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Nodo d’amore

Amore

Quello che vi stiamo per raccontare non è un fatto d’ altri tempi, che sembra uscito fuori da un romanzo dell’ 800, ma è invece la libera interpretazione di una reale storia d’ Amore cominciata nel Terzo Millennio dell’ Era Cristiana.

Il treno corre veloce tra le campagne emiliane. Lunghe distese di campi, inframezzate da macchie di alberi che ondeggiavano al vento. Come spiriti in cammino tra terra e cielo, seguono la corsa di questo treno e i pensieri di Fabiola. Una giacca verde pistacchio, come il colore della primavera, la carnagione olivastra, un viso semplice, senza un velo di trucco, a svelare la bellezza calda e forte delle donne del Sud. Negli occhi scuri e profondi, le lacrime sono ormai un ricordo, e il desiderio si tuffa nell’ infinito nocciola, rimbalzando saette di speranza.

“ Una brava ragazza molisana che va incontro al suo amore lontano” il messaggio che si legge in quello sguardo, che ha conosciuto la sofferenza e che ora guarda oltre la landa infreddolita che si sta svegliando, al di là del finestrino.

Intanto, alla stazione di Bologna c’è un giovanotto che freme. E’ sabato. I treni che arrivano scaricano il loro carico umano, che si disperde in una folla senza volto. Uomini e donne affaccendati che si incontrano, si salutano; bambini che cinguettano risvegliati dalla Primavera, un gruppo di suore che attende al binario, carovane di giovani che volano verso la libertà. Ma Franco non li vede, non sente nemmeno il brusio continuo e assordante, l’ altoparlante che annuncia gli arrivi e le partenze. Davanti agli occhi ha un solo volto, due labbra sensuali che si atteggiano a un sorriso. Senza accorgersene sorride anche lui, mentre la gente lo guarda incuriosita e sulla città nebbiosa si alza una nuova luce.

Le invia un messaggio sul cellulare.

Chi sei Fabiola, perché mi ha rubato il cuore? Ti amo non vedo l’ ora di riabbracciarti!”

Un treno che corre, un messaggio che vola attraverso l’ etere.

Ma la tecnologia del futuro non ha cambiato i sentimenti di sempre, e in una società che si è abbruttita, dove la violenza e la superficialità tessono ragnatele nei cuori, può ancora nascere un amore sincero, puro e candido come i gigli che la mamma di Fabiola coltiva sul balcone.

Dimmi tu che devo fare, mi hanno detto che se ti rivedo ancora devo fare la valigia e andare via di casa. Ho paura, aiutami, ti prego”

Fabiola non aveva risposto, ma da allora non l’ aveva più visto. Valeriano, il suo primo, grande amore, il ragazzo che avrebbe dovuto sposare non appena avesse terminato l’ università, non aveva avuto il coraggio di imporsi con i suoi e l’ aveva cancellata dal suo cuore, come con uno sbaglio sul quaderno. Via il brutto segno che era sfuggito dalla biro, adesso il foglio era tornato come nuovo, pronto per riscriverci.

Questa cosa Fabiola non l’ aveva mai capita, perché per lei era impossibile riscrivere daccapo un amore che era cominciato a quindici anni, sui banchi di scuola, che aveva la benedizione di mamma e papà.

Nonostante l’ estrazione sociale del suo ragazzo non fosse delle migliori, i genitori di Fabiola l’ avevano accettato senza indugio, sembrava un bravo ragazzo, onesto, lavoratore, il resto non contava. E Fabiola, che era una ragazza dinamica e sicura di sé, aveva cominciato ad essere indipendente, facendo un lavoretto simpatico. Un giorno le era arrivata una telefonata. Era stata scelta tra un campione di utenti telefonici molisani per una ricerca di mercato. Qualche mese dopo le avevano proposto di registrare dei programmi televisivi in una tv locale per una società di marketing del Nord.

Fabiola non sapeva che quella telefonata avrebbe cambiato la sua vita.

E così si era ritrovata sola, con quel groppo in gola di chi si è sentita rifiutata e messa alla porta da chi mai se lo sarebbe aspettato. Quattro anni era stata con quel ragazzo che diceva di amarla e di volerla sposare, poi la sorella e i genitori di lui si erano intromessi e l’ idolo dei quindici anni si era trasformato in un giovanotto codardo.

Devi capire, non esistono più grandi sentimenti, gli ideali, l’ amore eterno, in questo mondo bisogna prendere quello che c’è”. Era questo che le dicevano le amiche, troppo spesso ferme alla superficie delle cose, attente a fare le vezzose con i ragazzi.

Per Faby l’ amore era un’ altra cosa e la vita, senza ideali, non valeva la pena di essere vissuta. Però quella delusione le scottava dentro, straziandole l’ anima.

I giorni e i mesi trascorrevano piatti, nell’ ambiente ovattato di Venafro, l’ unico diversivo era quella telefonata settimanale da parte del responsabile dell’ Agenzia di Marketing per la quale lavorava. Quell’ uomo era divertente, ma di lui non sapeva nemmeno il nome. Lo chiamava signor Viscas, e avrebbe potuto avere qualsiasi età. Però era così educato e simpatico che ogni lunedì le scacciava il magone di una domenica insulsa.

Fabiola non se ne rendeva nemmeno conto, ma quelle telefonate diventano sempre più lunghe, alle notizie di lavoro si aggiungeva qualche nota più personale.

Le dispiace se la chiamo anche domani sera?” le aveva detto, e lei aveva accettato con gioia.

Non aveva mai conosciuto una persona così compita, un vero e proprio gentiluomo, come oramai non ne esistono più.

E a poco a poco quell’ appuntamento cominciava a diventare importante, un momento tutto per sé nel quale dimenticare le malinconie. Viscas le chiese di inviargli una foto, perché alla Direzione volevano dare un volto ai collaboratori. Fabiola era riluttante, ma alla fine si decise a visitare una delle macchinette automatiche che stanno alla stazione.

Inviò l’ istantanea.

Il 29 settembre del 2000, alle 13. 07, sul display del suo cellulare comparve un messaggio.

” Salve, come sta? Buon pomeriggio, le mando questo messaggio perché vedendo le sue foto sono diventato muto”.

E Fabiola scoprì che quelle foto non servivano per l’ azienda di Alessandria. Così pretese anche lei di conoscere il volto in quell’ interlocutore misterioso del quale conosceva, inverosimilmente, solo il cognome.

Ho ricevuto le foto...”

Scrisse a Viscas, e lui di rimando:

Si segga prego, e prenda fiato per riaversi dall’ emozione!”

Il ghiaccio era rotto, ma solo quella patina superficiale che nasconde la profondità di un fiume d’ inverno, perché i rapporti rimasero simpatici, ma sempre formali.

“ Qui a Casale Monferrato piove sempre, piove così tanto che mi bagna l’ anima. Vorrebbe ripararmela con il sole molisano?”

“ Il sole, qui nel Molise non è che sia poi tanto caldo.”

Un giorno Fabiola ricevette un messaggio assai diverso.

“ Sono stanco, lasciò il lavoro”.

Preoccupata lo chiamò.

Era la prima volta che lei gli telefonava.

Dopo aver chiarito che si trattava di un momento di smarrimento passeggero, ancora un messaggio.

“ Mi ha fatto molto piacere che mi abbia chiamata. Si merita, solo telefonicamente, un grosso bacio. A presto, Viscas”.

E decisero di incontrarsi a mezza strada.

L’ appuntamento, quel 23 dicembre, era a Firenze.

Come oggi, Fabiola viaggiava su quel treno in corsa mentre un turbine di pensieri le affollava la mente. Andava incontro all’ ignoto che non aveva neanche un nome decente. Viscas e basta, che nome era mai quello?

Alla stazione di Santa Maria Novella Fabiola scese fingendosi calma, con il cuore che le batteva il petto così forte che sembrava l’ affronto acustico della catena di montaggio di una acciaieria. Non che avesse mai visitato un’ acciaieria (nel Molise non esistono le acciaierie!) ma doveva essere quello, con una buona approssimazione, l’ effetto sui suoi sensi acuiti. Il treno era affollatissimo, e un mare di gente tra pacchi e pacchetti ondeggiava tra i binari di quei vagoni che, nell’ antivigilia di Natale, avevano accumulato dieci minuti di ritardo.

Dove sta, non la vedo” lesse il messaggio mentre scendeva dal vagone con lo sguardo perso sullo sciamare umano, alla ricerca di un volto.

Poi quel volto si fece reale. Viscas le si avvicinò con un sorriso imbarazzato, si strinsero la mano. Non spiccicarono più una parola e quel silenzio coprì il vociare esterno provocando un’ assenza che quasi si vedeva, per quanto era spessa.

Ora chiamo la mamma.”

Fu l’ unica cosa che riuscì a dire Fabiola, mentre si mordeva la lingua per quell’ uscita banale.

Si avviarono, come due ombre furtive, nell’ aria gelida di un lunghissimo viale alberato. Tutto il resto scompariva in una cartolina sospesa nel tempo e nello spazio, che cristallizzava un momento di sentimenti eterei, che si fondevano con il biancore del cielo invernale.

Ci sediamo?” lui le chiese con dolcezza, rallentando davanti a una panchina intirizzita. Ma la panchina, da un lato, raccoglieva una pozza d’ acqua e il Destino li avvicinò in un angolo, di quella Firenze stretta nella morsa del freddo.

“ La posso scaldare?”

Fabiola non rispose, la voce le era venuta a mancare improvvisamente fermandosi in gola, trovando sconosciuti canalicoli di emozione, e quel braccio intorno alle spalle, quasi a proteggerla dal mondo, le regalava sensazioni indescrivibili.

Mi verrebbe voglia di baciarla” e il sole, tiepido, strizzò l’ occhiolino a quei due fidanzatini d’ altri tempi, che si sfioravano le labbra imporporate dal freddo.

Trascorsero interminabili i minuti, tra due anime solitarie che avevano deciso di incrociare i loro destini.

Poi decisero di visitare la magica Firenze che aveva visto sbocciare il loro amore.

La mano non me la vuole più dare?” e a Fabiola parve di vedere un cavaliere antico che correva a difendere la sua pulzella.

Si fermarono vicino Ponte Vecchio a prendere una cioccolata calda, parlottando fitto fitto.

Due fidanzati come tanti che si tengono per mano, ma la gente li guardava incuriosita.

“ Ci guardano, forse pensano che siamo amanti” replicò lui facendo riferimento ai discorsi proferiti ad alta voce, nei quali Fabiola aveva rimarcato ironicamente che mai avrebbe pensato di stare seduta al tavolo con il suo capo.

Ma non era per questo che la gente li guardava affascinata. Di questi tempi, due persone che si tengono per mano e si guardano teneramente negli occhi, difficilmente si danno del “ Lei”.

Quando uscirono c’ era un fotografo ambulante che si offrì per immortalarli.

Di fronte al ponte di legno che gridava i suoi anni, sembravano due giovani venuti dal passato a ricongiungere il loro amore.

Mi sembra di conoscerla da sempre” le disse lui accompagnandola al treno che la riportava a Venafro.

“ Forse in un’ altra vita” le gridò lei dal finestrino mentre lo spazio si faceva grande tra di loro, nello stridio delle rotaie che cavalcano i binari.

Travolta dai sentimenti, Faby aveva percorso quel lungo tragitto, che ingigantiva nel ristretto mondo del loro amore, come avvolta in un sogno.

Passato e presente si affacciavano alla soglia della sua mente con mille interrogativi cui solo il cuore poteva rispondere.

Il giorno dopo si erano sentiti con un certo imbarazzo, ma quel “ Lei” cominciava a pesare sulle loro coscienze di novelli esploratori della villa e dell’ amore.

Comincio a rendermi conto che mi sto legando a lei, e ho quasi paura di quello che ho provato a Firenze”.

La paura, da parte di quel giovanotto di 27 anni, era quella di ritrovarsi addosso una nuova delusione, come quella che l’ aveva bloccato per qualche tempo portandolo fino all’ orlo del baratro.

Un baratro dal quale solo l’ inconsapevole Fabiola l’ aveva liberato.

A mezzanotte del 24 dicembre, mentre nasceva, dopo 2000 anni, un piccolo bambino nella paglia, a sancire il patto tra l’ amore divino e l’ amore terreno, nella chiesa profumata d’ incenso di San Nicandro, a Venafro, giungeva un altro messaggio:

“ Che ne dici se passiamo al tu? Franco”

“ Ci proverò. Ma per questo Natale le darò ancora del Lei”

“ Mi piacerebbe iniziare una storia con te, ma non ho l’ età!”

Franco aveva ricominciato a scherzare; perchè Fabiola aveva rimarginato le ferite del suo cuore. L’ amore, anche a 900 chilometri di distanza, continuava a legare le persone in un modo dissolubile ed eterno.

Fabiola ripensa a quella storia incredibile e a quell’ amore casto, mentre il treno corre sbuffando verso Bologna.

Nel vederlo, ad attenderla ancora una volta alla stazione tra una nuvola di fiori di pesco, il cuore le si è fermato, e in quell’ abbraccio intenso sente vibrare tutta se stessa in un fremito di anelante desiderio.

In ginocchio sul marciapiede, con quell’ enorme ramo di pesco in mano, Franco è ridicolo.

La signorina Fabiola accetterebbe di sposarmi?” Grida con quanto fiato ha in gola, mentre la gente si ferma allibita, tra poco stupore e grande divertimento.

Lei si fa vermiglia, poi si baciano in un turbine di petali sparsi al vento.

Il fischio di un treno che parte, mentre alla stazione riprende il brusio di un mare umano senza volto.

Tra un ramo di pesco, di una Primavera del Terzo Millennio, è nata una storia che ha dell’ incredibile, in cui il Destino ha voluto serrare in un nodo invisibile due anime alla deriva.


Mina Cappussi 31/12/2019 13:41 1 680

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«La mia amica mi raccontava la sua straordinaria storia d’amore e ne restavo incantata, per i toni delicati, gli accenti freschi come fiori di pesco, quasi surreale nella superficie della quotidianità. Una storia di tenerezza, di piccole cose, dal sapore ottocentesco, una storia che fa bene al cuore»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«E’ una storia ottimamente scritta, avvincente e che, come nota l’autrice, fa veramente bene al cuore. Osservo anch’io spesso che dietro la tecnologia (cellulari, computer...) si nascondono non poche volte i medesimi sentimenti dell’Ottocento (per usare ancora le parole della scrittrice) . E forse non è un caso che i protagonisti di questo amore siano un Piemontese e una Molisana, gli abitanti di due regioni che, pure in modi diversi, sono ancora capaci di esprimere sentimenti genuini e naturali, educati e seri, in cui non è stata distrutta la radice di una plurisecolare tradizione.»
Antonio Terracciano

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Il primo racconto pubblicato:
 
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