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Il bambino nato cavaliere e la sua Regina

Fantasy

ll bambino cavaliere e il drago.

In un’epoca passata o forse da divenire, tempo che non conosciamo, nacque dall’unione di due contadini un bambino bellissimo. Alla nascita pesava circa quattro chili, era paffutello, aveva la pelle di colore rosa come il fiore del pesco e un sorriso a dir poco felice, il suo corpo emanava profumo di zagara, fiore dell’isola felice. Nell’ aria il profumo avvolgeva i suoi respiri. Quando sorrideva, volavano farfalle attorno alla sua piccola bocca, poi si addormentavano sul minuscolo cuore e sognava. Crebbe sano e forte con l’aiuto del latte e del favorevole tempo che abbondava di frutti di crescite felici. Aiutava il padre a zappare la terra, raccoglieva frutti dagli alberi dal ramo più alto, arava la terra felice, e di tanto in tanto con gratificazione assoluta, aiutava la madre nelle faccende domestiche, in particolare quelle che riguardavano il lavaggio dei piatti unti di grasso. Era uomo, era donna, era armonia e solitudine. Era come il tic tac del pendolo sulla cattedrale del palazzo del parlamento di Londra.

Crebbe sano e forte nel corpo e nello spirito. Anche se non si era seduto mai a un banco di scuola, possedeva cultura vera e capacità introspettive non comuni. Gli piaceva annusare libri antichi che odoravano di muffa, libri, tramandati dall’antica cultura, gli piaceva masticare poesie per inghiottirne il senso, gustava piacevolmente il veder volare note musicali in un cielo illuminato, cielo composto di stelle brillanti e porte d’ingresso che aprivano la strada in futuro quantico, dove le carte da gioco naturali venivano mescolate dalla mano del Padrone del tutto. Era uno che della Spiritualità aveva fatto la sua arma vincente e tagliente. Il raggiungimento era la sua meta, la sua vetta preferita. Sin da piccolo si era sempre posto delle domande pericolose sulla vita e sulla stabilità della mente, in particolare sull’amore e sul suo divenire. Molte sere, d’estate si cullava sotto una quercia robusta che sempre era illuminata dai raggi di una rossa luna. Sognava…andava via oltre il tempo dimenticandosi di tutto. Andava in giro nelle nuvole della fantasia, in particolare quella fantasia di essere un valoroso cavaliere, un guerriero pronto a difendere la sua regina. Immaginava il suo cavallo bianco pezzato, la sua armatura fatta d’argento lucente con fregi dorati nelle pieghe, immaginava i rumori degli zoccoli veloci del destriero pezzato e, insieme con questo, anche lo scontro e il rumore delle spade fatte di metallo nelle battaglie senza esclusioni di vite per difendere la sua Regina. Lo scontro dei cavalli in corsa contro il nemico avversario immaginava, immaginava, i loro zoccoli saldi sul terreno amico e avverso. Desiderava solo una persona, una donna < La Regina di nome Aurora, a ogni costo sin nelle profondità del proprio essere e del proprio esistere. In particolare desiderava la meravigliosa regina che un giorno inconsapevolmente, tra il vento e i flutti del mare, ubriaca d'amore gli aveva promesso l’anima per l’eterno, non se ne rese conto, ma la promise a lui per l'eternità del tempo che conosciamo > Regina, che sempre aveva amato dal primo istante, dal suo primo attimo di respiro e di vita. Non l’aveva mai conosciuta, ma sapeva nella sua anima più di ogni altra cosa al mondo che l’amava con tanta intensità e forza, che si spaventava. L'amava come nessuno avrebbe mai amato, amava in un modo perfetto la sua Regina, l'amava come pochi uomini sulla terra sanno amare. Era la sua metà, la sua donna per genesi, partorita dalla stessa stella, stella che quando nacquero, lucente brillava nel cielo. Sua e di nessun altro essere umano sulla terra. Solo il sentir pronunciare il Suo nome < Aurora> in estasi restava per lungo tempo, le gote arrossivano come il fuoco e con lui farfalle e grilli, anche i girasoli giravano prepotentemente la faccia al sole. Era felice in quelle immaginazioni fantastiche, era consapevole che alla fine si sarebbero fusi come il metallo dell’oro, sicuro che l’avrebbe incontrata e amata, difesa dalla vita e da ogni male sulla terra, compresi draghi e nemici.

Un giorno di un avvenire noioso decise di andare via di casa, oramai era cresciuto abbastanza, il corpo chiedeva a voce grossa attività di spirito e di azioni. A nulla valsero le lamentele dei genitori. Con voce forte e decisa disse al padre e alla madre che doveva andare via in cerca di altre strade. Frustò poi con rabbia brutale, quasi atavica, il povero destriero e si avviò verso il principio con il pezzato bianco cavallo.

Con gli anni, imparò le tecniche più perfette dello scontro, imparò a usare l’arco e la spada, imparò l’arte del silenzio e quella della meditazione. S’istruì sui corpi celesti e l’armonia dell’universo. Il suo spirito divenne forte e maturo per ogni impresa e per ogni dolore, pronto a ogni battaglia sul campo di guerra tra rumori di spade lucenti e angosce di morte. Studiò anche tattiche militari e a scartare i nulli pensieri che deviano ogni impresa possibile e impossibile. Divenne saggio e condottiero, politico dell’esistere, dignitoso e grande capo. Unito e compatto nello spirito come una roccia e saldo come una quercia nel corpo. Era pronto.

Si era preparato bene per quello che sempre aveva desiderato di affrontare. In tutti questi anni non aveva fatto altro che immaginare la sua Regina < Aurora> nel prosieguo di tutte le esistenze spirituali e materiali. Lasciò con il tempo anche i suoi amici più cari, compagni di battaglie e guerre, salutò con un gesto veloce parte della sua anima arrabbiata che rimaneva in quel luogo dove aveva appreso ogni arte. Veloce a cavallo del suo purosangue bianco pezzato s’incamminò verso l’impresa, quella di uccidere il drago che dentro e fuori di lui dettava legge e impunito regnava sulla cima del monte più alto del regno. Arrivato sotto la cima del monte il cavaliere ebbe paura, già si avvertiva nell’aria l’odore di zolfo e di bruciato. Gli alberi erano magri e senza rami verdi, le pietre della strada che conducevano al drago erano di colore nero come il carbone. Un bruciante caldo invadeva il luogo tenebroso rendendo l'aria irrespirabile. Il Cavaliere si fece forza di spirito e proseguì comunque. Arrivato a un certo punto, dovette lasciare il cavallo per la ripida salita, il quadrupede esalava fumo dal naso, era stanco. Stanco tornò indietro impaurito e nervoso.

Armato del suo spirito, della corazza e della sua spada forgiata con ghiaccio e fuoco, l’eroe s'incamminò verso il finale del racconto. Il Drago sentì l’odore del nemico e sputò fuoco nel cielo. Lo stesso drago era a conoscenza che nessun’arma lo avrebbe mai ammazzato. Come vide il cavaliere rise tanto, volò tra gli alberi spogli e con un battito d’ali, veloce, fece cadere a terra il cavaliere incendiando alberi e terra. Poi con rabbia volò su e giù, tra cima del monte e pianura, era pronto ad infliggere al cavaliere la morte.

Nel frattempo il cavaliere rotolò dentro di sè tra le valle erbose e campi di grano. Aveva paura … veva paura non di morire, ma di separarsi da Lei, dalla sua amata regina, cadde in un tempo non felice della sua esistenza, sudò angoscia, pregò Dio e luce lo raggiuse nel cuore. Decise in un lasso di tempo che racchiudeva tutti i tempi, che non avrebbe mai perso l’amata per una stupida morte da parte di un drago. Sfoderò la spada e con l’urlo da guerriero manifestò tutta la sua rabbia al cielo. Il drago scese dalle nuvole veloce per ucciderlo, lui attese... poi con forza, all’ arrivo del drago, gli infilzò con un solo colpo netto l’arma forgiata con ghiaccio e fuoco nel cuore. Dal cuore grande del drago sgorgò tanto sangue quanto un fiume in piena, sangue di colore nero. Credeva di averlo ammazzato e rise soddisfatto, ma si dovette ricredere presto. Il drago fulmineo si liberò della spada che aveva dentro il cuore e nuovamente volò. Nessun’arma, gridò, mi potrà mai ammazzare. Allora il cavaliere comprese che nessuna forza materiale l’avrebbe mai ammazzato. Comprese che solo l’arma dell’ amore lo poteva fare. Prese le frecce dallo spirito, prese lance dalla punta aguzza imbevute d’amore e alabarde imbevute di passione, prese da sè i baci sognati sulle labbra di Aurora regina, prese i teneri abbracci immaginati da prima di esistere, aspettò che il drago si lanciasse nuovamente su di lui con le ali aperte, e con un colpo sicuro, senza tremare, lo ammazzò. Un colpo solo partì dalle arme del suo spirito nel centro del grosso cuore e il drago morì davvero, si schiantò diritto nella roccia marmorea. Tutto cessò in quell'istante.

Nel nulla del tempo si ritrovò di colpo il nostro eroe. Si ritrovò nelle braccia della sua Aurora, felice di respirarla, sentiva il suo corpo nel corpo dell'altra. Dentro di sè, abbracciò ogni sogno e ogni eternità di tempi.

Vissero insieme in molte vite per raggiungere un qualcosa che fosse più dell’eterno desideravano, più di ogni sogno e più di qualsiasi altra cosa di ogni mondo. Come farfalle, raggiunsero i boschi incantati in altre dimensioni succhiando avidi il nettare di ogni fiore amaro e fiore dolce. Ma, altre imprese attendevano i loro cuori, altre guerre e battaglie aspettavano loro e il loro amore. Tutto questo serviva per raggiungere la pace e la beatitudine, ma serviva soprattutto per essere illuminati dalla luce spirituale che come fontana disseta ogni desiderio e placa ogni sete.


Pasqui 28/07/2012 21:37 1 1345

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Ben scritto, la metafora funziona a meraviglia. Se dovessi muovere un appunto, direi che il Drago non doveva morire. In questo modo hai amputato l'eroe stesso e sterilizzato la sua forza guerriera che, in fin dei conti, è dal Drago che trae nutrimento!»
Ercole De Angelis

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