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Ritorno alle Eolie

Biografie e Diari

Cara Amica mia, prima di cimentarti nell’ennesima lettura delle mie visionarie descrizioni vacanziere, promettimi una cosa: quando ti sarai veramente annoiata delle mie solite lungaggini, dimmelo sinceramente perché il timore di tediarti spesso mi rovina il piacere di chiacchierare con te come se fossi qui vicino.

Anche quest’ anno ho desiderato rivivere l’esperienza di un periodo vissuto in solitudine e, riguardo a questo mio continuo bisogno, credo anche di avere capito da cosa deriva. So che il futuro che prima o poi purtroppo dovrò affrontare è fatto di solitudine e questo mi spaventa. Non so se sono più forte di ciò che penso o forse più debole di quanto non sembri. Il fatto è che ho paura, perciò la ricerca della solitudine è anche un modo per mettermi alla prova, per sperimentare ciò che mi aspetta e, in un certo senso, anche per esorcizzarla e non farmi trovare impreparata, per imparare che anche in questo può esserci qualcosa di piacevole, poiché fondamentalmente ho sempre una visione positiva delle cose.

A Vulcano tra miti e natura

Come promesso e come richiesto da te, ti racconterò non in breve la mia seconda e non ultima vacanza eoliana. Ti dirò che l’ impatto del ritorno non è stato proprio positivo, rispetto all’ anno scorso ho notato progressi che non mi sono piaciuti, meno bici e più motorini, auto sbarcate senza limitazioni e rumori aumentati di qualche decibel. Ora capisco maggiormente lo scontento di chi racconta com’ era primitiva e affascinante l’ isola 20 o 30 anni fa, se in un solo anno ho trovato molte cose cambiate.

Potrei dire semplicemente, mia cara, che ho trascorso una settimana al mare a metà giugno nello stesso posto dell’ anno scorso, in un albergo ancora in costruzione, che i primi due giorni li ho passati con le amiche mentre per il resto il tempo è stato incerto, ventoso e fresco, ma così darei un quadro approssimativo e poco esaltante della faccenda. La settimana si ridurrebbe ad un contenitore in cui sono gettati oggetti alla rinfusa: tanta confusione e poca attrattiva. Ma basta avere un po’ di inventiva per dare al tutto un sapore più appetitoso.

Così mi sono inventata la tecnica di Didone. Ricorderai certamente la leggenda di questa bella regina fenicia costretta a fuggire da Tiro dopo che il fratello le aveva assassinato il marito Sicheo e, giunta sulle coste africane con pochi fedeli, ottenne dal re Jarba tanta terra quanta ne poteva contenere la pelle di un bue. E allora cosa ti fece l’ arguta donna? Tagliò la pelle in striscioline sottilissime segnando il perimetro di un territorio così vasto da fondarci una città dalle dimensioni e dalla potenza di Cartagine! Una tale donna non meritava davvero di morire suicida per un Enea qualsiasi, nemmeno secondo la fantasia di un vate come Virgilio!

Che c’ entra Didone, ti chiederai? C’entra, c’entra! Prendi per esempio un sacchettino di biglie colorate: è solo un insieme di cianfrusaglie. Infilate ad una ad una con il filo della fantasia e del tempo, possono diventare una preziosa collana variopinta. È quello che faccio ora descrivendoti gli avvenimenti annunciati alla rinfusa poche righe fa, cominciando magari dalla partenza.

Il viaggio di andata è ottimo, arrivare sulla nave con circa due ore di anticipo mi consente di scegliermi un buon posto e di sistemarmi comodamente. Il cuscino da viaggio scovato all’ ultimo momento mi ha evitato il torcicollo e i tappi di ovatta nelle orecchie mi hanno isolato dalla confusione esterna. Sono solo indolenzita nella zona posteriore e mi rigiro in cerca di una posizione meno scomoda. Ciò nonostante dormo a lungo e mi perdo anche l’ alba in vista di Stromboli. Mi sveglio alle 6 meno 5… il mio fondo schiena almeno un’ ora dopo. Mi trasferisco sul ponte per consumere la mia colazione e godermi il panorama. Quando alle 9 il sole comincia a scottare, prendo la borsa da viaggio e mi cambio con l’ abilità di una trasformista da teatro. Cambio di scarpe, via il maglioncino, via i pantaloni e compare l’ abitino di velo a coprire il costume che avevo già addosso. Tiro fuori cappello e occhiali scuri e mi spalmo di abbronzante… il tutto in un paio di minuti e sotto lo sguardo incredulo di una signora che osserva stupita la mia trasformazione. Eh si, ormai sono una viaggiatrice organizzatissima. Effettuo l’ operazione inversa al ritorno, con la stessa abilità.

E’ stato un po’ scoraggiante svegliarmi i primi giorni verso le cinque del mattino al rumore della tempesta. Penso: ma come, ho solo pochi giorni a disposizione per fare il pieno di sole e di bagni di mare e il tempo si mette a fare le bizze? Ancora intronata dal sonno, apro le fessure delle tapparelle e lo spettacolo che mi si è offre non è per niente da vacanza balneare. L’ isola è sferzata da un vento pazzesco che porta le onde a sommergere tutta la spiaggia, una pioggia torrenziale scende tra un fragore di tuoni e lampi. Hai presente quelle scene di tempeste nel Pacifico viste in tanti film, con le palme piegate dai tifoni? Beh, qualcosa di simile, un’ autentica “ Tempesta nei Mari del Sud”. Avevo scelto quest’ hotel ancora non ancora completato per essere il più possibile vicino al mare, ora il mare praticamente mi fa l’ onore di arrivare quasi in camera. Non mi resta che rotolarmi ancora qualche ora tra le lenzuola finchè il cielo non abbia smaltito tutto il malumore… e infatti, in mattinata ritorna il sole più caldo che mai, come se niente fosse successo! E non ho mai saltato un bagno.

Invece di prendermela più di tanto, ho pensato che il cattivo tempo fosse parte dello scenario e che ogni epoca ha avuto il suo G8. Qui c’è stato il D8 – convegno di dei, incontro al vertice, happening, meeting… o meglio, “ miti” ng, una convention mitologica dell’ Olimpo che, fortunatamente, raggiunge il culmine solo all’ alba. Eolo, nel suo regno, scatena i suoi venti migliori per onorare i divini parenti. Poseidone aizza Tritone che con il suo tridente pungola i cavalli marini e questi si imbizzarriscono schiumanti di furore. Su tutti troneggia il grande Zeus, generoso di fulmini e saette, in lite con Hera, la gelosa consorte che tuona minacciosa. Solo Vulcano, l’ Efesto brutto e storpio padrone di casa, per fortuna resta impassibile ai capricci estivi della vogliosa Afrodite, moglie bella e infedele che il Fato bizzarro gli ha dato in sposa. Infatti limita la sua presenza al fumo silenzioso delle sue fucine nelle viscere del grande cratere. Ma dopo una notte frenetica i signori dell‘ Olimpo lasciano il posto a Helios che con il carro infuocato del sole accarezza Gea, la dea Terra, che si risveglia nel pieno splendore.

Dopo un temporale estivo questa terra manifesta tutta la sua magnificenza. Rinvigorita dall’ acqua piovana, ripulita dal manto di polvere che l’ appanna, la natura prorompe in un’ esplosione di colori e profumi. Anche le piantine più umili, più insignificanti, che sembravano morte si ergono con fierezza sul ciglio della strada, negli anfratti tra le rocce laviche dando vita a composizioni di vividi colori su un tappeto di sabbia vulcanica nera e scintillante. Sullo sfondo c’è il mare, ora azzurro terso, ora appena offuscato da qualche nuvola che copre momentaneamente il sole.

Con questa premessa è un piacere marinare la spiaggia qualche volta per passeggiare tra i viali alberati o avventurarmi per stradine non ancora esplorate. Così scopro la bellezza di Vulcanello, la penisoletta tra la spiaggia nera ed il braccio di mare che la separa da Lipari. Il vento è calato e, sotto un sole incerto, mi arrampico per la salitella che porta all’ estremità nord di Vulcanello fino alla scogliera a strapiombo sul mare. Lo spettacolo è da mozzare il fiato. Una vegetazione selvaggia ma non incolta, come curata dall’ alto da una mano invisibile, sfida l’ arsura di questa terra e dell’ aria salmastra e crea contrasti di colore sulle rocce nere o brunite. Spazio intorno con lo sguardo: sono visibili nitidamente tutte le Eolie: a ovest Filicudi e più in là Alicudi, la lontana, quasi irraggiungibile; a nord- est Panarea con Basiluzzo e il cono perfetto di Stromboli. Di fronte, quasi a toccarla con mano, Lipari, i suoi faraglioni e l’ arco naturale che ieri, visitandola, ammiravo dal lato opposto, dal belvedere di Quattrocchi. Poco oltre si scorge Salina, l’ unica su cui non sono ancora sbarcata.

A questo punto il tempo muta di nuovo, un cambiamento non solo meteorologico, ma assisto ad una vera e propria metamorfosi. Vulcano si trasforma nelle isole Aran (Irlanda), la scogliera mediterranea è identica alle Cliff of Moar sferzate dal tempestoso Mare del Nord… Per ironia della sorte sono ospite al residence “Mari del Sud”!

Ho sempre amato la foschia dei paesaggi nordici, con quel clima malinconico e misterioso ma da qualche tempo, affascinata dalla recente scoperta del sole e del caldo sud, avevo quasi dimenticato la bellezza di un cielo coperto da nubi capricciose, di un mare che manifesta la sua potenza con il fragore delle onde infrante sugli scogli, mentre una spuma frizzante pervade l’ aria dissolvendosi con uno sfrigolio che ti solletica l’ udito. È uno spettacolo superbo. Una sensazione sopita si risveglia in me, un misto di malinconia, rimpianto e timore, tristezza e gioia mi attanaglia la gola. Un’ emozione passata, più vecchia di me, qualcosa di atavico insito in me stessa, quasi a rievocare con nostalgia un’ epoca antica, millenni di vita impressi nel sangue dell’ umanità.

Meglio prendere la via del ritorno, ma è inutile affannarsi, tanto ormai sono rassegnata a bagnarmi, nessuno è morto mai per un po’ di pioggia, e poi dovevo pur fare il bagno… ma qui ormai piove che Dio la manda giù tutta!

Ridacchio al pensiero che certamente qualcuno si sarà stupito nel vedere andare in giro una matta con costume da bagno e copricostume in tulle, scarpette traforate di cotone, giacca a vento impermeabile, che poi si è rivelata niente affatto impermeabile. Dalla tasca posteriore dello zainetto che si trascina in spalla spunta un grosso fascio di rosmarino raccolto sulla scogliera poco prima. No, non è una matta qualunque, SONO IO!!!… vabbè, ugualmente matta ma decisa a non perdere un istante della mia breve vacanza e di sfruttare a mio vantaggio anche il cattivo tempo. È stata una mattinata intensa, ho percorso forse 2 o 3 chilometri tra salita ardua e falsopiano stancante, partita col sole e tornata con la pioggia ma soddisfatta di avere scoperto uno degli angoli più suggestivi dell’ isola, tanto che rifarò il percorso nei giorni seguenti anche sotto il sole pomeridiano. Continuo imperterrita con andatura normale ma, per tornare in hotel, preferisco tagliare per la spiaggia. L’ unica cosa da fare è una doccia calda, vestiti asciutti ed una buona merenda con pane fresco, prosciutto e melone innaffiati dallo zibibbo frizzante che ho in frigo. Ormai sono totalmente inzuppata di pioggia, la spiaggia è vuota e invitante, il mare tranquillo si lascia punzecchiare dalla pioggia, il vento per fortuna non c’è… non sarebbe il caso di approfittarne? Tanto, più bagnata di così!… E allora, incurante dello sguardo curioso dei camerieri del vicino ristorante che mi osservano dalle vetrate come fossi davvero matta (… e anche se lo fossi davvero, ma chi se ne importa?&hellip, torno indietro per lasciare le mie cose su un pattino, improvviso uno strip pluviale e vado a farmi il bagno più strano e inedito della settimana. Dimmi tu se un po’ di pioggia può spaventarmi!

Il pomeriggio è infuocato come se niente fosse successo e, per riscaldare le mie povere ossa, rinuncio volentieri al riposo pomeridiano, preferisco passeggiare fino all’ inizio della salita al cratere a scovare erbe, capperi e finocchio selvatico da portare via, e poi fino alle fumarole, per il mio benefico fango quotidiano. È buffo e riposante starsene ad arrostire sotto il sole pomeridiano in quest’ acqua densa e piacevolmente puzzolente, poi respirare i vapori benefici seduti tra gli anfratti della roccia vulcanica. Sembra di stare tra i dannati dell’ inferno dantesco… ma questi sono dannati beati.

Ormai sento che sono davvero legata a questa terra che risveglia in me un sentimento di appartenenza e so che una settimana non mi basta più. Io che provo il bisogno continuo di muovermi, di vedere nuovi posti e nuova gente sono quasi tentata di mettere radici tra questi scogli, come le piante selvatiche che si aggrappano con forza tra rocce e sabbia pur di succhiarne nutrimento e vita. E per una come me che vive la sua inquietudine viaggiando, cercando il continuo spostamento, che quando arriva in un luogo sta già pensando di raggiungerne un altro… beh, direi che non è poco!

Non ti nascondo, cara amica, che quasi cedo all’ impulso di comporre il numero di telefono segnato sul cartello “ VENDESI” all’ ingresso di una graziosa casetta ornata da due ibiscus rosso fuoco. È affacciata sul viale principale, quello che considero ormai il mio viale, quasi di fronte alla mia chiesa, vicino alla mia salumeria e alla mia rosticceria, presso il vialetto del mio hotel. Poi penso alla spesa che sarebbe troppo onerosa per me, al fastidio della manutenzione e della gestione a distanza… e se poi col tempo la magia sparisse?... No, no! Mi basta volgere un attimo lo sguardo al Vulcano lì, dinanzi a me, per decidere che è meglio sentire di appartenere solo alla nuda terra, senza legarsi alle cose, perderei il sapore della totale libertà che costituisce la maggior parte del fascino che quest’ isola esercita su di me.

A Panarea

Appena il mare smette di fare le bizze e vengono ripristinati i collegamenti, sono pronta a salpare per Panarea, la bianca, la mondana, un vero gioiello da girare in lungo e in largo, bellissima da visitare ma dove sento immediatamente che non vorrei soggiornare, non so spiegare perché, è sempre la solita questione di pelle.

Ciò che ricorderò sempre di quest’ isola è l’ odore, un profumo misto di capperi e gelsomini che fiancheggiano la stradina fino alla contrada di Drauto. La loro fragranza mi accompagna per tutto il cammino tra casette bianche dalle imposte azzurre che brillano sotto un sole splendente di nuovo a tutto schermo. Il cammino è mozzafiato sia per la fatica che per la bellezza del paesaggio. Incurante dell’ ora calda, mi arrampico in un continuo saliscendi fino a raggiungere la spiaggia di sabbia dorata di Cala Zimmari. Poi su, per una scala scolpita nella roccia a strapiombo sul mare, fino al sito preistorico di Drauto a Cala Junco e Capo Milazzese.

Raggiungo la vetta congestionata dal caldo e dalla fatica ed incrocio un pischello con almeno 20 chili e 20 anni in meno. Questi mi osserva mentre ansimo, viola per lo sforzo ed il sole a picco e sghignazza impietoso con l’ amico: “E’ divertente osservare la sofferenza altrui quando tu hai già smesso di soffrire”. In quel momento mi barcameno tra due opzioni: – A: lo mando a quel paese – B: con una leggera pressione della punta del mio indice sul suo insulso torace lo faccio rotolare giù per la scogliera mettendo fine ai suoi inutili giorni. Poi in una frazione di tempo scelgo una terza via e mi limito a sibilare col poco fiato a disposizione: “ E questo pure è vero…” Ma un “vaf” mentale glielo mando!

Per prendere fiato mi siedo su uno spuntone di roccia e ammiro estasiata il mare smeraldo sotto di me, è il caso di immortalare lo spettacolo magnifico ma la macchina fotografica si inceppa e non riesco a scattare nemmeno una foto. Dopo un primo momento di rabbia mi dico che questo è un segno. Devo assolutamente tornare nelle Eolie, magari proprio a Panarea. Per ora posso solo imprimermi negli occhi questo paradiso. Resto seduta ancora un po’ e cerco di imprimermi nella mente, quasi fosse una camera oscura, il quadro d’ insieme che mi sta davanti: la penisoletta con i resti del villaggio preistorico protesa nel mare in una delle più incantevoli baie del nostro paese. Mi viene da pensare che gli uomini di questa antica civiltà saranno anche stati primitivi ma non erano per niente fessi a scegliere dove vivere!

Dopo un giro tra i ruderi percorro i sentieri montani fino a Campo Milazzese, un vero bagno di splendida solitudine su questo altopiano perso tra cielo e mare, mi vengono in mente solo i versi della canzone di Antonacci:

“ Certe volte guardo il mare, questo eterno movimento,

Ma due occhi sono pochi per questo immenso… E capisco di esser solo…”

Poi guadagno di nuovo la discesa verso la spiaggia per concedermi un bagno divino in un mare smeraldo tra i ricci che giocano a rimpiattino presso la scogliera. Sdraiata sulla sabbia dorata (non nera, stavolta) ammiro lo spettacolo indescrivibile della costa sicula nitida sullo sfondo da cui si eleva lei, la Signora, l’ Etna, incredibilmente ancora spruzzata di neve in questa estate ormai affermata. È un contrasto straordinario!

Fino al pomeriggio percorro tutti i sentieri possibili fino alla contrada di Ditella, a nord del porto.

Sere isolane

Quando la sera, dopo cena, vado a fare i soliti due passi sul molo prima di andare a letto, provo la sensazione di blocco totale, le gambe si rifiutano di portarmi oltre. L’ orologio biologico mi fa capire che il mio fisico ha un limite oltre il quale non posso andare, anche se lo spirito non è mai sazio di questi spazi intorno a me. Conosci quella canzone di Zucchero e Gino Paoli? “ Nel mondo io camminerò tanto che poi le gambe mi faranno male”.

Ebbene, è proprio il desiderio immenso che provo quando mi trovo in posti simili, è la mia colonna sonora, anche perché continua con altre frasi che rispecchiano il mio desiderio di girovagare: “ Nel mondo io guarderò tanto che poi gli occhi mi faranno male”. A dire il vero, l’ ultimo verso dice anche: “ Nel mondo io amerò tanto che poi il cuore mi farà male”… Ma questo è tutto un altro discorso…

Buon Ferragosto 2001


Anna Piccirillo 15/08/2014 10:22 1155

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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