Ciao, mamma. Sono di nuovo qui a parlare con te. Oggi sono stata dove riposa il tuo corpo, non tu, perché sai come la penso su questa questione. Se mi volto, ti vedo seduta sul divano color pietra, quello sormontato dal quadro di Chagall, "Il volo".
Mi sorridi, con quel tuo indecifrabile sorriso, un po’ dolce, un po’ ironico, di chi ormai vede le cose dall’alto, con il distacco dei saggi, che osservano pazienti e comprensivi i poveri mortali ignoranti, coinvolti da passioni che in fondo non contano nulla.
Oggi ti guardavo sorridere dalla lapide nello stesso modo. Ho pensato che forse anche le vecchie foto si trasformano col tempo, adattandosi al presente, a quello che nel corso degli anni diventiamo piano piano, senza accorgerci dei mutamenti. Sarà perché, quando osserviamo la nostra immagine nello specchio, ogni mattina, lo facciamo frettolosamente, sbadatamente, troppo presi dal pensiero degli impegni che ci aspettano durante il giorno, e non vediamo quella piccola ruga in più agli angoli della bocca. Se fossimo più attenti, chissà, forse daremmo maggior valore al nostro tempo, che va via in fretta e finisce all’improvviso, cogliendoci impreparati. Se solo ne avessimo usato saggiamente un po‘, magari avremmo notato anche quella piccola ruga. Ma sto usando troppi "se" e tu mi ripetevi sempre che "dei se sono piene le fosse".
In quella foto hai il sorriso bellissimo che da ragazza ti faceva desiderare da tutti i giovani del tuo paese. "Mille lire per un sorriso", ti dicevano, e tu ridevi, divertita dal loro ardore e orgogliosa della bellezza che sapevi di possedere. Ma sto divagando.
Ho scattato una bellissima foto agli ulivi che circondano il cimitero. Ondeggiavano argentei al vento e il loro fruscì o sembrava una musica alle mie orecchie. Li sente anche lei, ho pensato, e poi ho riso di me. Lì c’è solo il tuo corpo, tu sei qui con me, seduta sul divano color pietra e mi sorridi col tuo dolcissimo, indecifrabile sorriso.