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Tempo addietro, quando Celeste evocava la Musa della poesia, questa, si manifestava nell’ immediato nelle sue viscere arrampicandosi fino al cuore attraverso il fluire del sangue, poi, attraverso una nuvola d’ amore raggiungeva il pensiero. Versi, preghiere, storie, racconti, questi, prendevano corpo con l’ aiuto dell’ inchiostro di una vecchia biro che Celeste stringeva forte nella mano maciullando la parte superiore con i denti aguzzi, l’ ansia di masticare ambrosia plastificata gli piaceva. Godeva assaporare dentro la bocca l’ alito della musa, il calore che lo avvolgeva, l’ annientamento del tempo che si bloccava nella clessidra del momento cavalcando le ore. Scrivere era la sua passione, la seconda lingua profonda, una comunicazione interpersonale, un modo di esistere, forse di fuggire dalla noiosità del giorno, dai futili incontri, dai soliti discorsi inutili. Ora che la musa non rispondeva più alle sue chiamate, era diventato iroso, si sentiva menomato, il cuore non parlava, in poche parole avevo rinunciato alla seconda lingua con sofferenza. Si rifugiava nelle muse degli altri attraverso libri che divorava come un affamato, mai sazio. Cercava nelle pagine che scorrevano sotto le sue dita la sua musa, anche se sapeva che ognuno ha la sua. Cominciò a cercarla altrove dopo un bel po’ di tempo; un bel giorno di maggio, quando i rosai profumano e le prime roselline sbocciano, quando i gelsomini respirano spiritualità e la luna gravida, sospesa nel cielo come una grossa lampada illumina il cielo stellato, ebbe l’ idea di comprarsi un telescopio e cercare la musa nella casa dei pianeta che gravitano attorno al sole: Quale miglior posto per cercare la Musa “
Graffierò con forza il bozzolo che ti racchiude,
e graffio dopo graffio,
nel lungo o breve tempo,
quando la pioggia fitta
bagnerà gli ultimi petali della pallida rosa
e il sole con forza penetrerà l’ oscura nube del dolore,
il bozzolo stanne certa,
si schiuderà.
Verrai fuori in tutta la tua soave leggerezza.
Tu, farfalla colorata.
Al calar della notte Celeste con il suo telescopio saliva sulla terrazza dell’ appartamento, dopo aver sistemato lo strumento, mirava le stelle più lontane, catturava attraverso l’ obiettivo la loro luce, cercava la musa … A volte la luna gli era quasi negli occhi con le sue valli e suoi crateri spenti, allungava la mano per prendere qualche pezzo di luna …
Nella solitudine universale,
solo alzando gli occhi al cielo
comprendo di non essere solo,
e questo avviene quando vedo te,
magica palla bianca,
che sospesa stai
tra la terra patria mia,
e l’ universo che balla.
Parlava da solo ad alta voce Celeste, sapendo che nessuno l’ ascoltava..!
I versi gli venivano spontanei ammirando il luccichio delle stelle e la volta celeste, nemmeno se ne accorgeva … Il solo pensiero fisso era la ricerca della Musa … Durante il giorno non vedeva l’ ora che giungesse la sera, o meglio la notte, quando tutte le luce della città fiocamente si spengono. Non mancava di vedere cose anche strane nel cielo,” luci abbaglianti, cicogne in emigrazioni dalle lunghe ali bianche che sembravano angeli, qualche lampo luce particolare, oggetti volanti non identificati, stelle cadenti, eclissi lunari alla fragole, mercurio argentato, venere brillante, marte arrossato, la stella Sirio in lontananza. Tutto questo osservava, si dimenticava perfino di lui nell’ osservazione. Quando poi scendeva dal terrazzo diventava triste, non gli bastava mai niente, voleva ad ogni costo la Musa nel cuore
Non ho mai
inseguito Lei,
era Lei che mi volava dentro;
Vestita di ogni colore,
come una rondine in primavera
tornava sempre nel petto,
nel cuore, il suo nido.
Ora è svanita,
vuota la dimora..!
Non se ne capacitava Celeste che gli amori come tutte le altre cose del pianeta terra, nascono, crescono e purtroppo, in bene o in male finiscono!
Ci sono amori che nascono come le rose,
gonfi nella pancia,
smaglianti nei colori,
profumati e fieri,
si schiudono nel cuore,
vengono fuori anche fuori stagione.
Resistono ad ogni intemperie:
Al fuoco, alla pioggia,
alla grandine, alla neve
e perfino alle guerre.
Certi amori ...
Altri,
sono pigri e senza storia,
durano il tempo di una candela,
sino al finire della cera,
non somigliano alla rosa,
sono come i crisantemi,
durano poco sulle tombe al cimitero.
Certo, di sicuro, questo,
non valeva per Cristina e Arturo,
due tortorelle fantastiche
che sempre si amarono sul terrazzo di casa mia,
dividendosi molliche annaffiate con acqua bagnata dal rubinetto della fontana.
Vorrei, disse Celeste:
vederti farfalla e mai bruco.
Distendere le ali colorate,
e poi andare,
volare ...
viaggiare e poi tornare,
raggiungere la rosa del sorriso,
e quella della pace.
Poggiare, rilassare
il tuo bel corpo sopra
il petalo bagnato di rugiada,
colorare le tue ali del bel sole,
senza aspettare il bianco della luna
che nelle pieghe della sera,
pallida ti rende.
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