accarezzando Patatanche che si era addormentato, sfinito.

Il tricheco, imbarazzato, bofonchiò qualcosa d’ incomprensibile tra le due lunghe zanne che gli arrivano al petto, quindi lanciando un’ occhiata al piccolo, domandò:

« Posso sapere che ci fa con te questo cucciolo d’ orso?»

«È un orso?» chiese lei stupita « Com’è possibile? È così scuro!»

« Cosa credevi che fosse, sciocca di una foca? Certo, questo orsacchiotto nero è una rarità, considerato che da queste parti sono tutti bianchi.»

« A me non importa molto il fatto che sia un orsacchiotto. Quando l’ ho trovato abbandonato sul ghiaccio ho solo pensato che fosse un cucciolo bisognoso di cure e di affetto» rispose Gelsomina un po’ risentita con quel grosso tricheco presuntuoso. « E, d’ altronde, non ha più importanza visto che è diventato il mio piccolino» concluse, assestando con il naso un tenero colpetto a Patatanche che sonnecchiava tranquillo vicino agli adulti.

« Tu hai perso la testa e non ti rendi conto a cosa andrai incontro! Cosa farai quando questo orsetto sarà diventato grande il doppio di te?»

« Gli insegnerò a pescare e ad avere rispetto per la nostra razza. Patatanche è un cucciolo intelligente, imparerà presto e sarà sempre affettuoso con me.»

« Non sai davvero cosa dici, ragazza. Sei troppo giovane e inesperta. Lascialo al suo destino e vieni via con me.»

« No, Baruffa. Non ho salvato questo cucciolo per ben due volte solo per abbandonarlo sul ghiaccio. Non lo lascerò!»

Il tricheco era sconcertato! Chi mai aveva sentito parlare di una foca che aveva allevato un orsetto come fosse suo figlio?

«È un’ impresa impossibile e tu non puoi farcela, devi rinunciarci» provò a insistere.

Ma Gelsomina insistette a sua volta: « Posso farcela se tu mi aiuterai e lo farai vero, Baruffa?»

« Io, aiutarti in questa follia?» domandò il tricheco sempre più esterrefatto.

Nel tentativo di commuoverlo, Gelsomina sbatté le ciglia, in modo civettuolo: « Se non mi aiuti tu che sei mio amico, a chi altri posso chiedere?»

Baruffa si lisciò la testa con una pinna, con l’ aria di uno molto dubbioso.

« A chi altri?» ripeté. « Uhm…» “Più ci penso e più mi sembra grave.” disse tra sé, ma poi il muso gli s’ illuminò. Aveva appena avuto un’ idea.

« Questa faccenda è più grossa di quanto credevo e penso che debba essere sottoposta al giudizio di un esperto. E l’ unica che mi viene in mente in questo momento, è Tabatha.»

« Tabatha, la volpe artica?» chiese lei, sconcertata.

«È una mia buona amica e l’ unica abbastanza saggia che conosco. Portiamogli il cucciolo, sono certo che saprà consigliarci per il meglio.»

Gelsomina esitò; non era affatto sicura che fosse una buona idea. Conosceva la volpe bianca solo di vista, ma sapeva abbastanza per temere per l’ incolumità del suo piccolo. Del resto, il tricheco aveva una mole tre volte quella della foca e, se si fosse impuntato, avrebbe potuto costringerla a seguirlo. Considerato tutto, Gelsomina dovette arrendersi.

Lo strano trio si avviò sul ghiaccio. Davanti si piazzò Baruffa con Patatanche, che lo seguiva cercando d’ imitarne la goffa andatura, ultima della fila era una mogia Gelsomina.

Tabatha si trovava a caccia in quel momento, e li vide arrivare da lontano. Ma quando riuscì a distinguere bene, gli parve incredibile la presenza di quel cucciolo.

Con un agile balzo s’ appostò su uno spuntone di roccia ghiacciata attendendone l’ arrivo.

Il suo pelo candido della volpe le permise di mimetizzarsi con il paesaggio intorno e, Baruffa si accorse di Tabatha solo all’ ultimo momento.

« Ehi! Mi hai spaventato! Non ti avevo vista!»

Tabatha non rispose, non gli piaceva molto sprecare parole, ma era curiosa e con un altro agile salto scese per studiare da vicino l’ orsetto.

D’ istinto, Gelsomina s’ interpose tra lei e Patatanche.

« T’ avverto volpe… lascia stare il mio cucciolo!»

« Il tuo cucciolo?» domandò Tabatha annusando l’ aria attorno a Patatanche. « In effetti questo cucciolo d’ orso ha l’ odore di una foca addosso. Cos’è questo mistero? Dove l’ hai trovato? No, non dirmelo.» continuò « Posso immaginarlo! Questo strano orsacchiotto è stato abbandonato dalla madre a causa del suo pelo scuro» sentenziò con aria saputa.

« Qualunque sia il motivo, ora sono io la mamma!» volle mettere in chiaro e sottolinearlo, Gelsomina.

« E io sono il padrino!» esclamò in modo fiero Baruffa avvicinandosi in modo protettivo alla coppia.

Gelsomina gli lanciò uno sguardo sbigottito, mentre Tabatha guardava ora l’ uno e ora l’ altra con aria scettica.

« Uhmmm… tu sei pazza, non sai quello che ti aspetta. E nemmeno tu, Baruffa!» disse ancora la volpe. Poi si volse, come se per lei la faccenda fosse chiusa e stesse per andarsene.

« Aspetta Tabatha. Siamo venuti qui per chiederti un consiglio» la richiamò il tricheco.

« Un consiglio?» domandò la volpe, girando la testa verso di loro. Poi incrociò lo sguardo implorante di Gelsomina e quello innocente dell’ orsetto e tornò sui suoi passi.

« Hai commesso un errore a raccogliere questo cucciolo, ma ormai quel che è fatto è fatto. Vediamo se riusciamo a risolvere questo grande problema» disse Tabatha, mentre la foca e il tricheco la guardavano speranzosi.

« Sì, forse una soluzione ci sarebbe. Ma tu Gelsomina, se davvero vuoi salvare questo cucciolo, dovrai compiere un enorme sacrificio.»

Il termine “ sacrificio” non piacque a Gelsomina che difatti lanciò uno sguardo preoccupato prima verso Patatanche e poi verso la volpe.

« Ebbene, mia piccola amica, saresti disposta ad abbandonare l’ orsetto se questo significasse la salvezza e una nuova vita per lui?»

Alla foca vennero le lacrime agli occhi, mentre Tabatha riprendeva:

« Prima di dare una risposta definitiva, ascolta quello che ho da proporti. Premesso che trovo tutto quanto stai facendo nobile, oltre che incosciente, ti dico subito che non funzionerà e finiresti per perderlo in modo tragico. Secondo me occorrerebbe riportarlo tra i suoi simili, i grandi orsi bruni del sud chiamati grizzly, e per farlo bisogna affrontare un lungo e difficile viaggio attraverso la banchisa polare. Te la sentiresti di affrontare le enormi difficoltà che un simile viaggio comporterebbe?»

La povera Gelsomina si sentì crollare il mondo addosso e cominciò a leccare e carezzare Patatanche stringendoselo al petto, mentre l’ orsetto ignaro di quanto si andava decidendo per lui, si mise a succhiare il latte confortato dal calore materno.

Fu allora che intervenne il tricheco borbottando scettico:

« E come pensi che riusciremmo a superare la grande barriera del ghiaccio, nuotando sotto la calotta con il cucciolo?»

« No!» fu la risposta secca di Tabatha che poi continuò, sicura del fatto suo. « Non sotto, bensì sopra la banchisa, con Vento e Tempesta ad accompagnarci.»

« Con il vento e la tempesta? Ma sei impazzita? Affidare alla furia degli elementi la vita di questo piccolo indifeso? Come puoi essere così crudele?» urlò Baruffa. « Tanto varrebbe che lo abbandonassimo nuovamente sul ghiaccio!»

« Siete matti tutti e due!» intervenne la foca « Non vi permetterò di far del male a Patatanche.»

Con aria sprezzante Tabatha squadrò i due, poi rispose:

« Vento e Tempesta sono due miei amici, molto cari. Due Siberian Husky che una volta vivevano in un igloo con gli umani. Poi il destino ha voluto separarli dagli uomini e da allora Vento è diventato il capo di un branco e Tempesta la sua compagna fidata. Insieme hanno messo su famiglia e il loro gruppo si è felicemente moltiplicato. Negli anni passati a fianco degli uomini, hanno viaggiato molto con le slitte, attraversando queste lande ghiacciate in lungo e in largo e acquisendo molta esperienza sul pack. Date a quei due una destinazione e loro “ a naso” vi ci condurranno in un battibaleno.»

Gelsomina l’ aveva ascoltata con attenzione, tuttavia continuava a non essere convinta, e Tabatha intuì che doveva lasciarle il tempo di abituarsi all’ idea di lasciare il suo cucciolo.

« Vieni Baruffa, ti voglio mostrare il panorama dall’ alto» disse, non trovando altre scuse per allontanarsi e ben sapendo che il grosso pinnipede non era in grado di arrampicarsi.

Baruffa gli scoccò un’ occhiata perplessa, ma poi seguì l’ amica lasciando Gelsomina sola a riflettere.

La piccola foca sospirò, in cuor suo sapeva che la volpe aveva ragione e la cosa che più le premeva, era appunto la salute di Patatanche.

« Se proprio dovrai fare questo lungo viaggio, verrò con te, piccolo mio, e ti lascerò solo quando sarò certa che sarai al sicuro.» Patatanche sgranò i suoi occhioni teneri sulla mamma, poi con una zampetta le sfiorò le guance per asciugare quelle strane gocce salate che le scivolano sul muso.

Tabatha e Baruffa tornarono poco dopo e la foca mise subito in chiaro le sue intenzioni:

« Anche se con il cuore a pezzi ho deciso di dare ascolto ai vostri consigli. A una condizione però, ed è quella che tu Tabatha mi permetterai di accompagnare il mio cucciolo fino a quando non saremo arrivati.»

La volpe acconsentì con il capo, mentre Baruffa, contento di come si stavano mettendo le cose, cominciò a saltellare come un buffone attorno all’ amiche.

« Smettila di fare il pagliaccio, tricheco! Dobbiamo andare, se gli husky accetteranno di accompagnarci, il viaggio che dovremo fare per raggiungere le terre degli orsi bruni sarà molto lungo e più presto partiamo e meglio sarà!» esclamò la volpe un po’ contrariata da tutte quelle moine.

Lo strano quartetto si avviò in fila indiana, avendo l’ accortezza di tenere mamma e cucciolo sempre al centro della piccola colonna.

Ci misero un paio d’ ore a raggiungere le caverne scolpite nel ghiacciaio, dove in genere viveva il branco dei due cani da slitta. Nei dintorni della grotta non si vedeva nessuno e Tabatha cominciò ad annusare dappertutto alla ricerca di tracce.

« Ehi, volpe, cosa ti porta da queste parti?»

Tabatha, colta di sorpresa sobbalzò: il pelo dell’ amico Vento era candido alla pari del suo e lei non lo aveva distinto, mimetizzato sullo sfondo del ghiacciaio.

« Ciao Vento! Come stai amico mio? E dov’è Tempesta? Dovrei parlare di una cosa importante a tutti e due.»

« Noi stiamo bene, volpe, grazie. Ma spero che la tua venuta qui non significhi anche l’ arrivo di qualche guaio. Anche se a giudicare dal tuo strampalato seguito, qualcosa mi dice che di guai ne sono in arrivo parecchi.»

« Quando avrai sentito l’ incredibile storia che ho da raccontarvi, giudicherai da solo, Vento.»

« Bene! Allora vado a chiamare Tempesta e i nostri figlioli.»

« I vostri figlioli?»

« Certo...» esclamò con orgoglio l’ husky, mentre facevano la loro comparsa sei splendidi cuccioloni di circa un anno d’ età seguiti dall’ occhio vigile di mamma Tempesta. Man mano che i cagnetti correvano a salutare con esuberanza i nuovi arrivati, la madre elencava:

« Nebbia, Nuvola, Neve, Ghiaccio, Brina, Aurora. Salutate i nuovi arrivati figlioli» esortò mamma Tempesta con tono dolce.

« Ciao Tabatha» esclamarono in coro « Chi sono i tuoi amici?» chiese invece Vento.

« Questa è la mia grande amica foca, Gelsomina. E questo è… il suo cucciolo»

« Oh… perbacco!» esclamarono insieme i due husky. « Questa sì che si preannuncia una storia interessante. Ma accomodatevi all’ interno della nostra casa, sarete graditi ospiti finché vorrete» disse Vento precedendo tutti nella spaziosa grotta.

« Benvenuta Gelsomina.» salutò invece Tempesta con quel suo fare dolce, guardando con comprensione la foca e il piccolo Patatanche che la seguiva sempre come un’ ombra.

Tabatha raccontò dell’ orsetto abbandonato e delle loro intenzioni di accompagnarlo nelle terre più a sud.

Vento lo ascoltò senza interromperlo e quando Tabatha ebbe terminato, l’ husky avvolse in uno sguardo circolare i protagonisti della vicenda.

« Tabatha, ammesso che accettassimo di accompagnarvi con la nostra slitta, hai idea delle difficoltà e di quante lune occorreranno per arrivare?»

« Non ho mai viaggiato con una slitta attraverso la distesa di ghiaccio» rispose con garbo la volpe « ma sono sicura che con la vostra esperienza riuscirete a farci superare ogni tipo di pericolo, o imprevisto. Inoltre, in questa stagione, il giorno dura per sei mesi, credo con questo che abbiamo tutto il tempo che ci occorre per portare a termine la nostra missione.»

« Uhm…» fece molto dubbioso Vento, mentre Tempesta si limitava ad osservare in silenzio la cura della foca nell’ occuparsi dell’ orsetto e quanto invece Patatanche si affidava a lei come fosse la cosa più naturale al mondo. Mamma husky s’ intenerì a quella scenetta.

« Peccato che ormai i sei mesi di chiarore stanno per terminare. Mancano solo una ventina di giorni al calare delle tenebre e considerando i quindici per il viaggio senza imprevisti, ci rimarrebbero solo cinque giorni di luce per poter tornare. Sarebbe una follia rischiare, una corsa contro il tempo che non so se valga la pena di fare» concluse Vento.

Gelsomina sgranò i suoi occhioni languidi sull’ husky, che evitò di proposito di soffermarsi su lei e il cucciolo, e prese a far vagare lo sguardo sulle pareti di ghiaccio della sua tana.

Baruffa spostò il peso del suo corpo enorme, prima da una parte e poi dall’ altra, deluso e imbarazzato, mentre Patatanche che si era addormentato, si agitò nel sonno lasciandosi sfuggire un lamento che sembrava un accorato vagito.

Era troppo; mamma Tempesta, che fino allora era rimasta in silenzio ad ascoltare, s’ inalberò e la sua voce si alzò, rimbalzando impetuosa contro le nude pareti ghiacciate:

« Non vale la pena dici?»

Vento sobbalzò spaventato.

« Come puoi parlare in questo modo? Ti rendi conto che se non aiutassimo Gelsomina e il suo piccolo, questo potrebbe significare la morte per entrambi?»

« Suvvia cara… non esagerare. In fin dei conti Gelsomina si è dimostrata una buona madre finora e non è detto…» Vento interruppe a metà la frase. Il lungo e folto pelo della pelliccia di Tempesta sembrava avesse raddoppiato il volume, gli occhi di un bel azzurro intenso divennero tanto foschi e inceneritori, da renderne l’ aspetto inquietante.

« Mio caro» sibilò « sono certa che rifletterai su questo problema con calma e forse cambierai idea. Da parte mia e dei miei figlioli, Gelsomina e questo orsetto avranno tutto il nostro appoggio. Sono disposta a mettermi a capo della muta e a guidare personalmente la slitta fino alla terra degli orsi.» quindi si volse e mentre lo faceva lanciò uno sguardo glaciale al compagno che la guardava sbalordito: « Con te o senza di te… mio caro» concluse sdegnosa.

Vento rimase allibito e senza parole. Deglutì a vuoto cercando di darsi un contegno; poi guardò Gelsomina, Patatanche e quindi Tempesta. Poi di nuovo Gelsomina e Patatanche. Infine, avanzò verso la compagna, fino a che non arrivò a sfiorarla con il muso. Si mise ad annusarla, scodinzolando orgoglioso e felice di averla accanto e le sussurrò:

« Sta tranquilla cara… io sarò sempre con te, ovunque tu vada.»

Tempesta rilassò il corpo sottomettendosi con dolcezza al capobranco.

Tabatha, Baruffa e Gelsomina tirarono un grosso sospiro di sollievo.

fine 1a parte


Vivì 30/01/2020 07:49 889

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«La favola di Patatanche pubblicata da Apollo edizioni nel 2015»

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