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Ali candide nel cielo (Ultima parte)

Fantasy

Il ritorno del sole

Quando si rese conto di quello che era accaduto e vide i suoi prigionieri allontanarsi in volo, Malefico s’ infuriò.

Lui, che teneva sempre sotto controllo i nervi e ostentava, per intimidazione, una marcata pacatezza, perse proprio il lume della ragione ed emise un urlo inumano.

La folla si zittì, un po’ per paura della reazione e un po’ in attesa degli eventi. Il sovrano sollevò una mano e gli arcieri, schierati sugli spalti più in alto, incoccarono le frecce e presero la mira sui fuggitivi. Quando il braccio del re si abbassò, un nugolo di dardi infuocati partì sui bersagli, ma il tiro risultò impreciso, perché troppo frettoloso.

Visibilmente contrariato, Zephar si rivolse alle arpie: « Andate e riportate a me i fuggitivi!» Le tre aberranti creature gracchiarono di soddisfazione.

Non capitava loro spesso di potersi librare libere senza il diretto controllo del proprio padrone. Così spiegarono le ali come vele al vento spingendo al massimo per raggiungere i pegasi, che rischiavano di perdere di vista per via dell’ oscurità che regnava in cielo.

Ma lassù il silenzio era assoluto, e le tre arpie poterono percepire il fruscio provocato dallo sbattere frenetico delle ali.

Gylldor aveva sopravvalutato la propria resistenza e la propria capacità fisica dopo tutti quei mesi di prigionia. I muscoli delle sue ali erano provati dalla lunga inattività, essendosi indeboliti, e inoltre il peso che portava sul dorso era il doppio rispetto a quello di Alyser che, tra l’ altro, era più fresca e più allenata di lui. Difatti la distanza tra i due aumentò in breve, a tal punto che i due amici persero di vista, nell’ oscurità, la giumenta e la sua amazzone.

Mark si accorse subito della difficoltà del pegaso e tentò di spronarlo: « Forza amico mio, non cedere proprio adesso! Resisti, ti prego! Portaci in salvo!» lo supplicò.

« Sono esausto, Mark, non credo di farcela! Devo scendere a terra, altrimenti rischiamo di precipitare.»

Che la loro situazione stesse diventando drammatica, Mark lo percepì dal frullio molteplice e frenetico di ali alle sue spalle, allora il suo cuore tremò.

« Scendi, amico. Prima che sia troppo tardi!»

Gylldor annuì. Avevano perso! Dovevano arrendersi. Un misto di emozioni negative assalì il pegaso. Dolore, amarezza, una collera infinita! Si era ripromesso di proteggere i suoi amici e aveva fallito! Dunque, aveva sempre avuto ragione Malefico a considerarlo una nullità! Mentre il sole nel cielo faceva capolino dietro la luna, il pegaso avvertì una strana sensazione, ma non vi diede peso e puntò verso la terra.

Ma prima ancora d’ iniziare la discesa, Mark si accorse che una delle arpie li aveva raggiunti e lanciò l’ allarme: « Gylldor!» urlò, tentando inutilmente di scartare e di proteggere la fanciulla alle sue spalle, ma l’ arpia riuscì a piantare, seppure di striscio, gli artigli nella schiena della silfide.

Chrisell urlò di dolore, e se non fosse stato per il sostegno di Mark, sarebbe precipitata nel vuoto.

Le tre orripilanti creature accerchiarono il pegaso costringendolo a scendere, ma proprio in quel momento apparve Alyser.

Il gracchiare sonoro delle arpie, seguito dall’ urlo di Chrisell, si era espanso nel cielo che si stava schiarendo, ed era stato udito dalla giumenta e da Silvestre.

« Deve essere accaduto qualcosa di terribile! Torniamo indietro amica mia!» l’aveva esortata l’ amazzone.

« Tieniti forte, mia signora!» le aveva raccomandato Alyser, quindi, fatta una rapida giravolta, si era diretta verso gli strepiti provocati dalle arpie.

“ Per tutte le stelle!” pensò Silvestre nel ravvisare la situazione drammatica che stavano vivendo i suoi protetti. “ Gylldor sembra allo stremo, quanto tempo potrà resistere?”

Spronò Alyser ad accelerare, tuttavia, prima di raggiungerli, la figura mitica del sovrano a cavallo di un mastodontico pegaso s’ interpose tra loro.

« Dove credevi di andare, mia bella signora?» Silvestre frenò la corsa della giumenta e avvolse in uno sguardo di fuoco il suo acerrimo nemico. « Togliti di mezzo, se non vuoi finire male!» lo minacciò.

Zephar si lasciò andare in una risata satanica, quindi le rispose: « Fossi in te non farei tanto la baldanzosa, piuttosto mi guarderei alle spalle!»

Silvestre subodorò un tranello, ma sbirciò all’ indietro e intravide una schiera di sgherri a cavallo di altrettanti pegasi.

« Non credi sia il caso di arrendersi?» domandò il sovrano, caustico.

« Mai!» sibilò la dama « Piuttosto che finire tua prigioniera, preferisco la morte!»

Quella risposta imperiosa colpì come una sferzata Zephar, che indietreggiò impercettibilmente, quasi fosse mortificato.

«È un vero peccato!» rispose, nascondendo la delusione. « Sappi che non ti avrei mai considerata una schiava, ma la regina del mio castello e» sospirò con una pausa a effetto « la regina del mio cuore» aggiunse, con una mano sul petto.

Silvestre lo derise, sprezzante: « Impossibile! Tu non possiedi un cuore!»

« Ora basta! Se non posso averti è inutile che tu viva!» urlò spazientito il Malefico attaccando per primo. Dalle sue mani partì una miriade di strali di fuoco, ma la dama fu lesta ad alzare uno scudo difensivo su cui andò a infrangersi la pioggia di scintille.

Tuttavia, anche se all’ esterno appariva indomita e determinata, la Dama del bosco era profondamente preoccupata. Poco distante riusciva a vedere Gylldor e i suoi amici in grande difficoltà. Mark era impegnato a sostenere e a difendere la silfide, per quanto gli era possibile nella sua posizione, e il pegaso lottava con la forza della disperazione per non soccombere agli artigli, ma soprattutto alla stanchezza, che s’ indovinava nei movimenti forzati.

“ Cosa gli è successo? La trasformazione avrebbe dovuto infondere più vigore ai suoi muscoli. Perché è così esausto?” si chiese difendendosi da un nuovo attacco, costretta a concentrarsi sul nemico. “ Non posso fare nulla per loro, e per me è giunta l’ ora della verità. Se voglio salvare queste creature e quelle del mio regno, questo demonio deve morire. O me o lui!” terminò con amarezza, quindi sferrò il suo attacco.

Mentre il sole riappariva lentamente dall’ ombra della luna, nel cielo si moltiplicarono gli scoppi e le deflagrazioni, come tanti tuoni e fulmini durante un temporale. I riverberi che ne derivavano misero in luce le onde placide del Lago Smeraldo che si stendeva decine e decine di metri sotto il punto dello scontro.

Presi dalla foga del combattimento, i contendenti non si erano accorti di essere sullo spartiacque tra i due regni. In lontananza erano appena visibili le cime degli alberi più alti del reame della boscoso, che si protendevano verso il cielo e sembravano indicare la via del ritorno alle creature silvestri. “ Dobbiamo arretrare!” si disse Zephar “ Nel caso dovessimo sconfinare, la dama acquisirebbe troppa energia dalla sua terra e dai suoi elementi e rischierei di perdere tutto” realizzò tra sé, mentre lo scontro proseguiva alla pari.

Mark, non potendo combattere, si limitava a difendere il corpo inerme della silfide e, ogni tanto, lanciava un’ occhiata verso i due contendenti.

La dama era ammirevole: combattiva e coraggiosa. Una splendida amazzone, una vera guerriera! Silvestre non mostrava alcun timore verso la figura imponente del sovrano e non indietreggiava davanti ai ripetuti attacchi ma, al contrario, approfittava di ogni momento favorevole per sferrare i propri colpi. Vi erano momenti in cui i due erano costretti a uno scontro ravvicinato, ed entrambi si erano creati, con la loro magia, lunghi bastoni che emettevano una luce abbagliante. Silvestre e Zephar combattevano come due schermidori, con parate e stoccate, e ambedue davano prova di essere provetti spadaccini.

Uno scarto improvviso di Gylldor riportò Mark alla loro delicata situazione. I fianchi del pegaso tremavano. Le arpie attaccavano da tutti i lati cercando qualche spiraglio per colpire ed evitando il temibile corno che svettava sulla fronte del pegaso, il cui manto era già striato di sangue. Le ferite non erano profonde, ma dovevano essere assai fastidiose. Mark tentò in tutti i modi di sostenere l’ amico parlandogli e spronandolo moralmente, ma la discesa diventava sempre più veloce, e il ragazzo iniziò a pregare che non precipitassero.

Le sue preghiere non servirono molto.

Il sole spuntava ormai per metà da dietro la luna, e a Mark sembrò di assistere a una nuova aurora. Ma, con la luce, anche la sua visuale sul mondo sottostante si schiarì, e così si accorse che stavano sorvolando il Lago Smeraldo.

Mark rabbrividì, ma forse era meglio precipitare nelle acque gelide del lago piuttosto che schiantarsi a quella velocità sul terreno.

In quel momento, una delle arpie riuscì a sfiorarlo, e gli artigli rimasero impigliati in una delle maniche della sua camicia. Si udì uno strappo, e un lembo di stoffa svolazzante mise a nudo la pelle dall’ avambraccio fino alla spalla.

Il ragazzo sospirò di sollievo per non essere stato ferito e combatté per liberarsi, ma per riuscirci fu costretto ad abbandonare la presa sulla silfide. Quel movimento brusco fu fatale. Un’ arpia ne approfittò e, con un’ agile mossa, afferrò con gli artigli la ragazza inerme, strappandola dal dorso del pegaso.

« No!» l’ urlo accorato del giovane si propagò per tutto il cielo arrivando fino a Silvestre, che inorridì.

« No! Non è ancora finita!» si disse, osservando il lago e l’ arpia che iniziava la sua ascesa verso il cielo trasportando la ragazza stretta tra i suoi artigli. Era già qualche minuto che la Dama del bosco sentiva rinnovare energie positive nel suo corpo e nella sua mente.

La vicinanza alla sua terra, ai suoi elementi e al suo popolo contribuiva a rinforzare la sua natura magica.

Silvestre abbandonò per qualche istante la lotta con il nemico, non prima però di aver sollevato una barriera protettiva, quindi puntò il suo bastone magico, e un lungo serpentone infuocato scaturì in direzione del mitico volatile. L’ arpia, colpita, emise alte strida di dolore, mentre le penne della sua coda presero fuoco spandendo intorno uno sgradevole odore di bruciato e un tortuoso pennacchio di fumo grigio. L’ orripilante creatura lasciò andare la sua preda, buttandosi a capofitto nel lago.

Chrisell precipitò come una bambola senza vita.

L’ impatto con l’ acqua gelida fu doloroso e traumatico. La silfide riprese i sensi nel momento stesso in cui il suo viso cominciò ad affondare. La sua bocca si aprì per urlare e, di conseguenza, si riempì d’acqua. La ragazza era a un passo dall’ annegare.

Mark aveva assistito alla scena. “È colpa mia! Non sono riuscito a proteggerla” si rimproverò mentre, ancora a cavalcioni del pegaso, precipitava. Le due arpie avevano rinunciato all’ inseguimento e si limitavano a osservarne la caduta.

Mark prese una decisione, e a pochi metri dal pelo dell’ acqua, rinsaldando la presa sulla folta criniera di Gylldor, si sollevò in equilibrio sul dorso, quindi si tuffò a piombo nel lago.

Chrisell annaspava a pochi metri di distanza, ma quando il giovane raggiunse quel punto, il corpo della fanciulla era già sparito alla vista, e Mark, dopo aver preso un lungo respiro, fu costretto a tuffarsi nelle profondità.

Il fondo era torpido, ma per fortuna la veste e i lunghi capelli fluttuavano intorno alla testa e al corpo della silfide, e lo guidarono come la luce di un faro in mezzo all’ oscurità di una tempesta. Le sue gambe spinsero al massimo e, raggiunta la sua amica, l’ afferrò per le braccia e la riportò in superficie. “ L’ ho raggiunta in tempo! “ constatò con sollievo vedendola espellere l’ acqua ingoiata e sostenendola con attenzione.

Quando la crisi di tosse si fu calmata, Chrisell spalancò i suoi incredibili occhi verdi sul suo salvatore e il respirò di Mark gli si mozzò in gola. Incapace di parlare, lui allungò una mano scostandole dalla fronte una ciocca di capelli intrisi d’ acqua. La diafana fanciulla gli sorrise, poi accostò il suo viso a quello di lui e con le labbra gli sfiorò le sue.

Il mondo scomparve intorno a Mark.

Gylldor, invece, nuotò a lungo sott’ acqua. Un po’ per nascondere alle arpie la sua posizione, e un po’ perché sentiva il bisogno di schiarire le idee. Il pegaso aveva notato che più la luce del sole filtrava dalla copertura dovuta all’ eclissi e più tornava a essere la creatura razionale che era sempre stato. Il plenilunio e il recente oscuramento gli avevano carpito gran parte della ragione e dei sentimenti, oltre ad averlo privato delle sue forze.

Al culmine del fenomeno astrale si era sentito debole come un cucciolo appena nato e totalmente incapace di difendersi. “ Per fortuna sta finendo!” si disse nuotando con più vigore. “ E quando la luce sarà tornata, potrò risalire a combattere come non mi è stato possibile finora.”

Scontro celeste

Nel frattempo, in qualche punto del cielo, lo scontro tra Zephar e Silvestre proseguiva sotto lo sguardo attento dei Pegasi Oscuri e dei loro cavalieri.

La dama era un’ abile guerriera. Abituata sin dalla più tenera età a lottare a mani nude e a combattere con le armi anche affrontando avversari di stazza più imponente della sua. Ma, in quel momento, era in ansia per i suoi protetti, che aveva appena visto precipitare, e per poco non aveva pagato a caro prezzo la propria distrazione.

Il fascio di luce incandescente emesso dall’ arma del Malefico le sfiorò la manica bruciandola, e lo squarcio che ne conseguì mise a nudo la pelle serica fino alla spalla e parte della scollatura. Silvestre trasalì per il bruciore, e quando tornò a guardare l’ avversario, questi aveva lo sguardo incatenato su di lei, come avesse avuto una visione.

Fu allora che Silvestre reagì e, con scatto fulmineo, assestò una stoccata con la sua lama incandescente, riuscendo a colpire il sovrano sulla guancia. Zephar urlò dal dolore. Un urlo inumano salito dal profondo del cuore, quindi con le dita si sfiorò l’ ustione, che dalla bocca saliva fino alla tempia. « Cosa hai… fatto? Mi hai… deturpato!» esclamò con frasi sconnesse, mentre il suo volto si trasformava in una maschera d’ incredulità e di orrore.

Seguirono attimi di silenzio attonito. I due contendenti si studiarono, immobili come statue, poi la collera ebbe il sopravvento e Zephar si catapultò come una furia sulla rivale.

Con un colpo violento assestato sui fianchi costrinse il suo pegaso a scontrarsi con Alyser, che presa alla sprovvista barcollò, caracollando per alcuni metri.

Purtroppo, il fianco della sua amazzone rimase scoperto, e Zephar ne approfittò, affondando la sua arma nel punto indifeso.

Silvestre sbiancò, quindi, con un urlo strozzato in gola, il suo corpo si afflosciò sul dorso del pegaso.

« Mia signora!» Alyser lanciò invano il suo richiamo « Mia signora!» ripeté con il cuore colmo di angoscia mentre tentava una rapida discesa.

Il corpo esanime della dama pendeva pericolosamente su un lato, ed Alyser disperò di poterla salvare. “ No! Non può finire tutto così!” pensò con angoscia “ Forse la dama è già morta, la silfide è annegata e Mark e Gylldor sono spariti! Maledetta… maledetta luna nera!”

In quel momento le acque sottostanti ribollirono e, come un miraggio, riemerse la mitica figura di un candido pegaso. La creatura si sollevò scrollando con vigore le magnifiche ali, poi, con uno scatto poderoso, raggiunse Alyser e aggiustò con il muso la posizione della dama. Lì per lì la giumenta rimase basita, ma quando incrociò lo sguardo della creatura alata, riconobbe il suo caro amico.

« Gylldor, com’è possibile?» domandò scrutando con attenzione il lungo corno elicoidale che spiccava sulla fronte del pegaso. « Sei tu, è un prodigio!»

« Non so se si tratti di un prodigio, ma finalmente sono tornato me stesso» fece una pausa allargando le sue candide, morbide ali e scrutandole con curiosità «… o quasi! Ma basta chiacchiere! Ho lasciato una cosa in sospeso. Prenditi cura della dama mentre vado a sistemare una questione!»

« Sta attento, mio principe!» raccomandò Alyser, abbassando lo sguardo in modo pudico. « Sta tranquilla! Tornerò da te!» la rassicurò. Gylldor si volse verso un punto lontano, laddove sapeva di trovare il suo acerrimo nemico.

Gli zoccoli del pegaso graffiarono l’ aria, le sue zampe divorarono la distanza che li separava, e solo quando lo ebbe vicino Zephar si accorse della sua presenza.

Il sovrano rimase abbagliato dal candore, dalla bellezza e dall’ armonia della creatura alata. Prima di affrontare il re, Gylldor squadrò i Pegasi Oscuri con sguardo glaciale. Gli sgherri sussultarono, ma le cavalcature indietreggiarono.

Zephar non gradì affatto la manovra remissiva, ma l’ ignorò, e con grande baldanza, si rivolse al pegaso: « Devo ammettere che in questa candida versione sei ancora più attraente, principe degli schiavi! Che cosa bizzarra! Noto che hai mantenuto quel notevole baluardo sulla fronte. Ti sei trasformato in una nuova, splendida creatura! Né pegaso né unicorno, bensì un amalgama armonioso di entrambi. Così renderai pregiata la mia collezione e tutto il mondo m’ invidierà per questo!»

Gylldor non rispose subito, limitandosi a scrutare con attenzione la terrificante ustione che deturpava il viso del re.

Sbatté le ali per mantenersi in stasi, quindi sibilò con lo stesso tono: « Io invece noto che la Dama del bosco ha colpito nel segno e di conseguenza hai perso gran parte del tuo fascino. Quello sfregio farebbe inorridire il più orripilante degli orchi!»

Gylldor pronunciò quelle parole ben sapendo che avrebbero colpito il punto debole del sovrano: la sua vanità!

Difatti, Zephar digrignò i denti: « Farai la sua stessa fine! Te lo giuro!»

« Sbagli a credere che sia morta. L’ hai soltanto ferita, e quando si riprenderà, tornerà a combatterti!» ribatté Gylldor.

Il corno tortile catturò un raggio di sole e parve incendiarsi. Il pegaso nitrì, scuotendo la folta criniera e impennandosi su due zampe, quindi partì all’ attacco.

Zephar riuscì a scansarsi per un soffio e imbracciò lo scudo riposto al lato della sella.

«È la prima volta che combatto contro un pegaso, sono curioso di conoscere il tuo metodo!» Gylldor non perse tempo a rispondere e schivò a sua volta una sferzata. “ Sarà anche l’ ultima, principe del male!” pensò.

Da quel momento Zephar le provò tutte per sorprendere l’ avversario, ricorrendo a molti trucchi, anche scorretti, imparati durante la lunga carriera di mistificatore, ma ogni volta il pegaso riusciva a indovinare, prevenire e scansare le mosse.

Pian piano le cose cambiarono, e Gylldor se ne accorse. Lo scontro sostenuto contro la Dama del bosco aveva messo a dura prova la resistenza del sovrano, che non lo dava a vedere, ma già accusava i primi segni di stanchezza, mentre il pegaso sembrava aver acquisito nuovo vigore da quella trasformazione avvenuta con la luce del sole. I movimenti del tiranno si fecero ben presto pesanti e i suoi attacchi sempre più sporadici e inefficaci.

Gylldor decise di cambiare tattica. “È inutile rischiare avvicinandomi troppo. Sta per cedere” si disse, rimarcando finti attacchi con rapide ritirate.

Ormai le braccia del sovrano mulinavano inutilmente in aria, prima con la frusta, poi con il bastone magico. Alcuni colpi erano andati a vuoto. Troppi. Se ne rese conto anche Zephar, che così decise di imbracciare l’ arco e tentò di scagliare un dardo a distanza ravvicinata. Forse fu la stanchezza, o forse un miscuglio di sensazioni mai provate prima, fatto sta che la mano del Signore del male tremò talmente, che anche a quella minima distanza la freccia non sfiorò nemmeno il suo bersaglio.

Il suo respiro si fece affannoso e la mente, affaticata come il corpo, non fu più lucida, né in grado di ragionare in modo obiettivo. “ Cosa mi sta succedendo?” pensò turbato e, per la prima volta in vita sua, esitò e indietreggiò davanti a un suo rivale.

In quel momento ebbe la terribile consapevolezza di essere a un passo dal fallimento. Gylldor lo squadrò sprezzante, ancora pieno di voglia di combattere.

« Cosa fai, ti arrendi? Non ce la fai più, principe del male?»

« Maledetto! La tua è solo fortuna!» urlò in risposta ormai esausto, quindi si guardò intorno alla ricerca di aiuto.

Tuttavia, i suoi stessi sgherri sembravano in difficoltà con i loro pegasi che, da qualche minuto, rifiutavano di assecondare e di ubbidire agli ordini dei propri cavalieri. Inutilmente i miliziani spronavano e spingevano, ma i pegasi s’ impennavano e stronfiavano risoluti e caparbi, come mai era accaduto prima. Ed era pericoloso per gli sgherri cercare di pungolarli con cattiveria, poiché rischiavano di essere disarcionati e di precipitare quindi nel vuoto. “ Che sta accadendo? Possibile che sia una rivolta?” si domandò il sovrano, e nel frattempo modulò un fischio per richiamare le sue arpie. Solo due delle mitiche creature accorsero al richiamo, la terza non era più in grado di volare correttamente a causa del piumaggio incenerito dal fuoco di Silvestre. L’ arpia in questione rimase a galleggiare nelle acque del lago come una papera in una tinozza.

Sotto lo sguardo attento di Zephar, le altre due attaccarono in simultanea, ma Gylldor non si fece sorprendere e si difese con il corno e con gli zoccoli.

Ben presto, l’ aria si riempì delle sgradevoli strida dei giganteschi rapaci dalle sembianze femminili.

Ma che non potesse continuare all’ infinito Gylldor lo presagì sulla sua pelle. Sentiva gli artigli delle arpie sfiorargli pericolosamente il manto. I due orripilanti uccellacci lo attaccavano su due fronti: una mirava alla testa e al collo, mentre l’ altra lo colpiva ai fianchi e ai posteriori. Il pegaso era costretto a rapide e continue sgroppate e giravolte, e ben presto si trovò in difficoltà.

Poco distante, Zephar se ne compiacque. Le sue creature stavano mettendo a dura prova la resistenza del pegaso, e appena lui stesso avesse ripreso fiato, sarebbe intervenuto per mettere fine a quella farsa.

Ma il re non poteva prevedere quello che sarebbe accaduto da lì a pochi minuti.

Poco distante, gli sgherri sostenevano una lotta per rimanere in sella alle loro cavalcature. I Pegasi Oscuri, dopo anni di totale sottomissione, seguendo l’ esempio di Gylldor, si erano finalmente ribellati e lottavano contro i loro cavalieri per riottenere la libertà. Come cavalli selvaggi o imbizzarriti s’ impennavano e sgroppavano, e già qualche pegaso era riuscito a disarcionare il proprio cavaliere facendolo precipitare nel vuoto.

Le urla disperate dei malcapitati si sommarono ben presto ai sonori nitriti e alle strida delle arpie.

Zephar osservò attonito l’ evolversi catastrofico degli eventi presagendo l’ imminente disfatta.

« Maledetti! Vi pentirete di esservi ribellati!» esclamò, poi scagliò alcune frecce in direzione dei ribelli ferendone a morte uno e causandone la caduta.

Ma il re non ebbe mai il tempo di scoccare un altro dardo. I pegasi senza cavaliere lo freddarono con una luce assassina nello sguardo e digrignando la temibile dentatura. Zephar indietreggiò. Il tempo parve dilatarsi e quei pochi istanti sembrarono infiniti.

Il despota sentiva che anche il suo pegaso era a un passo dall’ impazzire, e tratteneva con ancora più forza le redini e il morso provocando delle serie ferite alla bocca del povero animale “ Devo scendere. Se resto qui mi faranno precipitare!” pensò mentre la paura dilagava nella sua mente, poi piantò la punta di un dardo in un fianco del pegaso e questi schizzò in avanti, in una galoppata precipitosa nell’ aria.

Tuttavia, quella corsa sfrenata durò solo pochi secondi. Tre dei Pegasi Oscuri, lanciati all’ inseguimento, raggiunsero in breve il fuggitivo e costrinsero il loro simile a una frenata talmente brusca che solo per un soffio Zephar evitò di piroettare malamente oltre il collo eburneo della propria cavalcatura.

« Per tutti i demoni!» riuscì a imprecare sconvolto poi, con il cuore che batteva all’ impazzata, fu testimone di un silenzioso quanto incredibile dialogo tra gli animali.

Il re non seppe mai cosa si comunicarono le creature che fino allora erano state al suo servizio, poté solo indovinarlo da quello che accadde subito dopo: il suo pegaso sembrò imbizzarrirsi, quindi prese a scalciare e a sgroppare come un mulo furioso. Zephar dovette lottare con tutte le forze per rimanere in sella, ma per le repentine rincorse, alternate alle impennate e alle frenate, perse la presa sulle redini e infine scivolò dal dorso dell’ animale, emettendo un urlo disumano.

I pegasi osservarono gelidi la sua caduta ma, richiamati dai nitriti di Gylldor, tornarono sul luogo dello scontro.

Gylldor era esausto. Il suo manto candido era intriso di sudore e di sangue. Le due arpie non gli concedevano tregua e infierivano senza pietà quando arrivavano a tiro, artigliando e lacerandogli la pelle. Gelidi e implacabili come cavalli da guerra, i Pegasi Oscuri si gettarono nella mischia costringendo infine i due uccellacci a una rapida ritirata.

Fu allora che una delle due si accorse del corpo del sovrano in caduta libera e, senza esitazioni, si gettò a capofitto nella sua scia.

Mentre precipitava, Zephar disperava di salvarsi. Il grande mantello, che sempre indossava, si era gonfiato come un paracadute alle sue spalle, ma per quanto rallentasse la caduta, non gli avrebbe impedito di sfracellarsi al terreno.

Quando il suo corpo trapassava i candidi cirri di cui era cosparso il cielo, questi si dipanavano come batuffoli di cotone e si dissipavano come neve al sole. Il sibilo del vento gli fischiava nelle orecchie e gli sferzava il volto facendogli lacrimare gli occhi, così si accorse dell’ arpia solo quando gli fu vicino.

Il mitico uccello, più veloce e più esperto nel volo, manovrò in modo da precederlo, e all’ improvviso, approfittando di una corrente calda, planò e si trovò parallelo rispetto al corpo del sovrano. Zephar ne intuì le intenzioni e si posizionò in modo orizzontale, e seppure a fatica, riuscì ad afferrarla e a mettersi cavalcioni sul collo del volatile.

Vi furono attimi concitati di sbandamento; il peso dell’ uomo sbilanciò il volo planante, ma l’ arpia resistette e riuscì presto a ritrovare il giusto assetto affidandosi di nuovo alla corrente. Zephar respirò di sollievo. L’ arpia lo aveva strappato a una morte certa. Calde lacrime scivolarono sul suo volto martoriato, e lui non si seppe spiegare se quel pianto fosse dovuto all’ asprezza del vento o alla forte emozione appena vissuta. Fatto sta che la sua gratitudine per quella creatura così devota fu immensa. « Grazie, mia cara» farfugliò con voce rotta accarezzandole il piumaggio morbido del collo « Ma ora riportami a terra.»

Lei stridette di contentezza, quindi con una dolce virata puntò verso lo stadio.

Pochi minuti dopo, alla vista del sovrano sul dorso dell’ arpia, dall’ anfiteatro si levò un forte brusio che divenne presto boato.

Supportato dai Pegasi Oscuri, Gylldor si era liberato dell’ ultima arpia guardandola precipitare, colpita più volte dal suo corno e dagli zoccoli. Ma in quel momento si era anche accorto della manovra spericolata messa in atto per salvare il suo nemico e, incurante delle sue ferite, aveva affrettato la sua discesa.

Quando atterrò nel centro dell’ arena, il re era circondato dai suoi sgherri, pronti a dare battaglia pur di difenderlo. O perlomeno, così sembrò in un primo momento.

Taresh e Norok in prima fila sostennero lo sguardo del giovane unicorno con grave cipiglio, poi le gigantesche creature si spostarono di lato, subito imitate dal resto della compagnia e lasciando intravedere la figura del sovrano.

Zephar trasalì dalla sorpresa. Quale altra novità aveva in serbo per lui quel giorno così nefasto? Non solo aveva dovuto sostenere un duro scontro contro la dama dei suoi sogni, in aggiunta si era trovato ad affrontare un avversario che si era rivelato molto pericoloso e solo per un soffio era riuscito a sfuggirgli. Poi c’ era mancato poco che non perdesse, oltre l’ onore, addirittura la vita. E ora? Si trovava scoperto in un momento di grande debolezza. Perché i suoi uomini non lo proteggevano? L’ ansia, il dolore, la collera, un miscuglio di emozioni che lo fecero infuriare:

« Stupide bestie! Serrate i ranghi intorno al vostro sovrano!» ordinò sprezzante e furioso.

I miliziani ignorarono l’ ordine e anzi, a un cenno del loro comandante si allargarono lasciando più spazio.

I primi dubbi e il sentore del tradimento iniziarono a farsi strada nell’ animo di Malefico, che inutilmente si guardò intorno alla ricerca di sostegno.

La sua attenzione si spostò poi sul fido Taresh, che scosse la testa in un cenno inequivocabile di diniego. « Mi dispiace! Ma credo che sia più giusto che risolviate da solo i vostri problemi e che dimostriate al popolo e ai vostri soldati il vostro valore. Solo così otterrete quel rispetto e quella devozione che merita un vero sovrano» disse con tono neutro.

Gylldor avanzò e i miliziani sgombrarono il campo.

« Ora siamo soli, io e te, e finalmente sapremo se veramente hai diritto di governare questa terra e questa gente. Difenditi se puoi, principe del terrore.»

« Certo che mi difenderò, ma a modo mio!» urlò Zephar, ormai in preda all’ isteria e correndo all’ impazzata nei pressi della biga reale.

Le serpi erano rimaste attorcigliate intorno alle spranghe laterali e balzarono all’ improvviso sulle braccia del loro padrone, che forse, non si accorse nemmeno che una delle sue creature lo aveva involontariamente sfiorato con i denti colmi di veleno lasciando una stria rossastra, confusa tra le tante ricevute durante lo scontro.

La gente sugli spalti rumoreggiò. Evidentemente disapprovavano quella che consideravano una prova di vigliaccheria.

« Sei solo un codardo. Non sai combattere lealmente nemmeno davanti a quello che consideri il tuo popolo! Ma questa gente ha sempre saputo quello che sei, e oggi te lo ha dimostrato!» esclamò Gylldor.

« Non m’ importa quello che pensi tu o quello che pensano loro. Tutto quello che è accaduto oggi è solo colpa tua. Devi morire e al più presto!» urlò Malefico lanciando il groviglio di serpi addosso al pegaso.

Gylldor si scansò in tempo e venne solo sfiorato, e mentre le serpi rovinavano a terra, s’ impennò e ricadde con gli zoccoli sull’ ammasso di creature striscianti.

Sotto lo sguardo inorridito del loro padrone, Gylldor continuò a calpestarle con gran vigore, fino a ridurre il tutto in una poltiglia sanguinolenta.

« Bastardo! Sei solo un gran bastardo!» mormorò Zephar. Ma la sua voce era incerta, come del resto il suo passo.

Il re abbassò le braccia. Iniziava a sentire uno strano malessere, mentre il gelo si faceva strada nel suo cuore e nella sua mente. La vista gli si appannò e la figura del candido pegaso divenne evanescente davanti a lui, come un miraggio che pian piano sfuma.

Il respiro diventò affannoso, e Zephar si portò le mani alla gola. « Che mi… succede?» Gylldor lo squadrò gelidamente, e forse non si accorse nemmeno del cambiamento, o forse lo valutò come l’ennesimo trucco dell’ avversario. Ormai era in preda alla collera, troppo preso dalla voglia di mettere fine alle ingiustizie subite.

Graffiò il terreno con gli zoccoli e raccolse le ultime energie per portare il suo attacco, quindi abbassò il capo e caricò.

Il lungo corno catturò i raggi del sole e subito dopo affondò nel cuore del principe del male, strappandolo a una fine atroce dovuta all’ avvelenamento. Nell’ anfiteatro scese un attonito silenzio.

Epilogo

Il lago Smeraldo si stendeva placido, emanando bagliori alla luce del sole.

Gylldor e Mark, di nuovo insieme, si concessero un lungo sorvolo su quelle terre ancora sconosciute.

Il male era stato sconfitto e il regno, diviso per molto tempo in due parti distinte, era stato riunificato sotto la guida del pegaso, che ne era il legittimo sovrano, e la supervisione di Dama Silvestre, ormai guarita.

Le ali del pegaso carezzavano l’ aria quieta e primaverile, e il leggero fruscio provocato da quel movimento carezzava l’ animo del suo cavaliere.

« Guarda Mark, non trovi sia uno spettacolo ammirare il mondo da questa prospettiva?»

« Lo trovo meraviglioso, amico! E ti ringrazio, perché se non esistessi tu, per me non sarebbe possibile tutto questo.»

Gylldor non rispose. Rimuginò su quelle parole per un po’, e Mark comprese il suo disagio. « Cosa sono diventato, Mark? Chi sono io?»

Il ragazzo si piegò fino a posare il suo volto sulla testa della candida creatura, di cui avvertiva il profondo turbamento. Lo carezzò sul collo e gli sistemò la folta criniera, scomposta dal vento: « Tu sei una creatura fantastica, e io sono fiero di essere tuo amico. E se anche tu non avessi un aspetto così… così… straordinario» esitò « Non trovo il termine giusto, scusami, ebbene, se tu non fossi così bello, saresti lo stesso meraviglioso, perché tu sei buono, sei speciale dentro e io, io ti voglio bene, Gylldor.»

La voce di Mark aveva tremato, e Gylldor aveva percepito e condiviso la sua stessa commozione.

Rimasero in silenzio ad ammirare le nuvole che, come bianchi batuffoli di ovatta, si dipanavano nel cielo limpido e turchese trasportate con grazia da un refolo sottile.

A un tratto, in quell’ immenso silenzio, si percepì il fruscio di ali, una miriade di ali, e la risata gaia e argentina di una fanciulla. Ancor prima di voltarsi, Mark e Gylldor intuirono l’ arrivo di Alyser e Chrisell scortate da decine di pegasi dalle ali oscure.

“ Sembra uno stuolo di angeli neri!” pensò il ragazzo, affascinato dal quel movimento sincrono e aggraziato.

Gylldor rallentò il suo volo e venne subito affiancato da Alyser: « Mio principe!» salutò « Mark!»

« Benvenute in paradiso!» scandì, sorridendo il ragazzo.

La silfide cavalcava a pelo e rideva felice come una bambina.

« Mio principe!» salutò lei, maliziosa, porgendo la sua mano nel vuoto.

Mark si sporse, l’ afferrò e vi pose appena le labbra in un bacio leggero.

« Non ti mancherà la tua dimensione?» le domandò lei all’ improvviso, mentre un velo di malinconia le adombrava lo sguardo.

Lui finse di rifletterci su, poi le rispose: « Certo che mi mancherà! Ma sono sicuro che se tornassi sulla Terra, sentirei immensamente la mancanza del regno boscoso e delle sue creature. E allora… rimango qui! Rimango con te, senza rimpiangere nulla!»

Lei sorrise e il cuore di Mark si colmò di tenerezza e commozione.

Da terra, qualcuno seguiva con interesse quel volo appaiato.

« La vita continua finché il Bene prevale sempre sul Male!» disse Silvestre sorridendo, quindi ritornò a occuparsi delle sue splendide orchidee e di quel regno infinito.

Fine


Vivì 20/10/2021 19:29 1 870

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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«Immagini splendide... una descrizione che coinvolge e il lettore si ritrova con tutti i personaggi presenti nella battaglia finale... Il bene vince sul male... ma non era così scontato, visto tutte le disgrazie che hanno coinvolto i personaggi principali... mi riferisco ai personaggi che lottavano fianco a fianco per sconfiggere il Malefico...
Un finale bellissimo con la scelta di Mark... il giovane umano ha deciso di restare accanto alla silfide... l’amore, anche in questo caso, ha vinto... Due cuori innamorati non possono restare lontani...»
Giacomo Scimonelli

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