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Storia di paese (Una brutta sorpresa) 18 Episodio

Fantasy

Totuccia rassegnata dalla caparbietà della figlia disse: ” Uora annamu a ruormiri jè stata ‘ na longa jurnata.”

E così ognuno si ritirò nella propria stanza.

Nel frattempo Bruno sdraiato sul letto, fissava il soffitto fatto in legno, quando la sua attenzione fu rapita da un ragno che aveva costruito egregiamente la sua trappola per gli insetti, dalla perfezione della tela e lo stare paziente in attesa della preda, la quale non tardò ad arrivare, infatti una piccola falena bianca restò imprigionata e il ragno prontamente la divorò. Ecco Bruno pensava di essere come la falena, prigioniero di un amore impossibile e che tutta quella ingarbugliata storia, era come la tela creata per lui da un destino crudele.

Poi per smettere di pensare a Rosalia, decise che era meglio cercare di dormire un po’. Ma nonostante la sua volontà, non riuscì a chiudere occhio, tant’è che decise di alzarsi e di accendere la stufa. Restò sveglio tutta la notte a fissare i tronchetti di quercia che lentamente si consumavano, finalmente all’ alba guardò fuori, un nuovo giorno stava per nascere, il cielo era un’ esplosione di colori dal rosa all’ arancio, con striature d’ azzurro, si preannunciava una bella giornata di sole. In cuor suo sperava che qualcosa poteva ancora succedere fra lui e Rosalia, magari chissà… un miracolo!

Solo che non aveva molto tempo, la sera aveva saputo da Accursio, il pastore, che stavano per liberare la strada e quindi fra qualche giorno sarebbe stata percorribile. Dopo non avrebbe avuto più alcuna scusa per trattenersi lì, a meno che non si fosse dichiarato a Rosalia, in quel caso avrebbe scoperto le carte sul tavolo. Ma il timore di un suo rifiuto lo faceva desistere dal provarci, doveva ancora riflettere bene sul da farsi.

Dal capanno si intravedeva l’ aia, e vide che Assuntina era già fuori a dare da mangiare ai polli e alle anatre, decise di chiederle se poteva darle una mano e chissà scoprire qualcosa di più sulla nipote.

L’ aria la mattina presto era ancora più fredda e rabbrividì, abbottonandosi il giubbotto militare che indossava, si avvicinò alla donna e le domandò: ” Bon jornu, viu chi siti già all’ opera, vi pozzu aiutari?”

Assuntina: ” Puri vuatri siti già susutu, pi caso qualcuno o qualcuosa vi avi svegliato? Ca peri peri ci sunnu ‘ n saccu ri animali.”

Bruno la rassicurò: ” No… no douppu a leva durmu picca, sarrà l’ abbitù tini…”

Assuntina continuò: ” Allura si mi vvoi aiutari, vè ni cu me nta pollaio chi u pulizamu.”

Il giovane si mise a lavorare e dopo un po’ iniziò a tastare il terreno: ” Aviti propriu ‘ na bì edda niputi, pirdunu a mia pi a sfacciatà ggini ma vulia sapiri si jè zita…”

Assuntina divenne seria: ” Picchì u vuliti sà piri? Ccà nun si pigghia nuddu peri peri.”

Bruno a quel punto confidò alla donna di amare Rosalia e che le sue intenzioni erano serie, solo che voleva sapere se aveva qualche speranza di poter interessare alla nipote. Aggiunse inoltre, che era ben consapevole del fatto che aveva una figlia e che lui l’ avrebbe considerata come sua. Assuntina costatando la sua sincerità, si sentì libera di parlare apertamente delle sue preoccupazioni, e anche di Saro.

Bruno ascoltò con interesse poi le chiese: ” Pozzu parrari stainnata? Vuatri cù osa diciti?”

Assuntina ci pensò un po’ prima di rispondere, poi spiegò: ” Rusalia jè ancù ora scossa pi ajeri, aspettate quà lchi jornu pi manera chi si calmi na picca. Uora arricù ogghimu l’ ovi chi vi fazzu ‘ na pisciuò vu (frittata) pi culazioni. Ah mi lassavi… mancù ‘ na palora ci semu capiti?”

Una volta ritornati a casa, trovarono Rosalia in cucina con la piccola, anche di prima mattina era bellissima, aveva i capelli raccolti sulla nuca e indossava un vestito, sempre di colore scuro ma dalla linea più morbida che le scendeva dolcemente sui fianchi, lasciando immaginare le sue aggraziate forme. Bruno se la mangiava letteralmente con gli occhi, pieni di desiderio di poterla avere tra le sue braccia. Rosalia si accorse del suo sguardo insistente, tanto che poi infastidita gli disse:” Ma nun hai megghiu da fari chi lijari a genti?”

Bruno le sorrise per sdrammatizzare un po’ la situazione dicendole: ” Picchì taliavu a tia? Nun mi sunnu à bbili, mi para chi nun ci si sulu tu.”

Rosalia si girò dall’ altra parte per non fare vedere il viso rosso di rabbia, detestava chi la prendeva in giro, quando lei non aveva affatto voglia di scherzare. D’ altra parte sapeva che Bruno aveva interesse per lei e il suo sguardo era senza malizia ma pieno d’ amore. Dopo aver fatto colazione con la frittata di Assuntina, fatta con tuma (un formaggio tipico siciliano, che indica un diverso stadio di stagionatura del pecorino, che sono quattro, il primo tuma, primo sale, secondo sale e pecorino stagionato) gustosa e molto saporita, arricchita con l’ aggiunta di menta, prezzemolo e pepe, era pronto per continuare il suo lavoro al frutteto.

Quindi aggiunse: ” Mi scusassi, livo u mpicciu…”

Effettivamente si sentiva così per Rosalia, per lei rappresentava una fastidiosa presenza, un problema. Deluso dal suo atteggiamento, ringraziò per la colazione e si recò nei campi. Rosalia si pentì quasi subito del suo comportamento, inoltre, aveva incrociato lo sguardo rammaricato della zia, e si rese conto di essere stata molto sgarbata nei confronti di colui che le aveva salvato la figlia. Pensò che doveva rimediare in qualche modo, decise che più tardi l’ avrebbe raggiunto con qualcosa da mangiare e bere.

Quando verso metà mattinata Rosalia disse che preparava qualcosa per il pranzo di Bruno, le due sorelle si guardavano con aria interrogativa, forse Rosalia aveva preso la decisione di accettare la corte del giovane? O lo faceva per il senso di colpa per come l’ aveva trattato?

In quel momento non avevano le risposte, dovevano solo attendere per capire.

Purtoppo si sbagliavano, Rosalia aveva in mente tutt’ altro. Prima di tuttto cucinò per Bruno “ Pasta cà fasola ‘ ncirata” di solito in estate si usavano i borlotti freschi, ma si poteva usare come variante nella stagione fredda anche quelli secchi. La pasta ideale per questa minestra erano gli spaghetti sminuzzati oppure gli “ attuppatiè ddi” i dei ditali lisci. Rosalia optò per quest’ ultima, una volta pronta la versò nel coccio di terracotta, prese una bottiglia di vino e del pane fatto in casa nel forno a legna e mise tutto in una cesta di vimini. Se la poggiò sulla testa, come facevano di solito le donne quando portavano qualcosa e disse loro: ” Iu vaiu!”

La guardarono come se avessero visto un marziano, non riuscivano a capire quella benedetta figliola, infatti Totuccia sospirando, si rivolse alla sorella dicendo: ” Sulu u Signuri sapi cù osa ci passa pri la tì esta ri sta biniditta figghia, vù ogghia u celu chi pigghia a decisione iusta… Sapì ddu quannu ci sarrà ‘ nanticchia ri pace pi chista casa…”

Arrivò al campo e trovò Bruno che con maestria potava un grande melo, appena la vide il cuore iniziò a battergli all’ impazzata, non si aspettava una sua visita, e con sorpresa le chiese: ” E tu chi ci fai ca?”

Rosalia abbozzò un mezzo sorriso, forse per farsi perdonare dal suo atteggiamento della mattina e rispose: ” Duviti mancià ri oppurru no, scì nni… cu si noni si arrifridda…”

Si sedettero su una panca vicino al capanno degli attrezzi e Rosalia continuò: ” Haju misu l’ agliu mmeci di la cipudda spero chi ti piaci u stissu.”

Ma non c’ era bisogno nemmeno di chiederglielo perché da come mangiava con gusto si vedeva che era stata di suo gradimento e le rispose: ” Di li manu toi niscì sempri cosi bone.”

Lei distolse lo sguardo, era in difficoltà, non era per niente facile dirgli quello che stava per chiedergli. Lasciò che finisse il pranzo tranquillamente, poi con serietà gli disse: ” Te ‘ n aviri iri, a strata ù ora jè libbira, nun c’è cchiù nudda raggiuni pi ristari.”

Lanciò questa bomba inaspettata, lasciandolo senza parole, adesso capiva la sua gentilezza, era solo un modo per indorare la pillola, questa volta non la guardò con amore ma con risentimento per essere stata così premeditata.

Adesso era stanco di correrle dietro come un cagnolino, ma chi si credeva di essere? Invece di ringraziarlo che l’ avrebbe accettata anche con una bambina non sua, lo cacciava come se fosse stato il suo peggior nemico, no… questa volta non le avrebbe dato la soddisfazione di pregarla, adesso basta… se ne sarebbe andato, cancellandola per sempre dalla sua mente e dal suo cuore. Con lo sguardo amareggiato, le rispose: ” Iu partu… ma nun turnu cchiù… Bone cosi, e grazzi pri tuttu.”

Rosalia vedendo la sua reazione continuò: ” Bruno sinti, lassa ca spiego a tia…” Ma lui rispose: ” Tà stari muta…”

La lasciò da sola seduta sulla panca con l’ aria di chi ha appena compiuto un delitto, tuttavia la reazione del giovane così risoluta l’ aveva spiazzata, credeva che avrebbe insistito per restare invece non aveva fatto nulla per farle cambiare idea.

Il giovane, si recò alla cascina, per prendere le sue poche cose e salutare. Appena Assuntina lo vide da solo e con l’ aria di chi ha appena subito un torto, capì che la nipote ne aveva combinato un’ altra delle sue. Si affacciò sull’ uscio della casa chiedendogli: ” Bruno aviti finito? E Rusalia?”

Questi di rimando: ” Si fici tuttu e ù ora me ni vaiu, Rusalia jè arrì eri.”

Assuntina gli chiese: ” Vi viriu stranu, jè successu qualcuosa?”

” No nenti, mi pigghiu i mia cosi e vaiu apprima chi diventi scuru.”

La donna insistette: ” Ma dù oppu ci parrasti?”

Bruno disse: ” Fici tuttu idda, mi mannu pi a strata.”

Lo videro allontanarsi in fretta, senza girarsi nemmeno una volta, le due donne rassegnate, aspettavano il ritorno della nipote per avere delle spiegazioni. Questa si era trattenua più del dovuto, voleva attardare il più possibile lo scontro con loro, sapeva che erano sicuramente contrariate ma dovevano capire che la sua decisione era stata dettata più dalla ragione che dal cuore. Aveva voluto evitare che Bruno si attaccasse ancora di più a lei, in quanto anche se le piaceva tanto e provava dell’ affetto nei suoi confronti tuttavia non ricambiava gli stessi sentimenti.

Sperava che con il tempo avrebbe compreso non portandole più del rancore. Le prime ombre della sera si stavano avvicinando ed era il momento di rientrare, quando sentii il crepitiio di foglie secche e il rumore di rami spezzati, si fermò per appurarsi che non ci fosse nessuno, apparentemente sembrava che d’ intorno non ci fosse anima viva, pensò che forse era stato il passaggio di qualche cinghiale, in quanto era una zona infestata da questi animali, che s’ aggiravano nei campi rovinando molte coltivazioni. Ma il suo pensiero durò un secondo, in un attimo fu aggredita da qualcuno che la colpiva alle spalle, un dolore fortissimo la fece barcollare, quando si rese conto che era la moglie di Saro con altre donne del paese. Iniziarono a tirarle i capelli e a picchiarla selvaggiamente mentre le urlavano parole offessive: ” Chista jè la fini chi fari i mali femmine, arrusa… arrusa, chi hai appizzato a famiglia mo…”

Rosalia stava quasi per soccombere alla furia di quelle donne inferocite, ma ad un tratto sentirono abbaiare, era Fido che era andato incontro alla sua padrona. Spaventate, si coprirono il viso con le mantelle nere e fuggirono lasciandola per terra piena di lividi. Non aveva la forza per rialzarsi, allora disse a Fido: ” Va Fido chiamma qualcuno…”

Il cane non se lo fece ripetere due volte corse a casa, iniziò ad abbaiare forte, a tal punto che Totuccia uscì fuori e vedendolo da solo, capì che doveva essere successo qualcosa a Rosalia, chiamò la sorella e seguirono il cane.

Totuccia non riusciva a respirare dall’ ansia, aveva un brutto presentimento, sicuramente era accaduto qualcosa di brutto. Quando la videro per terra in un mare di sangue, lanciarono un grido e subito cercarono di tamponare il brutto taglio che aveva sulla fronte. Rosalia cercò di tranquilizzarle dicendo che non era niente di grave anche se aveva male in ogni piccola parte del corpo. Totuccia le chiese: ” Cu fu, dimmi cu jè statu, chi l’ ammazzu iu cu i mia stisse mani.”

Rosalia con appena un filo di voce rispose: ” Annamu a casa…”

La presero entrambe sottobraccio e con fatica riuscirono a farla camminare fino a casa. Trovarono la piccola che piangeva strillando a più non posso, fecero sdraiare Rosalia e poi calmarono la figlia. Intanto la medicarono, disinfettando le ferite ma quella della fronte non la smetteva di sanguinare allora Totuccia decise di andare in paese a chiamare il medico condotto, c’ era bisogno sicuramente di qualche punto di sutura.

Fece talmente in fretta che dopo un quarto d’ ora, bussava allo studio di Don Raffaele, un medico anziano, il quale aveva prestato servizio in quel piccolo paese da circa quarant’ anni. Secondo la mentalità siciliana, il vero medico doveva essere vecchio, il farmacista ricco e il barbiere (Chirurgo cosi nominato) giovane. Doveva essere vecchio perché avendo molta esperienza ci si poteva fidare tranquillamente.

Ci volle un po’ prima che aprisse, vedendo la donna e conoscendola bene sapeva che non si rivolgeva a lui per delle sciocchezze, quindi dedusse che doveva essere successo qualcosa di grave, domandò preoccupato: ” Comu ma si ca, chi succidiu?”

” Rusalia jè caduta, e si jè tagliata a frunti, po ì essiri chi ci voli ‘ n puntu.”

Salirono sul carro del medico e tornarono alla cascina. Questi appena la vide con tutti quei lividi e quel profondo taglio sulla fronte intuì che non erano dovuti ad una semplice caduta ma era stata sicuramente malmenata. Tuttavia non chiese nulla vedendola così scossa, le medicò le ferite e le cucì il taglio con un alcuni punti di sutura. Inoltre, le fasciò la mano in quanto una scheggia di pietra le si era conficcata nel palmo ed una volta finito chiese a Rosalia: ” Unni cascasti? Da ‘ na roccia o da ‘ n à rbulu?”

Prontamente vennero in suo aiuto, dicendogli che era scivolata nel pollaio, in seguito ad una zuffa fra galline e per acciuffare il gallo, aveva perso l’ equilibrio e aveva sbattuto contro un piolo sul quale si appollaiavano i volatili.

Il medico rispose:” Si chista jè la verità mi aviti pigghiatu pi’ n babbu.”

Assuntina rispose: ” Sintiti a mo, jè megghiu accussì.”

Il medico non insistette diede a Rosalia le indicazioni da seguire per le medicazioni e le ordinò anche un antibiotico per l’ infezione, le disse anche che si sarebbero visti fra una settimana per togliere i punti.

Rimaste sole le tre donne restarono in silenzio per un po’, cercando le parole giuste per non fare scoppiare una lite che quasi sicuramente sarebbe esplosa. Cominciò a parlare Rosalia: ” Jè stata Ninetta con le sue cuttigghiare, mi hannu pigghiatu a ntrasatta e cafuddatu…”

Totuccia esplose: ” Iu vi maledico nfinu a la settima generazione, ma nun finisce ca, iu uò ra vi fazzu sapiri cu jè Totuccia…

Rosalia tutta dolorante disse: ” Matri mo, fallo pi mia, stay fù ora da chista storia, iu fici u fattu e iu haju duviri impustari.”

La zia intervenne furiosa: ” Chista vù ota si tu ca stari a to’ posto ci a videmu nuatri e nun diri cchiù ‘ na mezza palora.”

A Rosalia non restò altro che accettare la loro decisione e poi se ne andò a letto, era scossa da forti brividi di freddo, segno che aveva anche qualche linea di febbre.

Passò una notte agitatissima, appena chiudeva gli occhi rivedeva la scena dell’ aggressione e sentiva rimbombare continuamente le brutte parole urlate contro di lei, tanto che si convinse che aveva fatto male a ritornare al paese, quella gente non sarebbe mai cambiata, era chiusa in apparati che provenivano da un lungo passato, che giudicava le persone in base alle loro idee e guai se qualcuno usciva fuori dagli schemi già prefissati da generazioni. Non riuscivano a capire che le donne avevano gli stessi diritti degli uomini, con i propri desideri e le proprie scelte che potevano sembrare anche sbagliate, ma pur sempre dettate da un forte sentimento chiamato amore. Tuttavia se commetteva un errore un uomo era giustificato, lui era nato cacciatore mentre se lo stesso sbaglio veniva compiuto da una donna, questa era da considerarsi per sempre una mala femmina, marchiata a vita.

Neanche la zia e la madre chiusero occhio, parlarono quasi tutta la notte sul da farsi, decisero infine che sarebbero andate a parlare con il parroco per riunire in chiesa domenica mattina tutto il paese e per mettere in chiaro, una volta per tutte questa storia. Basta bugie, segreti, sotterfugi, dovevano liberarsi per sempre da tutto quel peso che le stava distruggendo.

Verso l’ alba, Assuntina si alzò dopo una notte insonne, aprì la porta della stanza di Rosalia per vedere se era tutto a posto, vide che dormiva tranquillamente vicino alla sua piccola, il suo viso aveva i segni delle percosse… Vedendola in quelle condizioni, le si strinse il cuore e disse fra sé: ” Povera figghia chi ti faciru, nun ti meritavi tuttu chistu patiri…”

Richiuse piano piano la porta e scese in cucina, accese la stufa e vide che la cassa della legna era quasi vuota, si ammantò per bene ed uscì fuori per prenderne dell’ altra.

Si caricò le braccia e stava per rientrare, quando le apparve spuntato dal nulla Don Vincenzo. Assuntina vedendolo all’ improvviso sussultò dallo spavento e poi gli chiese: ” E vuatri chi ci faciti cca, a chista ù ora?”

Notò che ancora zoppicava dopo l’ incidente con il carro ed aveva delle escoriazioni alle mani. Lui rispose: ” Vi volevo arringrazziari pi l’ aiuto e duoppu sapiri comu sta Rusalia… Haju saputo chiddu chi succediu, incontrai a Don Raffieli e mi diciu chi jè caduta, ma sacciu chi nun jè chistu u vì eru.”

La donna non era sorpresa dal fatto che già lui sapesse ogni cosa, aveva occhi e orecchie dappertutto, niente poteva sfuggirgli. Quindi era inutile mentire: ” Aviti raggiuni, Ninetta e i soi commari l’ hannu tumpulata, ma si vi avi dittu tuttu u mè dicu, sapiti comu sta.”

Il barone aggiunse: ” Uora ma viu iu, nun duviti scantari ri nenti.”

Assuntina spaventata da quello che poteva fare rispose: ” Nun vogghiu sancu pri la strata ri Rusalia, aviti ntè su cù osa haju dittu?”

Don Vincenzo: ” Sacciù iu cù osa haju a fari, salutamu.”

La lasciò così, senza aggiungere altro, lo vide sparire dietro la siepe dove aveva lasciato il carro.

La visita del barone l’ aveva messa in agitazione, aveva molti dubbi sulle sue vere intenzioni ed anche sulla reazione di Totuccia e della nipote quando avrebbero saputo ciò che era avvenuto. Più tardi lo riferì alla sorella ed aggiunse che per ora dovevano accantonare la loro decisione di andare a parlare con Don Anselmo e attendere lo sviluppo della situazione.

Infatti non tardò ad arrivare, quello stesso giorno Don Vincenzo si recò a casa di Saro, arrivò con due suoi uomini di fiducia. Appena Ninetta lo vide gli andò incontro sorridendogli, non era da tutti ricevere una sua visita, e non conoscendone il motivo, per lei era un onore averlo in casa.

” Don Lenzu chi anuri pi nuatri vì riri a vuatri ca, Saro spicciati c’ amu u barone.”

Saro, al contrario di sua moglie, non era affatto contento di vederlo, in giro aveva saputo molte cose, soprattutto che riguardavano lui con la famiglia di Rosalia.

Impacciato gli chiese: ” Aviti bisù ognu ri me?”

Don Vincenzo rispose: ” Jè ‘ na facenna delicata, possiamo trasiri pi casa, fù ora macari i petre hannu i aricchi.”

Si accomodarono nella cosidetta stanza buona, dove solitamente ospitavano le persone considerate di un certo riguardo. Ninetta domandò se poteva offrirgli qualcosa da bere: ” Fici u Glogg ri Santa Lucia pi Natale e ni jè rimasta ‘ na buttigghia, u vuliti tastari? Haju misu, vinu, chiddu bonu, acquavite, cannella, garofano, zenzero, semi di cardamomo, uvetta, vaniglia, arancia, limone zucchero, a vera ricetta ri Siracusa… E vi u servu cu mandorle e uvetta… Chi diciti?”

Don Vincenzo si fece serio e le disse: ” Da vuatri nun vogghiu nenti siti capaci macari ri avvelenarmi.”

La donna impallidì, come fece anche Saro: ” Picchì mi diciti chiste cosi, cù osa vi fici?”

” A mia, nenti ma a chidda povera carusa ri Rusalia, sapiti cu jè vì ero Ninetta?”

Saro guardò la moglie pensando a cosa poteva aver fatto di così grave a Rosalia da far scomodare il barone. Ninetta cercò di mantenere il sangue freddo e rispose: ” Iu e chi fici? Nenti.”

Don Vincenzo rispose: ” Picchì nun dimanni o dutturi? Uora vi avviso guai si vi avvicinate cchiù a chidda carusa o a la so casa… Vi portu iu stissu o camposanto.”

Ninetta cercò di controbattere, negando che nessuno di loro aveva fatto qualcosa di male a Rosalia, ma il barone neanche la ascoltò e se ne andò senza aggiungere altro.

Una volta rimasti soli, Saro chiese alla moglie: ” Chi facisti a Rusalia? Parra sì noni…”

Dicendole questo, alzò la mano minacciandola che l’ avrebbe picchiata. Ninetta lo guardò con occhi di fuoco urlando: ” Quinni jè vì ero u dittu cuinnuta e cafuddata… nun ti lassari ri ghisari li manu supra ri mia, capisti?”

Saro fuori di sé dalla rabbia uscì fuori, si sentiva impazzire al pensiero di Rosalia e di come potevano essere le sue condizioni e poi un pensiero fisso lo tormentava, che c’ entrava il barone con lei? Perché tutto questo interesse per una ragazza che era al di fuori del suo rango sociale? Doveva sapere al più presto come stava Rosalia… e così si diresse alla casa di Don Raffaele.

Si presentò a dir poco sconvolto, il dottore conosceva bene la sua storia con Rosalia, quindi non rimase sorpreso nel vederlo:” E tia chi vvoi? Stai mali? Mi para chi ti viriu pi bona saluti…” Saro non ci girò intorno, ormai aveva perso faccia e dignità:” Comu sta?”

Don Raffaele fingendo di non capire:” Ri cu stai parrannu?” Saro spazientito ribattè con voce rabbiosa:” Vuatri sapiti ri chi parru… nun mi faciti pì erdiri tiempu.”

Il medico con tutta la pazienza che gli era rimasta ed era ben poca:” Pi apprima cù osa, accala a vuci, dù oppu tu cu si ‘ n parenti?”

Saro: ” Don Raffieli, vu dumannu cu lu cori ‘ n manu…” Il medico per niente impietosito lo liquidò in un secondo:” Iti a spiari a issa.” Quindi gli chiuse la porta in faccia lasciandolo nella più totale disperazione.

Alla notizia di Assuntina, Totuccia come aveva previsto la sorella reagì in malo modo:” Ancù ora chiddu omo, ma quannu me ni lì bbiru? Nun a capì ju cu pi Rusalia, iddu nun jè nuddu.” Assuntina cercò di calmarla dicendo:” Uora cam’ a fari? Pinsari sulu a idda.”

Anna Rossi 09/03/2021 09:05 2 629

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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«Povera Rosalia... non ha proprio pace... picchiata e trattata come un’appestata... ma d’altronde la sua colpa più grande è una... vivere in un paese arretrato culturalmente e sotto ogni punto di vista... l’uomo può sbagliare ed essere perdonato, ma la donna, come sempre, viene vista come il diavolo e alcuni sbagli non sono consentiti ed accettati... Vedremo se l’aiuto del barone riuscirà a sistemare la situazione... e vedremo che fine farà Bruno... se veramente si dimenticherà di Rosalia ed andrà via dal paese...
Un romanzo sempre più interessante...»
Giacomo Scimonelli

«é sorprendente la tua bravura e abilità racconti che sembra di esserci capitato in situazioni analoghe, stupenda penna come sempre Tonino»
Fadda Tonino

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