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La ragazza ribelle

Dramma


Il professor Nicola Pedicolo ebbe subito la sensazione che Samantha, fosse un’ alunna particolare fin dalla prima volta in cui fece l’ appello in quella famigerata classe che tutti, in quella tetra scuola di periferia, chiamava il “Bronx”.


La classe era prevalentemente composta da ragazze che ne combinavano di tutti i colori: clamoroso fu lo sciopero bianco organizzato dalle “ pantere nere”, come amavano farsi chiamare perché indossavano esclusivamente vestiti scuri, per protestare contro l’ insegnamento troppo accademico di un docente d’ italiano.


Infatti, durante una lezione sulla Divina Commedia, le alunne della classe si spogliarono a una a una mentre il povero insegnante non sapeva che pesce pigliare.


Chiamò a intervenire personalmente il preside, per sedare il caos che regnava in quella classe dove, spesso, i docenti a disposizione, che dovevano sostituire qualche collega assente per malattia, si rifiutavano di entrare.


A capo di quella combriccola di ragazze scalmanate, capeggiava lei, Samantha: una “ ragazza ribelle” di diciassette anni che riusciva a imporre la sua volontà senza neanche proferire una parola.


Era una leader in assoluto e si comportava come tale. Tutte le altre alunne, che la circondavano e la riverivano come fosse un’ ape regina, pendevano dalle sue labbra e bastava che lei accennasse un solo gesto perché loro capissero il suo muto messaggio.

Inspiegabilmente Samantha rimaneva in silenzio, quando entrava il professor Nicola Pedicolo, docente di storia dell’ arte, e rimaneva seduta in fondo all’ aula con gli auricolari inseriti nelle orecchie.


La ragazza nel frattempo, si limitava a tingersi le unghie con uno smalto nero pece, a guardarsi in uno specchietto ovale e a pettinare la sua lunga chioma nera che le cadeva sulle spalle ricurve, come una spumeggiante cascata ribelle.


I suoi occhi dorati erano sottolineati dal colore nero e sulle labbra un tocco di rosso acceso, che la faceva vagamente somigliare a una fantomatica versione femminile del cantante Marylin Manson.


Gli insegnanti più anziani della scuola insinuavano maliziosamente che Samantha fosse innamorata del suo professore di storia dell’ arte per cui preferiva estraniarsi dal gruppo- classe piuttosto che mettersi in mostra.


Il professor Nicola Pedicolo aveva attivato nei suoi confronti tutte le strategie didattiche atte a coinvolgerla, ma ogni suo tentativo si arenava irreparabilmente contro il filo spinato del suo inspiegabile silenzio. Quando spiegava la lezione, tutta la classe era attenta ma Samantha continuava a truccarsi per ingannare il tempo.


Durante le ore di lezione di altri insegnanti, che lei riteneva troppo cattedratici, chiedeva di uscire e rimaneva in bagno fino al suono della campanella.


Gli insegnanti direttamente coinvolti avevano chiesto al consiglio di classe di prendere provvedimenti nei suoi confronti, ma neanche la sospensione di quindici giorni dalle lezioni, senza obbligo di frequenza, aveva risolto il problema.


Il perdurare del make- up permanente, durante l’ attività didattica del professor Nicola Pedicolo, s’ interruppe improvvisamente durante una lezione sullo scrittore Cesare Pavese, che lei iniziò a leggere in continuazione.


Era il penultimo giorno di scuola, prima delle vacanze natalizie, quando Samantha si alzò, come una sonnambula durante la lezione di storia dell’ arte e con un balzo felino, si buttò dalla finestra.


Si tolse la vita sotto gli occhi increduli delle sue compagne di classe.

Il giorno dopo il suo suicidio, le sue compagne di classe riferirono agli insegnanti che Samantha aveva scritto sul suo banco con un pennarello nero le seguenti parole:


Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va Bene? Non fate troppi pettegolezzi 1.”


I Carabinieri trovarono nella tasca posteriore dei suoi jeans una lettera piegata in quattro che riportava quanto segue:


Sono stanca di vivere in un mondo che non mi appartiene più. Ho perso il gusto di vivere nello stesso momento in cui ho preso coscienza di essere inutile. Chiedo perdono al professor Nicola Pedicolo per essermi suicidata durante la sua lezione.


Durante la seduta straordinaria del Consiglio d’ Istituto, convocato per discutere il suicidio della diciassettenne, il preside propose di intitolare la palestra della scuola alla “ ragazza ribelle”.


Il professor Nicola Pedicolo, sconvolto dal suicidio della ragazza, fece domanda di trasferimento e non tornò mai più in quella scuola.





Sergio Melchiorre 24/05/2012 09:20 2 1469

Creative Commons LicenseQuesto racconto è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«1 Sono le ultime parole scritte da Cesare Pavese che si suicidò il 27 agosto 1950.»

Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Quelli che comunemente vengono definiti leader sono persone carismatiche dotate di una sensibilità straordinaria che deriva loro dal fatto di essere consapevoli della propria fragilità, ben dissimulata tra l’altro dietro la maschera dell’anticonformismo. Sovente questa loro peculiarità, proprio perché esasperata, sfocia in patologie comunemente note come sindromi depressive. In altri soggetti l’uso di sostanze stupefacenti viene contemplato per allontanare, attraverso stati di alterazione di coscienza, quella lucidità impietosa e deterministica che li spinge sull’orlo del baratro lusingando la loro debolezza ad arrendersi a se stessi.»
Chiara Vacchieri

«Accaduto o meno che sia il fatto, penso che il senso del racconto si possa ricercare nella presa d'atto che gli scrittori possono, a volte, esercitare un potere enorme sui lettori. Cesare Pavese, che alcuni critici considerano ormai un romanziere piuttosto sorpassato, potrebbe stare alle spalle di vari suicidi, tra i quali il più noto, forse, è quello del cantante Luigi Tenco, che si riteneva un grande estimatore del suo conterraneo.»
Antonio Terracciano

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