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L’incredibile fortuna dei signori Porchitorchi

Comicità e Satira

Poiché l’ avevo combinata grossa il mio vecchio mi disse: “ D’ accordo, allora oggi verrai insieme a me a lavorare. Così vedrai come si fatica!”

Mio padre era un giardiniere, e lavorava in giro nei giardini altrui. Potava piante, rastrellava foglie e tagliava l’ erba col suo formidabile tagliaerba. Quel giorno doveva lavorare nel giardino dei ricchissimi Porchitorchi. I Porchitorchi erano la famiglia più facoltosa e potente dell’ intera città. A me mettevano soggezione due cose di loro: il nome, perché mi faceva pensare al tempo stesso a degli orchi e a dei porci molto storti; e il giardino, appunto, perché era chiuso da un muraglione gigantesco dietro il quale chissà cosa si nascondeva. Ma non avevo scelta per cui andai con lui e salii sul suo furgoncino.

Dopo poco arrivammo all’ ingresso della sfarzosa dimora e dieci telecamere ci scrutarono guardinghe.

Entrammo ma non eravamo ancora arrivati, e ci vollero altri diversi minuti prima di giungere nei pressi della villa. Mentre mio padre discuteva con il proprietario, io mi chiedevo quanti soldi ci volessero per possedere tutto questo. Intorno a me infatti si trovavano campi da tennis, da golf, due piscine, una scuderia, oltre a una miriade di piante, di alberi, di fiori delle più svariate dimensioni e colori. Altro che giardino, questo era un vero parco con un’ estensione sbalorditiva.

Tuttavia la goccia che fece traboccare il mio vaso di incredulità, si materializzò quando notai alla mia sinistra il parco elicotteri. Sì, proprio così: il parco elicotteri. Perchè qui non ci si sprecava mica con delle Ferrari o con delle Lamborghini no, qui si utilizzavano direttamente gli elicotteri.

Ormai sprofondato nella più totale invidia ne contai ben cinque.

“ E pensare che questa una volta era una discarica!” -dissi a me stesso ad alta voce.

“ Ah, ecco mia moglie che torna dalla città” -fece in quel mentre il signor Porchitorchi a mio padre e aggiunse: ” bene, bene, così potrà mettersi d’ accordo con lei per la sistemazione di quelle rose.”

Detto questo gli strinse la mano e se ne andò. Così mio padre dovette ricominciare il suo discorso.

La signora però fu abbastanza sbrigativa, e dopo pochi istanti mi ritrovai a potare una siepe che non finiva più. Tutto era splendido, la giornata mite, il luogo un paradiso e i suoi proprietari ricchi sfondati. Possibile che gli unici punti neri, gli unici foruncoli della situazione fossimo io e mio padre?

Sì, era così. All’ inizio non fu facile ammetterlo ma era così. All’ inizio anzi, quando ancora non ero morto di fatica e non grondavo sudore da tutti i pori, cercavo di trovare un lato positivo anche per noi due, tentavo di scovare una giustificazione, cercavo insomma di consolarmi.

Certo -pensavo- in fondo la mia è una bella famiglia, è una famiglia normale, non ci manca niente, abbiamo la salute, ci vogliamo bene. Non siamo benestanti come questi signoroni ma chi se ne importa, dopo tutto siamo felici.

Soltanto che più mi ripetevo queste cose più aumentavano la fatica e il sudore, e meno vedevo la fine di questa montagna di foglie e di rami che dovevo rimettere in ordine. D’ un tratto fui punto da un’ ape e dovetti sospendere momentaneamente il lavoro. Allora lo vidi, mentre ero seduto a terra a succhiarmi il pollice ferito, allora capii davvero di essere una merdaccia altro che storie. Lo vidi, sì, lo vidi in lontananza, ma lo vidi bene. Era lui, il Signorino, il figlio dei padroni di casa. In città lo chiamavano in questo modo, e in effetti questo era il nome giusto per lui. Elegantissimo, chiedeva a uno dei mille servitori presenti qualcosa che non riuscivo a capire. Nessuno dei miei coetanei lo conosceva, veramente nessuno di noi ragazzi ci aveva mai parlato visto che studiava all’ estero.

Per un certo periodo di tempo si era addirittura sparsa la voce che non fosse mai esistito o che fosse morto nel tentativo di domare un coccodrillo. Doveva avere circa la mia stessa età, cioè diciassette anni, ed era già una leggenda, era già una celebrità pur non avendo fatto nulla per meritarselo. Ma erano i soldi in cui sguazzava che gli davano questo potere. Già, lui era un mito e io una nullità che doveva potare una siepe. Bella fregatura.

Allora mi alzai da terra invidioso come non mai, e quando lo vidi dirigersi verso uno degli elicotteri divenni viola dalla rabbia. Iniziai a lanciargli contro ogni tipo di improperio che conoscessi e più potavo più lo insultavo, lui e la sua famiglia di milionari e pregavo Dio che intervenisse a fare giustizia.

E il paradosso fu che a forza di insistere l’ Altissimo decise di starmi a sentire.

La prima scossa si verificò quando non ero ancora arrivato a metà di quella muraglia vegetale. Fu un lieve sussulto e io accecato dall’ ira non ci feci caso. Tagliavo, tagliavo e cercavo di immaginarmi quale cataclisma potesse colpire questo luogo dorato.

Un fulmine poteva centrare la casa -mi dicevo- oppure uno tsunami avrebbe potuto travolgere ogni cosa, o una tromba d’ aria o un tornado o magari un’ eruzione vulcanica. Ma più mi guardavo intorno e più mi accorgevo che niente di tutto questo sarebbe accaduto. Di fulmini, infatti, neanche l’ ombra visto che eravamo in una limpida giornata di aprile, il mare era lontano cinquecento chilometri quindi addio tsunami, non c’ era un filo di vento neppure a pagarlo e il vulcano più vicino era a duemila chilometri da qui. Dunque questa dimora imperiale era al sicuro.

In ogni caso continuava a ronzarmi in testa il nome di un altro evento catastrofico che però non riuscivo a ricordare. Quando alla fine pronunciai la parola “ Terremoto” ci fu una seconda terrificante scossa che spaccò in due parti la siepe, e che fece crollare mezza villa.

Di questa me ne accorsi altro che, e corsi via come un razzo mentre intorno a me gli alberi e le piante venivano giù. Durante la corsa pensai di aver esagerato con tutta questa mia invidia, ma ormai era troppo tardi. Mi misi a cercare mio padre ma non lo trovai. Mentre procedevo con estrema cautela cercando di restare calmo mi guardavo in giro. Mi accorsi che ogni cosa era stata messa sottosopra: elicotteri, alberi, piscine, servitori, fiori e palline da golf. Di colpo però fui colto da un’ immensa soddisfazione nel constatare come perfino questi ricconi non fossero immuni dalle catastrofi.

Ecco che la disgrazia tornava a rendere tutti uguali: ricchi e poveri, patrizi e plebei, belli e brutti.

E il signorino? -mi chiesi sarcastico. Che fine avrà fatto? Sarà riuscito a prendere il suo elicotterino?

Mi misi a ridere. Lo so avrei dovuto fare altro, ma in mezzo a tutto quel caos provai una gioia immensa, feroce. Perché giustizia era stata fatta, ecco cos’ era, perché perfino i proprietari degli elicotteri piangevano. Invece mi sbagliavo.

Arrivato davanti alla scuderia dei cavalli trovai mio padre con il naso all’ insù insieme ai signori Porchitorchi. Ci misi un po’ a mettere a fuoco la situazione, ma intuii d’ istinto di essere stato beffato. Da un profondo squarcio nel terreno, infatti, si innalzava fin nel cielo azzurro uno zampillo gigantesco che poi ricadeva a terra. Intorno a esso intanto il Signorino felice conduceva con maestria il suo elicotterino. Era nero quel liquido, era petrolio.

“ Bene” -si limitò a dire il padrone di casa- ” avevo giusto la necessità di allargare questa topaia.”

E caddi come corpo morto cade. Una volta a terra però, riguardai ancora quel liquido nero che si alzava maestoso nell’ aria, ed ebbi come l’ impressione di notare sulla cima zampillante qualcosa di singolare. Naturalmente data l’ altezza e la distanza potevo sbagliarmi, eppure mi sembrò davvero di scorgere uno strano arnese. Sembrava un’ arma, sì, sembrava proprio una cosa particolare, forse una scure.

Mio Miao 22/08/2012 08:32 1115

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Il figlio scapestrato di un giardiniere, un terremoto e una ricca famiglia borghese»

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Una tigre dalla pelle bianca (05/10/2010)

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