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Un giorno di vento

Viaggi e Avventura

Il mio rapporto con gli animali è sempre stato speciale. La mia fortuna fu forse quella di essere nata in quella splendida terra che è la Calabria e di avere vissuto i primi anni della mia vita, a contatto con la natura ed il mare.

Ero tornata nella mia terra per una vacanza nostalgica di un mese, dopo parecchi anni. Avevo trovato il paesaggio cambiato in quanto erano sorte molte costruzioni e diversi impianti turistici, ma nonostante ciò le spiagge ed il mare erano quelle che portavo sempre dentro di me, col loro grande fascino.

Quella mattina mi ero destata al soffio di un impetuoso vento che faceva sbattere le persiane e i rami delle piante tropicali del giardino, di quella casa che avevo preso in affitto sul litorale ionico, là dove avevo trascorso la mia bellissima infanzia.

Aprii le imposte ed un cielo colmo di nuvole nere si offrì al mio sguardo ancora un po' assonnato. Le onde del mare infuriato sbattevano contro gli scogli appena sotto casa. Provai una forte emozione a quella vista, e mi venne improvvisamente voglia di uscire e correre sulla spiaggia come quando da bambina andavo sul bagnasciuga per farmi inondare il viso dagli spruzzi dell'acqua salata, ridendo e scappando, mentre mia madre, preoccupata che un'onda più grande ed improvvisa mi potesse travolgere, mi inseguiva.

Mi vestii con una leggera tuta estiva, visto che era il venti di agosto, ed uscii. Camminai per qualche chilometro fino a raggiungere un'insenatura sotto una scogliera dove il mare si frangeva più impetuoso. Mi ero portata sulle spalle un grosso asciugamano nell'eventualità che giungesse anche la pioggia. Quando mi sporsi dalla scogliera rimasi di stucco. Un pellicano si dibatteva sulla sabbia tentando di alzarsi in volo, senza però riuscirvi. Un'ala doveva essere ferita perché non si chiudeva bene né riusciva ad aprirla del tutto, per poi spiccare il volo. Scesi la scogliera e mi avvicinai titubante: cosa potevo fare per lui? d'istinto mi tolsi l'asciugamano di dosso e mi avvicinai lentamente parlandogli con voce calma. Naturalmente non capiva nulla, ma evidentemente intuì che si sarebbe potuto fidare di me e rimase immobile lì sulla sabbia, mentre io gli mettevo addosso l'asciugamano e lo avvolgevo. Lo presi lentamente in braccio facendo in modo che il becco rimanesse rivolto verso l'esterno. Mi incamminai con lui in braccio a fatica perché pesava parecchi chili, e mi avviai verso casa. Ancora non sapevo cosa avrei potuto fare per lui, ma seguivo solo l'istinto. Giunta a casa riempii d'acqua di mare un grosso canotto che trovai nella cantina e ve lo deposi dentro. Non sapendo quale fosse il cibo che avrebbe gradito, chiusi la porta a chiave e andai a in cerca di un veterinario. Ma nel giro di parecchi chilometri non trovai nessuno studio aperto. Cercai una libreria dove potere trovare qualcosa per documentarmi su di lui. Dovetti arrivare fino a Catanzaro per trovarne una aperta e ben documentata. Finalmente tra le pagine di un libro sugli uccelli vidi la foto che ritraeva quella specie. Veniva definito come un Morus bassanus, una specie di pellicano, appunto. Il testo diceva che l'animale si nutriva di piccoli pesci e che quella del Morus bassanus si poteva trovare anche nei paesi meridionali dell'Italia e in tutte le coste tirreniche.

Intanto avevo ricevuto una telefonata della mia amica che divideva con me la casa di vacanza e che la mattina uscendo avevo lasciata ancora a dormire. Entrando nel salone era rimasta stupita alla vista del pellicano. Chiamandomi al cellulare, -mi disse: "Ma chi ha portato a casa quella bestia! Appena mi ha vista si è messo a fare strani versi e sembrava mi volesse attaccare! Cosa faccio adesso?" aggiunse con un tono di voce tra l'irritato ed il preoccupato:

"Niente" - le risposi con un timbro di voce che non ammetteva repliche - "non fare niente, sto arrivando io col cibo, non spaventarlo".

Lei richiuse la porta e si mise sulla terrazza ignorandolo.

Quando mi avvicinai a lui tentando di mettergli vicino i piccoli pesci che avevo comprato, all'inizio rimase immobile poi improvvisamente lo vidi aprire il grosso becco giallo e rimanere fermo. Io titubante presi un pesciolino e glielo feci letteralmente cadere dall'alto dentro la gola. Mi accorsi che gradiva il cibo in quanto subito dopo riaprì di nuovo il becco mettendosi nella medesima posizione di prima. Continuai a nutrirlo fino a quando dimostrò di essere sazio tenendo il giallo becco, chiuso.

L'ala era sempre come abbandonata sul dorso e così compresi che si era ferito, e che molto probabilmente il forte vento lo aveva fatto sbandare e sbattere sulla scogliera durante i suoi primi voli. Compresi infatti che era molto giovane dal colore delle sue piume che erano ancora tendenti al grigio, cosa che secondo il testo del libro, era indice della tenera età; si sarebbero sbiancate durante la crescita.

I giorni trascorrevano e noi due eravamo sempre più amici. Lui mangiava tutto quello che gli davo e beveva l'acqua dolce che gli facevo cadere lentamente dentro il becco goccia a goccia. L'ala ritornava sempre più sulla sua posizione normale e mi rassicurai sul fatto che sarebbe guarito. Il pellicano che io avevo soprannominato Pelligna diveniva sempre più docile e quando mi vedeva arrivare mostrava la sua gioia girando su sé stesso in una specie di danza. Non sopportava invece la presenza della mia amica. Infatti quando lei tentava di avvicinarsi lui arruffava le piume in segno di irritazione.

La sua salute migliorò, e ora si mostrava accondiscendente quando lo facevo uscire dal canotto e gli facevo fare qualche passo nella terrazza.

I giorni trascorrevano e ormai capivo quando volesse mangiare oppure uscire dall'acqua per muoversi sul terreno anche se con qualche difficoltà, essendo un palmipede.

Negli ultimi tempi, lo sorpresi più volte mentre tentava di aprire la sua ala ferita. Capivo che fra non molto sarebbe stato in grado di volare ancora.

Del resto, ormai la vacanza giungeva al termine ed io cominciai a pensare che lo avrei dovuto lasciare. A quel pensiero mi prendeva una sensazione di mancanza e di tristezza; ma la vita è fatta di incontri e di abbandoni a cui l'uomo si deve abituare, suo malgrado, ed era una cosa che io mi ripetevo per convincermi che avrei dovuto lasciarlo.

Ormai le valige erano pronte per la partenza che sarebbe dovuta avvenire il giorno dopo, dall'aeroporto di Reggio Calabria.

Verso sera, riavvolsi nell'asciugamano il mio amico e mi apprestai a riportarlo nella spiaggia dove lo avevo trovato ferito, mentre grosse lacrime scendevano dalle mie guance e bagnavano le sue piume. Lui non si muoveva ed attendeva fiducioso il nuovo evento. Giunti sulla spiaggia, lo salutai parlandogli con la voce rotta dal pianto, tentai di spiegargli che ci saremmo dovuti lasciare. Poi entrai nel mare e lo posai su uno scoglio che emergeva dall'acqua. Quella sera il mare era calmo come una tavola, e sembrava rispecchiasse la dolcezza del nostro addio.

Dopo averlo posato sullo scoglio, fuggii fuori dall'acqua. Poi mi voltai e lo vidi che mi osservava immobile senza capire. Ma improvvisamente scese nell'acqua e si mise a nuotare verso di me. Rientrai e tentai di spingerlo all'indietro verso il largo ma lui si girava e ritornava verso la spiaggia. Compresi che l'addio era doloroso anche per lui. Mi misi a parlargli questa volta quasi urlando: "Ma non capisci che questa è la tua vita, che non posso portarti con me, che ti voglio ridare la tua libertà"! Egli mi guardava indeciso capii che avrebbe voluto portarmi con sé. Ma lì era giunto il momento di riprendere il nostro viaggio, ognuno verso la propria meta.

Restammo così, fermi ed immobili per alcuni minuti quando io rientrai in acqua e lo spinsi a sollevarsi in volo. Dopo qualche esitazione Pelligna si alzò prima lentamente, poi con sempre più vigore, riprese la via della salvezza non prima di avere fatto un giro di volo proprio sul mio capo.

La mattina dopo, mentre mi avviavo verso l'aeroporto, scrutavo il cielo e mi chiedevo se lo avrei rivisto. Quando improvvisamente vidi un gruppo di pellicani che volava in formazione poco lontano dalla spiaggia dove lo avevo lasciato. Mi piacque pensare che lui fosse dentro quel gruppo e che avesse ritrovato i suoi amici per trascorrere con loro il suo tempo.

A distanza di anni, quando ripenso a quella vacanza, la ricordo come una delle più emozionanti che abbia vissuto e se vedo in cielo stormi di pellicani, mi immagino fra di loro anche Pelligna.


Antonella Modaffari Bartoli 27/10/2010 18:08 2 1695

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Questo racconto nasce da una mia esperienza realmente vissuta...»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Antonella scrive una storia reale dipinta di mistero e di passione.
Lo stile del racconto è limpido come l'alba sul mare della sua infanzia in Calabria.»
Sergio Melchiorre

«Brano molto bello ed elaborato abilmente.
Rilascia particolari sensazioni di serenità e dolcezza, durante la sua lettura, molto apprezzato»
Silvia De Angelis

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Il primo racconto pubblicato:
 
Un giorno di vento (27/10/2010)

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