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La vigilia e il giorno di natale negli anni 46/50

Sociale e Cronaca

Costumi- usanze- tradizioni

Si attendeva la vigilia del natale, con entusiasmo e gioia; direi quasi con fibrilazione da noi bambini, ma anche dai più grandi.

Come ho avuto già modo di dire, io sono nata e cresciuta in una famiglia contadina, composta da più nuclei famigliari…

Nella nostra casa vigeva l’ accordo, l’ affiatamento, responsabilità reciproca con il dovere e il piacere della convivenza.

Mia madre vergara, era lei che pensava alla spesa, alla cucina, al vestiario di tutta la famiglia. Zia Enrica, moglie di zio Luigi, era la nostra confidente, la nostra accompagnatrice alle feste da ballo che venivano date nelle vicine contrade, o

al paese per le funzioni religiose.

La mattina della vigilia, a turno ci facevamo il bagno in una stanza attigua alla stalla del bestiame bovino, con l’ acqua calda che veniva dalla cucina o esattamente da un serbatoio in lamiera installato nel cammino, nel retro del fuoco. L’ acqua giungeva a noi per caduta per mezzo di un tubo di plastica a getto….ideato dai fratelli più grandi. La mattina della vigilia era d’ obbligo il digiuno anche per noi bambini dall’ età scolare. A pranzo si mangiava un piatto unico di pasta fatta in casa, condita con baccalà o altro ma sempre di magro.

Le sorelle maggiori passavano il pomeriggio a fare le pulizie, e la casa veniva ripulita da cima a fondo con particolare attenzione ad ogni angolo. La casa doveva essere proprio in ordine anche perché le ragazze dovevano ricevere i relativi fidanzati e attendere la venuta del bambino GESù.

Noi bambini in un angolo della cucina, sopra un piccolo tavolo allestivamo il presepe realizzato con tante montagne ricoperte di muschio e stradine tortuose di ghiaia. L e figurine le ritagliavamo dai vecchi libri, con colla di farina le attaccavamo su cartoncini che sistemavamo nella capanna, fatta con corteccia d’ albero. Non vi erano luci e solo il Bambinello era una statuina… Noi credevamo in ciò che si faceva e davanti al presepe con raccoglimento si recitavano le preghiere e le poesie che le maestre ci avevano insegnato.

La sera era una festa arrivavano i fidanzati delle sorelle con i relativi accompagnatori detti *i somari* cioè i portatori materiali dei doni per le fidanzate. Nei pacchi c’ erano per tutti i componenti della famiglia castagne, mandarini, arance, una bottiglia di spumante, caramelle, torrone di mandorle

e per la fidanzata un paio di calze di seta .

Nella nostra famiglia non era ancora arrivato il panettone.

Verso le 19 dopo una breve preghiera di benvenuto a Gesù Bambino si dava inizio alla cena che consisteva in un piatto di baccalà con patate, di stocafisso con gobbi- cardi, di sardella salata con broccoli – cavolfiori e poi tanto per rinfrescare il palato il cuore del sedano al pinzimonio. Vino a piacere per i grandi, per noi piccoli un goccio allungato con l’ acqua tanto per permetterci di festeggiare … Alla fine un’ arancia per ognuno oppure un mandarino e per tutti un pezzetto di torrone alla mandorla. CONCLUDEVA la cena un po’ di vino cotto con buccia d’ arancia il *brulè * che a detta degli anziani aiutava a digerire.

Terminata la cena, si andava quasi tutti alla messa di mezzanotte. Come per un tacito accordo preso in precedenza con le famiglie vicine, man mano che ci

incamminavamo si rideva, si scherzava e lungo il tragitto si raccontava ciò che avevamo mangiato.

Noi bambini parlavamo di cosa avremmo ricevuto dal Bambinello, della letterina che l’ indomani avremmo messo sotto il piatto di nostro padre:

letterina fatta da noi bambini, anche se con l’ aiuto della maestra.

Ricordo di non averla mai comprata quella letterina ma di averla disegnata e poi colorata sempre da sola. AL centro del foglio si metteva l’ immmagine di S. Giuseppe, Gesù Bambino, e la Madonnina. Il poco scritto che si metteva era la

promessa di essere più buoni e bravi a scuola. Il tutto veniva incorniciato con delle * greche* colorate.

La zia Enrica era la nostra guida, mamma restava in casa per aspettare la venuta del Bambinello, rimetteva in ordine la casa e preparava la cucina per ricevere simbolicamente il Bambino; la cucina perché era il luogo più caldo quindi atto a ricevere Gesù. Era un rito una tradizione che puntuale ogni anno si ripeteva.

Il ceppo più grande, di legno migliore il cosi detto *ceppo di natale* si metteva a bruciare la vigilia di Natale e doveva durare fino all’ epifania.

Un lume acceso a lato, una sedia davanti al fuoco sulla quale veniva appoggiato un asciugamano di lino bianco , il più morbido, il più bello…..

un catino di porcellana con dell’ acqua tiepida per il bagno del Santissimo.

Mentre noi ci avvicinavamo al paese, sentivamo suonare le campane a festa

allora si allungava il passo per non arrivare in chiesa in ritardo.

IL vecchio parroco celebrava la s. messa e tutte le luci venivano accese, mentre l’ organo e un coro di voci riempivano la chiesa. IL sacerdote si commoveva e ci mostrava il Bambinello e noi uno a uno lentamente si baciava il simulacro.

Posso dire ci si avvicinava a LUI con umiltà ,devozione amore .

IL ritorno a casa, anche se lungo non ci sembrava duro e faticoso perché una luna luminosa ci faceva compagnia e illuminava la bianca strada e c’ era anche la gioia del ritorno e cantavamo canzoni sacre popolari tutti in coro e

l’ attesa per la sorpresa di cosa noi bambini avremmo trovato ai piedi del letto.

Io ricordo che, quasi sempre vi trovavo un paio di calzettoni fatti ai ferri da mia madre, una maglia di lana di pecora, che quando la mettevo mi dava un forte prurito, ma in compenso teneva caldo…

Si concludeva la vigilia con uno scambio di auguri ai vicini per il giorno dopo, quello di Natale era un giorno sacro e si andava tutti a messa ed anche gli uomini facevano la comunione. C’ era il rito di un rinnovato scambio di auguri. Non si ostentava ricchezza, ma raccoglimento, non c’ era pubblicità, non c’ era snobbismo ma un vivere semplice. Era finita da poco la seconda guerra mondiale e ci auguravamo una pace duratura e il ritorno di tanti giovani fatti prigionieri.

Anche il pranzo di natale si svolgeva nella santa e quieta serenità, si iniziava con brodo di cappone con stracciatella, spaghetti conditi con frattaglie di pollo e pomodoro, parmigiano a piacere. Cappone lesso con erbe cotte… mandarini…

Il pomeriggio si trascorreva in casa attorno al camino acceso, solo verso le diciasette ci si preparava per andare al paese per la preghiera di ringraziamento, e benedizione, allora la s. messa nel pomeriggio non si celebrava.

Il ritorno a casa veniva sempre fatto a piedi con i vicini di casa e confinanti.

La sera di natale i discorsi che facevano i grandi erano improntati inerenti alla campagna, al clima, ai lavori conclusi…… tutti legati alla speranza di un futuro buon raccolto, specialmente del grano cosi importante per la sopravivenza della famiglia. La cena che consisteva in un bel coniglio, cucinato in pentola con ripieno *doveva bastare per 20- 22 persone* il fuoco a carboni accesi veniva messo nel fornello e poi con la ventola si dava aria, perché non si spegnesse,

allora non si pensava lontanamente che la luce elettrica o i fornelli a gas nella grandi città già esistevano. ed era un duro lavoro per la massaia.

Cosi si concludeva il giorno di natale, ,giorno sacro per tutti i credenti, e perché tutta la famiglia si ritrovava unita come dice un vecchio proverbio * natale con i tuoi pasqua con chi vuoi* il natale giorno unico per i cattolici.

IO da piccola ero una bambina timida silenziosa ma sempre attenta ai discorsi dei grandi….ero felice nel mio essere, nel mio mondo, perché potevo godere di una casa spaziosa di nuova costruzione, dell’ affetto dei genitori, fratelli, zii, cugini e parenti tutti. Potevo godere del sole, dei vicini monti imbiancati ai primi freddi, dei prati fioriti nel mese di marzo, di poter correre a piedi nudi ai tepori di maggio. Non chiedevo di più al mio tempo, non avevo paura del mondo perché il mio mondo era li, a mia portata di mano. Se avevo qualche ora di tempo libero

da impegni scolastici o lavori pertinenti a noi piccoli lo dedicavo alla lettura del libro *cuore* che la maestra ci aveva insegnato ad amare.

Oggi invece pur avanti con gli anni,, ho paura del domani e mi chiedo rattristata

quale futuro avranno i nostri figli, i nostri nipoti, perché l’ evoluzione e lo sviluppo della scienza vanno cosi in fretta… da sorpassare affetti, fede e principi morali

in passato sacri per l’ uomo, oggi si guarda al successo, ai simboli che la televisione ci propina, al consumismo, al denaro….Sicchè il S. Natale è stato lentamente ed incoscientemente trasformato in un avvenimento commerciale, anziché santo e religioso.

emiliapoesie39


emiliapoesie39 01/02/2021 17:22 1 546

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«I ricordi dei Natali del passato che tornano con prepotenza e nostalgia in periodo in cui le feste sono passate un po’ in sordina per via della terribile pandemia che ha colpito il pianeta. Tenere viva la memoria anche per il Natale non può che portare bene e rinfrancare lo spirito un sottotono.»
Vivì

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Il primo racconto pubblicato:
 
In una gita della terza età nell’Italia in miniatura (25/01/2018)

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