Sul far della sera spesso mi viene voglia di cantare, mi soggiunge una certa nostalgia. Ricordi di cieli stellati, di lucciole, il profumo dei tigli, qualcosa che mi colma di diverso la sera. Sensazioni traballanti in rincorsa sfidando con orgoglio la disperazione di un amore che mi ha lasciato da solo, quel fragile amore, un vascello in quel meraviglioso cielo dove per un secolo mi sono letteralmente abbandonato.
Abbandonato ad una solitaria speranza, con una gioia irresistibile mi tenevo forte alle sue parole spezzate in quel cielo per me chiaro e sereno, ero come un bambino non conoscevo altra espressione del mondo, conoscevo soltanto le pagine innocenti di quel primo amore che mi trasmetteva le stesse emozioni sin da bambino davanti ad ogni presepio.
Con questo primo amore mi affacciavo più in là del mio povero paesello delle montagne della Sardegna, a bordo di questo amore mi spingevo ben oltre le mie abbastanza strette vedute, ad ogni incontro era un brivido nuovo del tutto diverso dall’ incontro precedente.
Ogni volta che mi specchiavo in quegli occhi, avevo delle sognanti visioni, il mondo, il cielo le stelle e tutte le cose di sempre erano sogni su cui cavalcavo svolazzante, in un’ aria pura la rivelazione dei colori che mi circondavano di infinito, in assoluto una gran bella avventura, una bella corsa sfrenata all’ impazzata con la più superba puledra che si era proposta ad insegnarmi a cavalcare anche il più immenso e pazzo amore.
Dentro il mio cuore avevo maturato la certezza che avrei potuto attraversare tutto il mondo insieme a lei in volo per i cieli sconosciuti, lei mi disegnava danze che io non riuscivo a governare.
Quando lei vide che io mi spaventavo a quelle evoluzioni a cui non ero preparato durante un ultimo incontro in un normale abbraccio mi disse che fra noi non funzionava più bene, con una carezza ed un bacio, ha atterrato, e gentilmente mi ha pregato e aiutato a scendere dal cavallo bianco…