Ma cosa tratteneva Sergio dal dire semplicemente la verità? Dal raccontare quello che gli era successo, e tutti i pensieri e sentimenti con cui conviveva in quel periodo della sua vita? Pur sentendosi, lui, così legato, alla verità? Non era un'ipocrita difesa di un'apparenza familiare, anche se capiva che dall'esterno avrebbe potuto apparire proprio questa, la sua ragione. Anzi, per la sua moralità, la verità intera, nuda, sarebbe stata l'unica strada percorribile. A dirigerlo in questo c'era piuttosto il senso di inutilità che sentiva nella verità; l'unica ragione che sentiva, per la ricerca della verità, è che potesse essere risolutiva di qualcosa, o per lo meno evolutiva, di qualcosa. Invece era cosciente che la piena verità avrebbe prodotto soltanto un'esasperazione dei toni, uno scontro spietato e senza fine, e senza che nulla si risolvesse, ma restando completamente immobili a fronteggiarsi, divisi da un insuperabile muro. Per tanto tempo, con ingenua passione, aveva percorso la via della verità, e sempre stupendosi, non sentendola apprezzata e difesa e perseguita, come unica via per sciogliere i nodi, come grimaldello per ragionare e magari per svelare premesse sbagliate. Aveva creduto in un'evolutiva comprensione, in una conoscenza che diventasse via via sempre più profonda e sottile; ma non era così, le rigide premesse erano stelle fisse, intoccabili, la verità era respinta tout court, perchè erano indiscutibili e sacre le altre verità, che solo la consuetudine e il vizio avevano reso tali. Così, piano piano, si era disillusa la sua ingenua passione, e sempre più aveva sentito che la verità, per essere detta, aveva bisogno dei suoi ascoltatori. In Silvia sentiva questo ascolto impossibile, e allo stesso tempo che l'espressione della verità non avrebbe portato alla fine della loro relazione, ma soltanto ad un persistere della stessa dentro toni sempre più aspri e conflittuali, rendendo anche a Sergio sempre più difficile la sua vita divisa, quella vita che lui in fondo aveva sempre coltivato con la parte più importante, l'unica parte che lui davvero considerava, di sé stesso. Lui pensava che se fra di loro fosse esistita una possibilità di comprensione evolutiva, probabilmente questa verità che preferiva non dire, non sarebbe neppure esistita; se adesso era presente era solo perchè la parte più importante di sé stesso nella loro relazione non trovava espressione. Un altro rovello si poneva: perchè, poi, l'espressione di questa verità non si sarebbe potuta risolvere nella fine della loro relazione? Cosa impediva, e per entrambi, che questo potesse avvenire? Per Sergio c'era certamente una sua completa astrazione da tutto ciò che era concreto e reale; aveva fatto una fatica enorme a solidificare intorno a sé una concretezza qualsiasi, anzi a volte quasi si sorprendeva della sua stessa esistenza; una concretezza che quasi lo tranquillizzava nell'idea di non dover più pensarci, come un qualcosa che per sempre sarebbe rimasto immobile e di cui non si sarebbe più dovuto preoccupare. Il solo immaginare il riaffiorare di questa preoccupazione lo precipitava nel panico; fissata questa concretezza, lui si era sentito completamente libero di immergersi nella sua spiritualità; alla concretezza dava solo ogni tanto un'occhiata, il meno possibile, per rabberciarla nelle sue crepe più insostenibili, ma per il resto, dentro di lui, aveva quasi smesso di esistere. Era terrorizzante per lui la sola idea di doverla ricostruire da capo, pensava a tutte le energie che avrebbe dovuto investire su questo, energie che inevitabilmente avrebbe sottratto alla sua ricerca spirituale e forse gli sarebbero serviti anni ed anni, forse l'intera vita, per ritrovarne una decente, che, di nuovo, gli consentisse una reimmersione nella sua spiritualità; ma in realtà era convinto che in nessun modo gli sarebbe riuscito di ricostruirsi questa concretezza, che quella dentro cui si trovava gli era caduta addosso quasi per caso e che, fuori di quella, nessun'altra gli sarebbe stata possibile. Per questo si sentiva immobilizzato, da una sorta di paralisi, all'idea di perseguire qualsiasi rivoluzione della sua concretezza. Le ragioni che invece inibivano Silvia dal modificare la sua vita di fronte a quell'eventuale verità erano forse molto meno lineari. Di certo era per lei sconvolgente e destabilizzante il sapere che Sergio stava vivendo un'altra relazione, un qualcosa che il suo IO più sociale sentiva inaccettabile e che respingeva drasticamente, salvo una completa riconversione e sottomissione di Sergio stesso; senza questo andare oltre si sarebbe sentita vergognosa di camminare per strada, di incontrare e parlare con le persone, in ogni situazione si sarebbe sentita come se tutti la stessero additando e deridendo ed anche se questo fosse stato del tutto inesistente; ma neppure un totale ravvedimento di Sergio sarebbe bastato a tacitare il suo orgoglio sociale ferito, una sorta di desiderio di vendetta avrebbe continuato infinitamente a covare in lei, un desiderio di vendetta che non si sarebbe mai saziato e che probabilmente sarebbe continuamente riemerso, per anni ed anni, forse per sempre.
(Per questo suo orgoglio sociale ferito la sua prima sensazione, quella che sentiva che da lei sarebbe stata esternamente pretesa, era certamente di un'immediata drastica separazione da Sergio.)
Non importava altrettanto, che lui le avesse detto, in passato, "non riesco più ad amarti. Siamo troppo diversi, lontani".
Certo, questo l'aveva segnata, ma solo superficialmente: la convivenza aveva avuto la meglio, in qualche modo l'abitudine, il protrarsi di uno schema tutto sommato rassicurante. La consapevolezza del distacco di Sergio era scorsa via, come acqua che non penetra sulla roccia delle convenzioni.
La sensazione del tradimento reale, che ora Silvia provava, era un'altra cosa, ovviamente. Sergio capiva che ci sarebbero state altre battaglie e, inerme come si sentiva, sapeva che le avrebbe lasciate scorrere su di sè, disposto ad accettare quello che doveva succedere, se doveva succedere.